Balon

Film 2017 | Drammatico +13 94 min.

Titolo originaleBalon
Anno2017
GenereDrammatico
ProduzioneItalia
Durata94 minuti
Regia diPasquale Scimeca
AttoriVincenzo Albanese, David Koroma, Yabom Fatmata Kabia, Raffaella Esposito .
RatingConsigli per la visione di bambini e ragazzi: +13
MYmonetro 3,01 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Pasquale Scimeca. Un film con Vincenzo Albanese, David Koroma, Yabom Fatmata Kabia, Raffaella Esposito. Titolo originale: Balon. Genere Drammatico - Italia, 2017, durata 94 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 - MYmonetro 3,01 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento giovedì 30 novembre 2017

Un fratello e una sorella viaggiano per fuggire dalla guerra in Nigeria. La destinazione è l'Europa dove sperano in un futuro migliore. In Italia al Box Office Balon ha incassato nelle prime 2 settimane di programmazione 10,6 mila euro e 7,2 mila euro nel primo weekend.

Consigliato sì!
3,01/5
MYMOVIES 2,00
CRITICA
PUBBLICO 4,01
CONSIGLIATO SÌ
Scheda Home
Critica
Premi
Cinema
Scimeca affronta il tema dei migranti entrando nel mondo di chi quelle esperienze le conosce nella realtà.
Recensione di Giancarlo Zappoli
sabato 30 marzo 2024
Recensione di Giancarlo Zappoli
sabato 30 marzo 2024

Sierra Leone, oggi. Amin ha dieci anni e la cosa che lo fa più felice è giocare a calcio. Lui e sua sorella Isokè, quindici, si ritrovano soli dopo che la loro famiglia viene massacrata da mercenari durante una sparatoria nel loro piccolo villaggio. Facendosi coraggio, per scampare a morte e miseria si mettono in viaggio con poche risorse in uno zainetto. Sanno solo di doversi dirigere a Nord, senza avere la minima idea di dove si trovi la Svezia, il Paese che il nonno ha consigliato loro di raggiungere. Attraversano paesaggi differenti, fiumi, passano la notte nel deserto, incontrano due brave persone che li aiutano e criminali trafficanti di corpi che li considerano solo sotto forma di fonte di guadagno.

Pasquale Scimeca affronta il tema dei migranti entrando con la macchina da presa nel mondo di chi quelle esperienze le conosce nella realtà.

Scimeca per anni ha visto arrivare barconi, ha parlato con profughi, ha ascoltato i dibattiti in tv e ha letto i giornali per cercare di farsi un'idea, di avere un'opinione precisa sul fenomeno migratorio; ha riferito di essersi sentito fortemente lacerato tra la paura e il senso di umanità, imprescindibile nella coscienza di ognuno di noi. Ha così deciso di recarsi in Africa e cercare di capire quello che sta succedendo e raccontare così la violenza e la povertà di un intero Paese. Dal suo punto di vista infatti 'solo la conoscenza diretta di ciò che è lontano da noi può muovere un atteggiamento diverso verso i migranti che bussano nella nostra terra'.

Ne è nato un film in cui il budget limitato non impedisce di avvertire la sincerità delle intenzioni di un regista che non gira mai 'su commissione' ma ha bisogno di credere in ciò che sta portando sullo schermo. Ecco allora che quel pallone che dà il titolo al film diventa il protagonista del sogno di Amin che lo spinge al viaggio. All'inizio viene bucato e il bambino ce la mette tutta per ripararlo. Ma col passare dei giorni e degli eventi tragici nel villaggio, il suo sogno di diventare calciatore sembra sfumare e diventare sempre più irraggiungibile. Si trasforma poi in un appiglio per non pensare a ciò che è avvenuto e a ciò che sta avvenendo: una nuova schiavitù, un viaggio verso l'ignoto.

Scimeca però non è interessato a portare sullo schermo solo la negatività e le sofferenze che i reportage televisivi e la cronaca quotidiana già ci hanno fatto conoscere. Ci tiene a ricordarci che anche (e soprattutto) nelle situazioni più tragiche la solidarietà gioca un ruolo fondamentale.

Amin e Isokè possono trovare la forza per andare avanti perché li unisce un forte legame fraterno. I due poi troveranno l'aiuto di due archeologi italiani che li soccorrono in una fase particolarmente critica del viaggio. In un film che ha anche una valenza che potremmo definire didattica nel senso più positivo del termine (e potrebbe essere un ottimo strumento da utilizzare nelle scuole) ci fa presente che anche nelle situazioni apparentemente più prive di vie d'uscita si può ancora fare affidamento su un senso di pietas (anche questo nella sua accezione più elevata) che alberga in esseri che sanno dare un senso alla parola umanità.

Sei d'accordo con Giancarlo Zappoli?
Due fratelli in cammino dall'Africa verso il Nord: didascalismo, frontalità, piattezza. Più operazione umanitaria che cinema .
Recensione di Raffaella Giancristofaro
giovedì 30 novembre 2017

Sierra Leone, oggi. Amin ha dieci anni e la cosa che lo fa più felice è giocare a calcio. Lui e sua sorella Isokè, quindici, si ritrovano soli dopo che la loro famiglia viene massacrata da mercenari durante una sparatoria nel loro piccolo villaggio. Facendosi coraggio, per scampare a morte e miseria si mettono in viaggio con poche risorse in uno zainetto. Sanno solo di doversi dirigere a Nord, senza avere la minima idea di dove si trovi la Svezia, il Paese che il nonno ha consigliato loro di raggiungere. Attraversano paesaggi differenti, fiumi, passano la notte nel deserto, incontrano due brave persone che li aiutano e criminali trafficanti di corpi che li considerano solo sotto forma di fonte di guadagno. Una traiettoria che l'attualità ci sottopone quotidianamente attraverso i media e il giornalismo d'inchiesta (in una delle ultime forme di fiction, ma catturando uno scenario ben più ampio e narrativamente giustificato, in L'ordine delle cose di Andrea Segre).

Pasquale Scimeca si prefigge di raccontare con la massima fedeltà possibile ("ho filmato quello che ho visto", si legge nelle note di regia) il contesto di provenienza, le motivazioni del viaggio e le disumane situazioni alle quali i migranti provenienti dall'Africa si sottopongono per procacciarsi un futuro.

A tal fine utilizza attori africani che non solo non sono professionisti (i protagonisti David Koroma e Yabom Fatmata Kabia, e tanti altri abitanti del villaggio) ma che sono totalmente ignari del dispositivo cinema ("nel mio villaggio non c'è la luce elettrica e quindi non c'è il cinema né la televisione", sempre dalle note di regia, dichiara l'interprete di Isokè). Il primo effetto è quello di una fastidiosa sensazione di spaesamento. Quindi il regista e sceneggiatore affida loro dialoghi tautologici rispetto alle azioni che chiede loro in scena. Un'evidenza a tratti intollerabile, che aggiunge banalità e sottrae mordente narrativo una vicenda drammatica già sulla carta. Naturale che, quando in campo entrano professionisti come i due attori italiani che salvano Amin e Isokè dalla disidratazione (Vincenzo Albanese, che accompagna Scimeca da una decina di titoli, da Un sogno perso a Biagio, e Raffaella Esposito) la sospensione dell'incredulità sia già altrove, in ogni caso parecchio lontano dalla sala.

Un film insomma dal proposito onorevole ma la cui concezione suona pesantemente naif e fuori tempo massimo rispetto ai tanti punti di vista sulla migrazione africana offerti dal cinema europeo e internazionale dell'ultimo decennio. Tra i quali spicca, per esempio, il documentatissimo e serrato Hope di Boris Lojkine (alla Semaine di Cannes nel 2014), sul percorso di due giovani protagonisti da Camerun e Nigeria alle coste del Mediterraneo. Il coinvolgimento del cast locale è movente meritorio, soprattutto sotto il profilo psicologico (la rappresentazione come catarsi), ma sfuggono le motivazioni di una messa in scena così frontale, didascalica, ripetitiva.
I proventi del film verranno destinati alla costruzione di strutture nel villaggio: ulteriore conferma del fatto che Balon rientra a pieno diritto nell'ambito della prassi umanitaria ma ha a molto meno a che fare con il cinema. Nello stesso orizzonte estetico ("da una storia vera") si muove il non privo di difetti ma coraggioso My Name Is Adil di Adil Azzab.

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RECENSIONI DALLA PARTE DEL PUBBLICO
giovedì 14 marzo 2024
giovanni di diovanni

Sono un docente di liceo e non un critico cinematografico. ma amo il cinema e lo propongo spesso ai miei ragazzi. Ho visto il film Balon di Pasquale Scimeca nella mia scuola sei anni fa, e ne sono rimasto colpito, come del resto i ragazzi e le ragazze che l'hanno visto con me. Agli inizi di questo anno ho visto anche il film di Matteo Garrone, Io Capitano, e la prima cosa che mi ha colpito è [...] Vai alla recensione »

giovedì 14 marzo 2024
giovanni di diovanni

Sono un professore di liceo e ho visto il film BALON con i miei ragazzi cinque anni fa. All'inizio di quest'anno ho visto il film  IO CAPITANO, e ho notato molte somiglianze tra i due film. Due ragazzi che lasciano la propria terra,( nel film di Scimeca perché costretti da una banda di predoni che saccheggino il loro villaggio,e nel film di Garrone per migliorare la loro vita in [...] Vai alla recensione »

mercoledì 30 maggio 2018
vianoandrea

non mi trovo d'accordo con quanto letto nella recensione... per me il film è di alto valore artistico. Rispettoso e delicato nel trattare il tema dell'immigrazione. Uno sguardo aperto sull'Africa che ci fa capire tante cose. lo consiglio soprattutto agli studenti e a chi ha un sentimento razzista verso i ragazzi che vengono dall'Africa una speranza di salvezza qui da noi.

FOCUS
FOCUS
venerdì 16 febbraio 2018
Giancarlo Zappoli

Dinanzi a un film di Pasquale Scimeca non valgono le categorie che si è soliti applicare al cinema. Il cinema per lui è sempre stato un'esperienza totalizzante che è andata sempre al di là della pura e semplice messa in scena di una storia. È così fin dal primo film che lo fece conoscere al grande pubblico. Placido Rizzotto non era solo l'ennesimo film sulla mafia ma un'opera in cui si sentiva l'urgenza di raccontare un personaggio dimenticato e di ammonire che "non si nasce schiavi o padroni, lo si diventa". Da allora ogni suo lavoro ha mostrato e dimostrato un'urgenza che, citando Fabrizio De André, potremmo definire "in direzione ostinata e contraria".

Anche quando l'origine del soggetto era di matrice letteraria (l'amato Giovanni Verga) la tensione ideale rimaneva indelebile e immediatamente riconoscibile.

Così come connotativa delle sue scelte di regia è la commistione che instaura ogni volta tra attori professionisti e persone alla prima esperienza davanti alla macchina da presa. È ciò che accade in questa occasione in cui motore della storia sono le narrazioni ascoltate presso un centro di accoglienza dei migranti in Sicilia e la scelta di andare a girare in Sierra Leone in un villaggio i cui abitanti non sanno cosa siano il cinema o la televisione.

La macchina da presa ne va a cercare i primi piani, quando si tratta dei protagonisti che interpretano una storia che a loro non é accaduta ma che non manca di elementi vissuti direttamente. Come quando si assiste all'assalto del villaggio da parte di una banda ramata che semina la morte: la Sierra Leone non ha dimenticato la guerra civile che ne ha a lungo insanguinato le strade. Dal terrore si fugge per poi incontrarlo di nuovo in una gabbia libica in attesa di una liberazione o del degrado mentre il canto che era rituale di festa o di fede si trasforma in melodia di consolazione o di preludio al gesto estremo.

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