L'ora più buia

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Nell’ora buia è la lingua inglese che va in guerra Valutazione 4 stelle su cinque

di AlfioSquillaci


Feedback: 1269 | altri commenti e recensioni di AlfioSquillaci
sabato 17 febbraio 2018

Sgombriamo subito il campo da un possibile equivoco: gli inglesi sono in Inghilterra e gli anglomani stanno in Perù.  Va bene. Eppure, anche da non anglomani, anzi un tantinello avversi ai fasti della perfida Albione, come non invidiare un popolo che sa raccontarsi così bene al cinema? Dopo Vittoria e Abdul sull'epoca Vittoriana e l'Impero britannico all'apogeo e  Dunkirk che raccontava una delle gesta di Churchill –  l’evacuazione dell’intero esercito inglese incalzato dai tedeschi nella spiaggia normanna, film che nonostante le ambagi stilistiche era sostenuto dallo stesso sentimento “patriottico” -, il film di Wright si inserisce al meglio  in questa scia di storia patria e ne costituisce l’antefatto,  ne narra tra le altre vicende  l’avantesto che si svolse sulla costa inglese nel maggio del 1940.

Eppure  si ammira smodatamente questa pellicola per spietata comparazione ellittica con la nostra storia coeva e avendo noi italiani medesimi  come termine di paragone implicito, visto che  in questa pellicola sono di scena dopotutto  gli inglesi oltre che un suo magnifico eroe. Ciò per alcuni motivi prima di tutto extra-filmici. Per innanzi per  la magnificazione della “Politica” che comunica la pellicola, termine che non si può non esprimere con la maiuscola in un Paese come il nostro dove è vilipesa da cittadini riottosi quanto stanchi e confusi, i quali non la amano (più) senza saperci mettere niente al suo posto se non un bofonchiante “sentimento del contrario” che solo sbrigativamente chiamiamo “antipolitica”. Dall’altro l’ammirazione per la capacità di una Nazione di saper esprimere una  Classe Dirigente all’altezza della chiamata, nella sua “ora suprema”. Non solo Churchill, che giganteggia, ma il re Giorgio VI, e  anche il visconte Halifax o Neville Chamberlain, corretti e durissimi oppositori dell’uomo con il sigaro, seppero rispondere all’ora solenne, nell’interesse esclusivo della nazione. E poi, dietro e a sostegno di questa classe dirigente, un popolo indomito e fieramente bellicoso come gli inglesi la cui capacità di resistenza e di difesa conoscemmo e ammirammo da piccoli anche in pellicole laterali come  Pomi d’ottone e manici di scopa.

Per quel che riguarda il film in sé, che dire: straordinario e godibilissimo, tutto incentrato certamente sulla figura eccentrica e maiuscola (un maverick dopotutto) di Churchill ma anche sulla capacità di saper rendere gli aspetti drammaturgici della politica in sé e per sé. Molti riteniamo erroneamente, con Stendhal,  che la politica rischi di  funzionare in un intreccio narrativo come “un colpo di pistola in un concerto”, ossia che possa raffreddare il pathos o ostacolare di colpo, con le sue mene e pastoie, la fluidità dello sviluppo di un intreccio. Eppure metteteci la Politica con la maiuscola o gli avvolgenti discorsi di Churchill in un buio  (non certo “sordo e grigio”)  Parlamento inglese,  semi-rischiarato da luci laterali,  caravaggesche, e vedrete l’effetto grandioso, anche in termini di godibilità meramente visiva e “gastronomica”, che la Politica  potrà offrire. Perché d’un tratto,  non più l’immagine,  ma è la parola solenne e teatrale  a prendersi la scena,  specie presso  un maestro istrionico dell’oratoria classica come Churchill (che ha sottotraccia Cicerone), il quale come ammette lo sconfitto Halifax, dopotutto non fece che «portare la lingua inglese in guerra».
Alfio Squillaci

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max821966 venerdì 18 maggio 2018
bravissimo
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Ah quanto invidio la tua capacità di scrivere e narrare! Nel mio piccolo ho recensito anch'io il film e nella sostanza sono d'accordo con te.
Cmq:Complimenti ancora per la tua bravura nello scrivere

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