alessiocodi
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giovedì 16 novembre 2017
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avvincente!
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Non sempre è facile riuscire a raccontare una storia vera, così com'è non è facile trasportare al cinema una storia "presa" dalle pagine di un libro. Questo significa rendere ancora più complesso il giudizio di un critico cinematrografico o di un mero apposionato di cinema come lo sono io. Lo scrivere per il cinema una storia vera rende un po' meno legittimo il "potere" del giudice di quello stesso cinema, perchè il ruolo del regista e degli autori è un po' più limiitato alla realta degli eventi che devono essere narrati nella "verità più vera". Il regista di questo film sportivo, ma non si tratta solo di questo, è riuscito a compiere un vero capolavoro perchè con poco meno di due ore è riuscito a raccontare una realtà sportiva in maniera minuziosa e senza grandi stravolgimenti che non erano necessari.
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Non sempre è facile riuscire a raccontare una storia vera, così com'è non è facile trasportare al cinema una storia "presa" dalle pagine di un libro. Questo significa rendere ancora più complesso il giudizio di un critico cinematrografico o di un mero apposionato di cinema come lo sono io. Lo scrivere per il cinema una storia vera rende un po' meno legittimo il "potere" del giudice di quello stesso cinema, perchè il ruolo del regista e degli autori è un po' più limiitato alla realta degli eventi che devono essere narrati nella "verità più vera". Il regista di questo film sportivo, ma non si tratta solo di questo, è riuscito a compiere un vero capolavoro perchè con poco meno di due ore è riuscito a raccontare una realtà sportiva in maniera minuziosa e senza grandi stravolgimenti che non erano necessari. Il film altalena in alcuni frangenti il presente (inteso come momento in cui il film è girato) di Borg e la sua giovinezza. Ci viene mostrato un Borg attento, minuzioso, fantastico, maniacale, bello, un campione che lotta contro se stesso per riuscire a vincere il quinto Wimbledon consecutivo. Suo avversario McEnroe, vulcanico, aggressivo, minaccioso, un pò bruttino, l'opposto in alcuni casi di Borg. Gli attori sono straordinari, incredibilmente somiglianti ai veri personaggi rappresentati. Il film - forse, e dico forse - nella primissima parte potrà sembrare un po' noisello, ma lo giustifico come un qualcosa di necessario per dare il la al resto del film e per poter meglio comprendere cosa significhi giocare sui prati verdi di Londra e quanto in quegli anni lo sport della pallina gialla era contrassegnato da queste due figure. Sarà veramente adrenalica, la gara che verrà tra i due disputati. Ed è proprio qui che voglio fare una piccola e ultima precisazione che comunque in maniera filtrata tra le righe ho cercato di far emergere. Non è un film incentrato solo sul tennis e basta. No, è un film fatto di passione, amore, storia, coraggio, di tante tante emozioni. Fantastiche le scenografie e ottimo il doppiaggio.
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udiego
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giovedì 9 novembre 2017
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la fora vs il talento.
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Con Borg-McEnroe viene portata sul grande schermo la leggendaria finale di Wimbledon ‘80 dove per la prima volta questi due tennisti si trovavano uno contro l’altro. Borg era all’apice della sua carriera ed alla ricerca del suo quinto successo consecutivo a Wimbledon. Mentre McEnroe era la stella nascente del tennis mondiale. Colui che sarebbe diventato uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi.
Il regista danese Janus Metz Pedersen ci regala un’opera dal valore assoluto. Ci racconta una storia e lo fa riuscendo ad appassionare anche quella parte di pubblico non interessata al mondo del tennis. La sceneggiatura è ben scritta, e nonostante la vicenda sia nota ai più l’ottima caratterizzazione dei personaggi regala al film la giusta tensione per catturare lo spettatore.
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Con Borg-McEnroe viene portata sul grande schermo la leggendaria finale di Wimbledon ‘80 dove per la prima volta questi due tennisti si trovavano uno contro l’altro. Borg era all’apice della sua carriera ed alla ricerca del suo quinto successo consecutivo a Wimbledon. Mentre McEnroe era la stella nascente del tennis mondiale. Colui che sarebbe diventato uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi.
Il regista danese Janus Metz Pedersen ci regala un’opera dal valore assoluto. Ci racconta una storia e lo fa riuscendo ad appassionare anche quella parte di pubblico non interessata al mondo del tennis. La sceneggiatura è ben scritta, e nonostante la vicenda sia nota ai più l’ottima caratterizzazione dei personaggi regala al film la giusta tensione per catturare lo spettatore. Il regista ci mostra questi due personaggi dall’interno, le loro paure, le loro fragilità ed i loro vissuti, e lo fa in modo diretto, emozionante e mai troppo retorico. Il lavoro si fa apprezzare anche dal punto di vista tecnico. La regia è sempre incalzante, ed il montaggio sonoro rende il tutto ancora più coinvolgente. Borg-McEnroe è un film veramente ben riuscito che sa emozionare ed ha saputo mettere a nudo gli animi di due leggende mondiali dello sport. Voto 4,5/5.
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(di paulnacci)
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luca1968
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mercoledì 15 novembre 2017
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quanta nostalgia...
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La finale di Wimbledon 1980 è impressa nella mia memoria. Avevo 12 anni, da un paio di anni giocavo a tennis e Borg era il mio idolo. Ricordo ancora la disperazione dopo un disastroso primo set, l'entusiasmo per la rinascita di Borg nel secondo e terzo set, il cardiopalma del meraviglioso tiebreak del quarto (ora, con il senno del poi, sono felice che l'abbia vinto McEnroe, perchè una vittoria di Borg al quarto set avrebbe reso la partita "ordinaria"), la convinzione che nel quinto McEnroe avrebbe stravinto, l'esaltazione dopo l'ultimo punto. Ancora più della vittoria dell'Italia ai mondiali del 1982. Nemmeno la fantasia del miglior sceneggiatore avrebbe potuto inventare qualcosa di simile.
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La finale di Wimbledon 1980 è impressa nella mia memoria. Avevo 12 anni, da un paio di anni giocavo a tennis e Borg era il mio idolo. Ricordo ancora la disperazione dopo un disastroso primo set, l'entusiasmo per la rinascita di Borg nel secondo e terzo set, il cardiopalma del meraviglioso tiebreak del quarto (ora, con il senno del poi, sono felice che l'abbia vinto McEnroe, perchè una vittoria di Borg al quarto set avrebbe reso la partita "ordinaria"), la convinzione che nel quinto McEnroe avrebbe stravinto, l'esaltazione dopo l'ultimo punto. Ancora più della vittoria dell'Italia ai mondiali del 1982. Nemmeno la fantasia del miglior sceneggiatore avrebbe potuto inventare qualcosa di simile. Ho urlato, gioito, imprecato come McEnroe sul campo, con i miei genitori che mi prendevano per pazzo. Ci sono state negli anni a seguire altre partite che mi hanno entusiasmato (dopo il ritiro di Borg mi sono sentito "orfano" e ho ripiegato il mio tifo su Connors, che mi ha regalato altre meravigliose sensazioni), ma questa rimane la partita della mia vita. Quando ho saputo che ci avrebbero girato un film, ho sperato fino all'ultimo in un altro Rush (dopo il tennis, la formula 1 era la mia passione), un film assolutamente perfetto. Le aspettative sono andate deluse, anche se solo in parte. Il film è davvero bello e può piacere anche a chi non ama o conosce il tennis, ma ci sono alcune note stonate che non gli consentono di decollare del tutto. In primo luogo, non mi è piaciuto particolarmente Sverrir Gudnason. Notevole la somiglianza fisica con Borg e buona la recitazione, ma l'espressione degli occhi è sbagliata. Lascia trasparire il fuoco che il vero Borg aveva dentro ma non ha mai trasmesso, nemmeno per un secondo. Il vero Borg era davvero impenetrabile, Gudnason no. Mi rendo conto che è una sottigliezza che solo chi come me viveva per i successi dello svedese può cogliere. Gli spettatori ignari non potranno invece che lodare l'interpretazione dell'attore, che se fosse stato glaciale come quello vero sarebbe stato accusato di scarsa espressività. Buona la scelta di Laboef nella parte di McEnroe. Entrambi isterici e caratterialmente insopportabili, anche se il talento puro di McEnroe lo rendeva un piacere assoluto per gli occhi. Ottimo come sempre Stellan Skarsgard nel ruolo del mentore di Borg, Lennart Bergelin. L'altra nota in parte stonata è la regia. Troppo nordica. Tecnicamente ineccepibile (le scene della partita sono straordinarie), manca un poco di spettacolarità hollywoodiana (magari sottolineando un pò di più il contrasto tra la propria personalità schiva e il mondo magico in cui viveva, relegato a poche immagini nel mitico Studio 54 di New York). Quella che Ron Howard (pur essendo un neofita della formula 1, come dallo stesso ammesso) ha saputo mettere in Rush. Mi rendo conto di essere troppo critico nei confronti di un film comunque ottimo, che mi ha fatto capire l'espressione di Borg dopo il trionfo. Dopo il rituale inginocchiamento, ha immediatamente ritrovato la compostezza e freddezza, con un sorriso appena abbozzato quando si è seduto. Ora, riguardando un filmato su youtube ho visto nei suoi occhi la sua fragilità e quel terrore di perdere che lo ha spinto ad eccellere ed essere il migliore, ma che al tempo stesso lo ha praticamente distrutto dopo le sconfitte con McEnroe nelle finali di wimbledon e flushing meadows nel 1981, quando ha abbandonato il tennis per la consapevolezza di non essere più il numero uno. Non un numero uno spavaldo e spaccone (come era Connors), ma un essere umile, fragile e introverso. Dopo il tennis, McEnroe e Connors, i suoi due eterni rivali, hanno dimostrato di essere dei duri. Lui no. Ha dovuto sconfiggere i propri demoni interiori per diventare quello che è stato, e per questo lo ammiro ancora di più. Tornando al film, desideravo un capolavoro, come è stata la partita del secolo, ma ho vissuto troppo intensamente quei momenti e i ricordi sono ancora troppo vivi per essere completamente obiettivo. Il film oggettivamente potrebbe valere cinque stelle. Per quello che personalmente io ho provato a livello di emozioni vale tre stelle. La media giusta è quattro. E scusate se ho parlato più del vero Borg che del film, ma quest'ultimo ha riaperto la mia memoria sulla mia gioventù e su un mondo che, a cinquant'anni, mi manca tanto...
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samanta
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venerdì 25 maggio 2018
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ogni match è una vita in miniatura
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Il film è tratto da una storia vera: la partita effettuata a Wimbledon nell'estate del 1980 che consentì al grande tennista svedese Bjorn Borgor (Sverrir Gudnason un attore svedese) di vincere per la quinta volta consecutiva la Coppa battendo il tennista americano John McEnroe (Shia LaBeouf , Transformers, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, La regola del silenzio)). Il regista è Janus Metz un regista danese che ha lavorato in SudAfrica essenzialmente nel campo dei documentari e in quache sceneggiato televiso, il film rappresenta il suo primo vero impegno nel cinema.
La trama è centrato in prevalenza sull'incontro, con ampi flash back sull'infanzia e gli inizi dell'attività di Borg ed anche di McEnroe.
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Il film è tratto da una storia vera: la partita effettuata a Wimbledon nell'estate del 1980 che consentì al grande tennista svedese Bjorn Borgor (Sverrir Gudnason un attore svedese) di vincere per la quinta volta consecutiva la Coppa battendo il tennista americano John McEnroe (Shia LaBeouf , Transformers, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, La regola del silenzio)). Il regista è Janus Metz un regista danese che ha lavorato in SudAfrica essenzialmente nel campo dei documentari e in quache sceneggiato televiso, il film rappresenta il suo primo vero impegno nel cinema.
La trama è centrato in prevalenza sull'incontro, con ampi flash back sull'infanzia e gli inizi dell'attività di Borg ed anche di McEnroe. Il primo era considerato un giocatore corretto ma gelido e senza emozioni, in realtà quando era giovane era ribelle e intemperante, ma l'incontro con l'allenatore (Lennart Bergelin (Stellan Skarsgard attore svedese che però ha sfondato anche nella cinenmatografia americana: Angeli e demoni, Avengers, I pirati dei caraibi; Mamma mia) lo trasforma. Il tennista americano è invece un ribelle che durante l'incontro contesta e insulta avversari, giudici e pubblico. Nel film vi sono due parti: la prima descrive l'incontro, è estremamente avvicente, direi appassionante, si vede che è diretto da un buon documentarista, la seconda riguarda lo studio della personalità umana e sportiva dei due protagonisti e mostra alcune carenze. Innanzitutto l'uso di flash back molto improvvisi che spezzano il racconto rendendo talvolta difficile seguire la trama, con un sottofondo musicale non proprio gradevole. Riguardo poi la psicologia dei protagonisti non appare molto approfondita anche se è difficile raccontare un personaggio ancora in vita. Certamente Borg era un uomo molto problematico nel film è descritto il suo rapporto non sempre felice con la fidanzata la tennista Mariana Simionescu (Tuva Novotny) che si conclude felicemente (in realtà il matrimonio durerà solo 3 anni) e poi Borg che si ritira l'anno dopo dal tennis a soli 26 ani, avrà una vita sentimentale travagliata (anche da un punto di vista finanziario) con vari legami sentimentali (tra cui con Loredana Bertè) e un tentativo di suicidio. Più superficiale appare la descrizione di McEnroe. La realtà è che il successo improvviso, l'attenzione dei mass media, l'arricchimento incredibile i milioni di dollari si sprecano, il successo con le donne, possono specie in un giovane, produrre effetti negativi. Il film si colloca non solo nella categoria "sportiva" ma in quelli accentrati su un evento (un recente film sempre riguardante il tennis e basato su un evento è la battaglia dei sessi con Emma Stone). Direi che è ottimo per quanto riguarda la descrizione dell'evento, è solo sufficiente nella descrizione dei personaggi.
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loland10
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domenica 19 novembre 2017
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da fondo campo...
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“Borg-McEnoroe” (id., 2017) è il terzo lungometraggio del regista danese Janus Metz Pedersen.
Film di efficacia e godibile. Quando il cinema tratta argomenti sportivi più o meno importanti ed evento clou non sempre il grande schermo riesce a trasmettere emozioni e virtù degli atleti e/o dei mezzi che usano. C'era stato un film recente di Ron Howard "Rush" (sul duello formula uno nel lontano 1977 tra Hunt e Lauda) che era riuscito a darci molto di quello che gli avvenimenti trattava.
Nel caso in questione si parla della finale di Wimbledon del 1980. La storia è risaputa e, quindi, anche il finale.
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“Borg-McEnoroe” (id., 2017) è il terzo lungometraggio del regista danese Janus Metz Pedersen.
Film di efficacia e godibile. Quando il cinema tratta argomenti sportivi più o meno importanti ed evento clou non sempre il grande schermo riesce a trasmettere emozioni e virtù degli atleti e/o dei mezzi che usano. C'era stato un film recente di Ron Howard "Rush" (sul duello formula uno nel lontano 1977 tra Hunt e Lauda) che era riuscito a darci molto di quello che gli avvenimenti trattava.
Nel caso in questione si parla della finale di Wimbledon del 1980. La storia è risaputa e, quindi, anche il finale. Svelarlo o no cambia poco.
La produzione svedese (finlandese-danese) tende alla 'mitizzazione' del loro compatriota raccontando l'adolescenza, i rapporti interni con fidanzata e con allenatore. Non c'era bisogno di andare oltre, Borg da dolo e senza comprimari ha lasciato un'impronta (quasi) indelebile per un tennis fatto di forza, intelligenza e grande acume della posizione sul fondo linea. Il suo modo di ballare su se stesso è rimasto storico. E nessuno come lui. Ma il film non presta attenzione a ciò che fa ma a ciò che dice e sceglie per le racchette in camera.
Costruzione lineare con attesa del dunque: niente di eclatante se non le riprese che arrecano un danno minimo al tennis. Rappresentare la vittoria e/o la sconfitta in un film non è affatto semplice, poi raccontare il tybrack e riuscirlo a renderlo vivo dopo alcuni lustri sa di deja-vu alquanto pastoso ma non emozionante. Nel tennis il silenzio è preponderante: riflessione e sguardo ad ogni racchettata. 'Un punto alla volta' amava ripetere l'allenatore Lennart a Bjorn: freddezza, occhi fissi e lamentela zero. Ecco quello che non è stato possibile per il suo opposto americano: teatralità, gestacci e parolacce,. Ma la finale del 1980 irrappresentabile (per chi ha visto e ha sentito l’intera gara nella sua emozione almeno per chi scrive) rimane emblema di uno sport per pochi o forse per pochi bravi. Tutti possono prendere una racchetta è una pallina ma pochissimi riescono a mandarla dall'altra parte come vogliono loro.
E poi dopo ennesimo match-point quando...l'americano sembrava, e quando lo svedese sembrava, quando tutti e due sembravano cotti a loro modo il tennis regala un finale che forse non t'aspetti. Ma poi i due come si legge nel finale si incontreranno l'anno dopo per un'altra finale. E lo sguardo di ghiaccio e quello a fulmicotone si incontreranno per diventare amici. Il saluto all'aeroporto e il testimone alle nozze renderanno l'incontro umano e poco incline allo sfascio. Nonostante la vittoria r la sconfitta tutti e due si renderanno la pariglia riconoscendo l'uno nell'altro la grandezza sportiva ma non solo. Poi la vita prosegue e ci si chiede se i due nei loro,luoghi privati hanno apprezzato questa ricostruzioni ne di un pezzo della loro vita.
Aspetti di vita andati (e tornati):
- la maglietta dei Ramones mentre il monello telefona ai suoi amici genitori: una vena di 'nostalgia' per un gruppo è una situazione.
- l'uso del telefono... a gettoni...quasi un lacrimevole modo datato...ma che gusto sapere di telefonate urbane e interurbane....col prefisso;
- Il colore rosso dell'abbigliamento marchiato di Bjorn; rimasto nell'immaginario.
- Il turpiloquio di John ....rimasto per la non classe verso uno sport di elite.....che poi è da verificare.....comunque il parlar sboccato pare sia impresso a molti.
- la diretta TV per tutti.....oggi pare un sogno o meglio...si paga anche il sogno...
- arbitri vecchio stile....ma a Wimbledon....nonostante tutto....pare sua rimasto tutto uguale a se stesso....(un rito senza sbavature....così appare).
- siamo inglesi niente interruzioni.....anche se la pioggia rende nervosi.
- foto vere dei nostri eroi (sportivi) ai titoli....forse è il caso di rivedersi le 4 ore della finale
- la regola del tie-break ...che goduria adrenalinica...ancora oggi resiste.
- e per finire...un salomonico bicchiere di corroborante dopo un film...per ricordare il disco-music da discoteca 'Call me' di Blondie...
L’interpretazione di Bjorn da parte di Sverri Gudnason è quasi in vero e reale: da pelle d’oca quanto basta; Shia LaBeouf in John McEnroe rimane (quasi) al suo pari: rissoso e indiavolato, vispo e allegro nel giusto.
Regia aggressivamente sportiva; un vintage che sa di colore da rispolverare per bene. Sottofondi, rumori e ambienti avvolgono ogni inquadratura.
Voto: 7/10.
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inesperto
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mercoledì 15 novembre 2017
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storia di una rivalità
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Borg è definito come un iceberg, ma in realtà è una pentola a pressione, sempre al limite, sempre pericolosamente sul punto di scoppiare. McEnroe è un esagitato, uno sboccato e maleducato dotato di classe cristallina. I due, all'apparenza così diversi, così agli antipodi, in realtà coincidono e risultano clamorosamente simili. Non potevano che dare vita ad una rivalità che decenni dopo sarebbe stata ricordata con un film. Traspare stima reciproca, che culmina in due scene: nella prima l'americano definisce lo svedese inumano, poichè sembra non avere emozioni; nella seconda Borg osserva il rivale in tv e capisce che le sue intempranze non sono perdita continua di concentrazione, ma esattamente l'opposto.
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Borg è definito come un iceberg, ma in realtà è una pentola a pressione, sempre al limite, sempre pericolosamente sul punto di scoppiare. McEnroe è un esagitato, uno sboccato e maleducato dotato di classe cristallina. I due, all'apparenza così diversi, così agli antipodi, in realtà coincidono e risultano clamorosamente simili. Non potevano che dare vita ad una rivalità che decenni dopo sarebbe stata ricordata con un film. Traspare stima reciproca, che culmina in due scene: nella prima l'americano definisce lo svedese inumano, poichè sembra non avere emozioni; nella seconda Borg osserva il rivale in tv e capisce che le sue intempranze non sono perdita continua di concentrazione, ma esattamente l'opposto. Si conoscono prefettamente senza bisogno di incontrarsi di persona. Shia LaBeouf è magistrale, ha interpretato il carattere difficile di McEnroe con una bravura ed un impegno che nn gli si erano mai riscontrati in precedenza. Ottimo.
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iuriv
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sabato 19 maggio 2018
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le fatiche del tennis.
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Quella tra Bjorn Borg e John McEnroe, la finale di Wimbledon 1980, è stata una delle partite più belle, intense e tirate nella storia del tennis.
Janus Metz Pedersen sceglie così di portarla sul grande schermo, approfittando dell'occasione per scavare dentro due personaggi all'apparenza diversissimi, che infiammarono il pubblico di Londra quel giorno e dominarono le classifiche ballando il loro waltzer per un anno ancora.
Più che la sfida tra i due giocatori, quindi, il film racconta di come questi atleti abbiano dovuto vincere contro se stessi prima ancora che con gli avversari.
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Quella tra Bjorn Borg e John McEnroe, la finale di Wimbledon 1980, è stata una delle partite più belle, intense e tirate nella storia del tennis.
Janus Metz Pedersen sceglie così di portarla sul grande schermo, approfittando dell'occasione per scavare dentro due personaggi all'apparenza diversissimi, che infiammarono il pubblico di Londra quel giorno e dominarono le classifiche ballando il loro waltzer per un anno ancora.
Più che la sfida tra i due giocatori, quindi, il film racconta di come questi atleti abbiano dovuto vincere contro se stessi prima ancora che con gli avversari.
Essendo una pellicola di produzione svedese, l'occhio attento degli autori si concentra maggiormente su Borg (clonato alla perfezione da Sverrir Gudnason), seguendolo attentamente nel suo percorso di alienazione.
Per interpretare il selvaggio Mac, invece, si è puntato su Shia LaBeouf, attore noto per la sua fama di scontroso e perfetto per portare in scena il grande ribelle del tennis. Tuttavia a me Shia continua a non convincere.
Di tennis non se ne vede molto in realtà. Più che altro si assiste a una efficace opera di montaggio, capace di alternare piccoli segmenti di gioco allo sviluppo dei protagonisti.
Un buon lavoro, in fin dei conti, che tuttavia non mi ha impressionato particolarmente. Sarà forse colpa di quel finale che mi ha lasciato in bocca quella domanda- e quindi?- che non amo farmi alla fine di una visione.
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fabio
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venerdì 20 luglio 2018
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il tennis metafora della vita. superficiale.
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Avevo sentito dire della famosa partita (e chi non la conosce?); anche se non l'avevo mai vista era entrata comunque nel mio immagginario. Lo scontro totale tra due personalità forti, apparentemente opposte, ma unite dalla voglia (dal bisogno) di vincere. Da questo punto di vista il film non mi ha sorpreso: era quello che mi aspettavo.
Ho apprezzato la precisione della ricostruizione; non si rende mai abbastanza merito alla troupe dei truccatori, costumisti, scenografi e tutte le centinaia di persone che studiano e lavorano sodo per la riuscita dell'opera.
Non mi è piaciuto il fatto che il film rimane spesso in superficie e non riesce ad andare a fondo nell'approfondimento psicologico dei personaggi.
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Avevo sentito dire della famosa partita (e chi non la conosce?); anche se non l'avevo mai vista era entrata comunque nel mio immagginario. Lo scontro totale tra due personalità forti, apparentemente opposte, ma unite dalla voglia (dal bisogno) di vincere. Da questo punto di vista il film non mi ha sorpreso: era quello che mi aspettavo.
Ho apprezzato la precisione della ricostruizione; non si rende mai abbastanza merito alla troupe dei truccatori, costumisti, scenografi e tutte le centinaia di persone che studiano e lavorano sodo per la riuscita dell'opera.
Non mi è piaciuto il fatto che il film rimane spesso in superficie e non riesce ad andare a fondo nell'approfondimento psicologico dei personaggi. Non è una missione facile descrivere le emozioni e tutto quello che passa dentro la testa di grandi campioni come Borg o supermac. Il film opta per un profilo più basso e con meno rischi: si preferisce lasciare più ai primi piani, stretti sui volti intensi dei protagonisti, il compito di descrivere la sofferenza ma anche la determinazione assoluta; Vincere diventa un bisogno ed il gioco passa in secondo piano. Non c'è gioia ma solo fatica (sopratutto mentale).
Certi episodi sportivi hanno una valenza che travalica lo sport stesso, entrano nell'immagginario popolare, raccontano un po' di noi tutti.
Si può apprezzare il fatto che il film non impone nulla allo spettatore ma alla fine ti domandi se non avresti preferito un po' più di coraggio per andare oltre le apparenze.
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valterchiappa
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lunedì 13 novembre 2017
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una partita che non avvince
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Janus Metz Pedersen aveva due strade di fronte a sé: percorrere gli oscuri meandri di una delle personalità più controverse del mondo dello sport, quella di Björn Borg, oppure celebrare l’epica battaglia che si svolse sul Campo Centrale dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club il 5 luglio 1980, la finale che da gran parte degli amanti del tennis viene ricordata come la più bella partita della storia.
All’inizio di quella fatidica estate Björn Borg (Sverrir Gudnasonk) è il più forte giocatore del mondo, vincitore delle ultime 4 edizioni del Torneo di Wimbledon.
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Janus Metz Pedersen aveva due strade di fronte a sé: percorrere gli oscuri meandri di una delle personalità più controverse del mondo dello sport, quella di Björn Borg, oppure celebrare l’epica battaglia che si svolse sul Campo Centrale dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club il 5 luglio 1980, la finale che da gran parte degli amanti del tennis viene ricordata come la più bella partita della storia.
All’inizio di quella fatidica estate Björn Borg (Sverrir Gudnasonk) è il più forte giocatore del mondo, vincitore delle ultime 4 edizioni del Torneo di Wimbledon. Appare invincibile, ma soprattutto è qualcosa di mai visto prima. I tennisti dell’epoca avevano una caratterizzazione precisa: schermidori con la racchetta, artisti e gentiluomini, estrosi sul campo, dove la loro dote principale è il tocco, gaudenti viveur al di fuori, contesi dagli ambienti del jet set e dalle donne più belle. Borg invece è un marziano. Rimane inchiodato alla riga di fondo, ribatte come un muro ogni palla, brandisce la racchetta come una mazza da hockey con cui tirare sassate. Rigoroso e maniacale durante la preparazione, di indole schiva e solitaria nella vita privata, sul campo non manifesta alcuna emozione: è Ice-Borg, l’uomo di ghiaccio.
Scorrendo la sua storia si scopre invece che l’impassibilità è solo la prigione in cui ha rinchiuso la rabbia e l’aggressività che hanno tempestato la sua adolescenza. Con l’aiuto del paterno allenatore Lennart Bergelin (Stellan Skarsgård) ha imparato a canalizzare quelle violente pulsioni nei colpi con cui affonda i suoi avversari. Ma i suoi demoni sono ancora vivi e il più tenace si chiama Sconfitta.
In quella lontana estate l’incubo si materializza in un ragazzo americano riccioluto e ribelle: John McEnroe (Shia LaBeouf). Agitato da un medesimo impeto, oppostamente all’Orso svedese lo yankee non lo nasconde affatto. Lo scarica tutto sul campo con comportamenti che violano le consolidate regole del fair play. Ma al contempo lo traduce in un gioco fatto di rotazioni diaboliche, tagli deliziosi, traiettorie imprevedibili; in una parola, in talento puro.
Ecco quindi cosa fu anche quella mitica partita: il confronto fra due percorsi terapeutici dalla medesima origine e destinazione opposta: da una parte il rigido controllo delle emozioni, dall’altro la loro più libera espressione.
Ed ecco cosa sarebbe potuto essere “Borg McEnroe”, oltre ad un meraviglioso racconto di sport. Janus Metz Pedersen invece rimane a metà strada, senza intraprendere decisamente una direzione o l’altra. Il ritratto psicologico dei due campioni viene affidato alle approssimative pennellate di una aneddotica ritrita e talora poco significativa. Del complesso universo interiore di Borg, vero protagonista del film, rimane solo una semplice enunciazione di comportamenti, senza la sintesi di un’analisi approfondita. Per contro la figura di McEnroe, utilizzata come specchio e descritta con la stessa tecnica, assume addirittura tratti caricaturali. Ma anche la ricostruzione del fatto sportivo, sebbene minuziosa e resa dinamica da un montaggio serrato, non restituisce il pathos che attanagliò chi ebbe la fortuna di assistere a quell’incontro.
“Borg McEnroe” rimane quindi un biopic come tanti, magari ben confezionato, attento solo ad una rispondenza esteriore (impressionanti ad esempio le somiglianze di Sverrir Gudnasonk e di Tuva Novotny, che interpreta Mariana Simionescu). Vuole non essere banale, ma non rinuncia a piacere a tutti; ma quali che siano le aspettative dello spettatore, all’uscita della sala ad ognuno mancherà qualcosa.
A Janus Metz Pedersen è mancato il coraggio. Ma senza questo non si può essere campioni.
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[+] borg
(di michelevoss)
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