writer58
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domenica 6 agosto 2017
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la città perduta di z.
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Questo film del regista americano James Gray mi ha ricordato per alcuni versi "El abrazo de la serpiente", straordinaria opera di Ciro Guerra. Entrambi i film sono ambientati nell'Amazzonia "profonda" all'inizio del '900, entrambe le proposte sono fondate su un'ansia di conoscenza e di ricerca che contrappone l'esploratore occidentale con la saggezza atemporale e concreta, fatta di integrazione funzionale con l'ambiente ed equilibrio spirituale, delle popolazioni native. A differenza del film di Guerra, che assegnava un ruolo fondamentale allo sciamano, colto in due momenti differenti del suo percorso di vita, "The lost city of Z" è centrato sulla figura dell'esploratore, il maggiore Percy Fawcett, che intraprende svariati viaggi al confine tra Bolivia e Brasile, prima per mappare un'area incognita, in seguito per trovare prove di una civilizzazione antichissima perduta nel folto della selva (La città di Z.
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Questo film del regista americano James Gray mi ha ricordato per alcuni versi "El abrazo de la serpiente", straordinaria opera di Ciro Guerra. Entrambi i film sono ambientati nell'Amazzonia "profonda" all'inizio del '900, entrambe le proposte sono fondate su un'ansia di conoscenza e di ricerca che contrappone l'esploratore occidentale con la saggezza atemporale e concreta, fatta di integrazione funzionale con l'ambiente ed equilibrio spirituale, delle popolazioni native. A differenza del film di Guerra, che assegnava un ruolo fondamentale allo sciamano, colto in due momenti differenti del suo percorso di vita, "The lost city of Z" è centrato sulla figura dell'esploratore, il maggiore Percy Fawcett, che intraprende svariati viaggi al confine tra Bolivia e Brasile, prima per mappare un'area incognita, in seguito per trovare prove di una civilizzazione antichissima perduta nel folto della selva (La città di Z., che ha dato origine a un libro biografico e al film).
Fawcett è un uomo singolare, in bilico tra tradizione e rivolta, tra innovazione e desiderio di trascendere i limiti propri della società vittoriana del tempo. Confinato in un ruolo che gli consente scarsissime opportunità di carriera, accetta la proposta della Royal Geographic Society: intraprendere una missione pericolosa e potenzialmente letale lungo il corso del Rio Verde, per stabilire il confine tra Bolivia e Brasile, mentre i due paesi vivono una forte tensione per lo sfruttamento degli alberi di caucciù e la nascente industria della gomma.
L'Amazzonia è rappresentata senza alcun estetismo. nel 1905 (data del primo viaggio di Fawcett) appare come un'estensione immensa di alberi, mangrovie, un sottobosco fittissimo pullulante di serpenti, insetti, scorpioni. I fiumi formano serpentine nella selva e sono popolati da piranha. Le tribù indigene sono spesso ostili e a volte bersagliano i viaggiatori con frecce e lance. Il caldo asfissiante e le malattie tropicali, oltre alla difficoltà di procurarsi il cibo, rischiano di decimare la spedizione.
Ciononostante (o forse proprio grazie a tutto ciò) Fawcett sviluppa una fascinazione progressiva per la selva, scopre vestigia nel folto della foresta (pezzi di terracotta) che riconduce all'esistenza di una civilizzazione antica, a una città perduta nel cuore dell'Amazzonia. Sfida l'incredulità e lo scherno dei membri della Royal Geographic per sostenere questa tesi, mette a dura prova la disponibilità della moglie (donna 'intrepida e coraggiosa) che l'ha atteso per più di due anni e che ha allevato da sola il loro figlio primogenito.
Non si tratta di un viaggio alla ricerca di se stesso, ma di un desiderio prometeico di "illuminare" la storia dell'uomo riscrivendo le origini della civilizzazione. Insieme, è il desiderio di un "altrove" che, quando viene identificato, amplifica i desideri di trascendenza e di autorealizzazione, rende la ricerca appassionata e vitale. Il film di Gray dipana la vicenda di Fawcett in modo sapiente, alternando le sequenze amazzoniche con scampoli della vita sociale della Gan Bretagna di inizio secolo. Anche la prima Guerra Mondiale, col suo carico di orrori e di devastazioni, è poco più di un intermezzo nella ricerca spirituale del protagonista e del suo figlio maggiore.
La narrazione è fluida, senza punti morti - nonostante la pellicola duri più di due ore-, lo sviluppo della vita del protagonista è avvincente e credibile, Hunman offre un'ottima interpretazione di Fawcett (confermando la sua eccellente performance in "Son of Anarchy", molto buona anche la prova di Pattinson e della Miller nel ruolo di Nina.
Un ottimo film che emoziona senza ricorrere a facili espedienti e che lascia una traccia nello spettatore
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(di vanessa zarastro)
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ashtray_bliss
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mercoledì 5 luglio 2017
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l'uomo che sfidò il mondo alla ricerca di sè.
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Partendo dalle cose essenziali, bisogna ammettere che The Lost City of Z, tratto dall'omonimo libro, biografico, su Fawcett, non è un film facile o per tutti. Vi ho ritrovato molte similitudini con Silence di Scorsese, poichè è un film costruttivamente lento, intimista, sussurrato, un film dove l'emozione si scava lentamente ma visceralmente e profondamente e dove al centro della storia vi sono personaggi realmente esistiti che hanno intrapreso un viaggio in capo al mondo, alla scoperta di civiltà e luoghi totalmente nuovi e inesplorati. Ma anche alla più intima ricerca di se stessi, del vero io, che si cela dentro ognuno di noi, poichè chi intraprende grandi viaggi e pericolose sfide, a rescindere dal pretesto, è una persona in costante ricerca di scoprire se stessa.
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Partendo dalle cose essenziali, bisogna ammettere che The Lost City of Z, tratto dall'omonimo libro, biografico, su Fawcett, non è un film facile o per tutti. Vi ho ritrovato molte similitudini con Silence di Scorsese, poichè è un film costruttivamente lento, intimista, sussurrato, un film dove l'emozione si scava lentamente ma visceralmente e profondamente e dove al centro della storia vi sono personaggi realmente esistiti che hanno intrapreso un viaggio in capo al mondo, alla scoperta di civiltà e luoghi totalmente nuovi e inesplorati. Ma anche alla più intima ricerca di se stessi, del vero io, che si cela dentro ognuno di noi, poichè chi intraprende grandi viaggi e pericolose sfide, a rescindere dal pretesto, è una persona in costante ricerca di scoprire se stessa. Ma il film non resta mai in superficie e non si fa bastare l'ausilio di straordinari scenari naturali e di una fotografia mozzafiato, riuscendo a esplorare i capisaldi della società britannica d'inizio secolo (siamo nel 1910) tra cui vi è: il colonialismo, il razzismo verso popolazioni culturalmente distanti e diametralmente opposte da quella inglese, intrisa di una morente morale vittoriana perbenista ma ipocrita (notare come i nativi vengano puntualmente chiamati selvaggi). E ancora si passa per la discriminazione sociale della donna, relegata al ruolo tradizionalmente assegnatole e inevitabile di madre e moglie apprensiva e amorevole ma viene fotografata anche la rivalità tra i diversi pionieri nelle loro spedizioni esplorative ai confini del mondo.
In questo contesto contraddittorio e in fase di completa evoluzione, troviamo il pioniere Percy Fawcett, ex militare, che viene inviato nella giungla brasiliana per mappare il percorso del Rio Verde, nel cuore dell'Amazzonia, che servirà da confine tra il Brasile e la Bolivia.
Ma quel posto magnifico e selvaggio, ostile e spietato ma affascinante e misterioso, eserciterà su di lui un fascino tale da spingerlo ad addentrarsi nei vasti territori inesplorati; alla ricerca di una civiltà perduta e una città nascosta, che lui stesso chiamerà "Z" proprio come l'ultima lettera dell'alfabeto. Fawcett insieme al suo piccolo gruppo di esploratori riuscirà a rinvenire delle inequivocabili prove dell'esistenza di una civiltà antica, e da quel punto in poi dedicherà la sua intera vita alla missione di rintracciare quella civiltà antica e i suoi insediamenti. Visionario e audace, dall'animo indomabile e la prontezza di dedicarsi all'avventura, Fawcett sfiderà tutto: la società contemporanea inglese che lo deride per la sua irremovibile convinzione dell'esistenza di una civiltà antica ma evoluta nel cuore dell'Amazzonia; una ipotesi quasi eretica al tempo. Ma sfida altresì la morte addentrandosi in territori sconosciuti e sfidando tribù di indios non sempre amichevoli i quali non parlano la sua lingua e coi quali non riesce a comunicare efficacemente. E poi sfida il suo ruolo sociale come padre e marito, perennemente assente dalla vita famigliare che non vede crescere i propri figli e non riesce ad invecchiare accanto a sua moglie come imporrebbe la morale dell'epoca. Un ribelle di natura, le gesta delle quali resteranno nella storia, seppur inizialmente sotto un'ottica completamente sbagliata e negativa. E la sua fine è veramente degna di un romanzo d'avventura: avvolta in una cupa e densa nebbia di mistero che ha dato il via ad uno svariato ventaglio di ipotesi. Percy e il figlio Jack, infatti, non fecero più ritorno in patria dopo essere giunti nuovamente in Amazzonia alla ricerca di Z dopo la fine della Prima Guerra Mondiale generando una serie di interrogativi ai quali non esiste risposta.
Il film, firmato dal talentuoso Gray ripercorre le tappe più importanti e significative della vita di Fawcett senza omettere coloro che gli gravitano intorno: a partire dall'intraprendente moglie Nina che cerca un modo per rendersi più indipendente in una società che non è ancora pronta ad accogliere le donne come parte integrante del tessuto sociale, ma che trasmette al marito -e successivamente ai figli- la passione per l'avventura, la bellezza del cercare e andare oltre i limiti del possibile sfidando gli Dei e mettendosi sempre alla ricerca di cose nuove e grandiose. Fawcett accoglie questo richiamo all'ignoto e si magnetizza dalla bellezza selvaggia nella quale si trova immerso divenendone completamente assuefatto e trasmettendo la sua stessa passione anche al primogenito, colui che lo convincerà a intraprendere l'ultimo viaggio verso quel luogo incantevole e dimenticato.
Ottimale, quindi, la ricostruzione e l'approfondimento psicologico dei personaggi. Favolosa e magnetica la fotografia che rievoca perfettamente quelle ataviche emozioni in sospeso fra la meraviglia che tale luogo scaturisce in ognuno di noi, ma anche la paura e l'insicurezza che genera l'addentrarsi in un luogo così vasto e inesplorato. A tratti brillante e a tratti cupa, la fotografia è assolutamente una delle carte vincenti della pellicola. Ineccepibili sono anche le recitazioni, da parte di un cast azzeccato e in forma perfetta. Elegante come sempre la brava Sienna Miller, perfetto per il ruolo Charlie Hunnam, qui decisamente più impegnato e calato nel proprio ruolo rispetto a King Arthur. Ovviamente bravo il giovanissimo Holland che sin da piccolo ha dato dimostrazione di essere un vero talento, nato per l'arte cinematografica, ma spicca anche Robert Pattinson in un ruolo maturo e impegnativo anch'egli dimostrando di essere un attore poliedrico e tristemente sottovalutato. Atmosfera e colonna sonora si sposano alla perfezione in questo film che secondo me rappresenta uno dei migliori biopic d'avventura degli ultimi anni. Non è Apocalypto e nemmeno il New World di Mallick, anche se lo stile riescheggia quest'ultimo, ma un'opera ispirata, che vive e brilla di luce propria.
Rievoca le sfaccettature contraddittorie della società inglese degli inizi del ventesimo secolo ma sopratutto trasmette quella insaziabile voglia di vivere in grande, di avventurarsi e superare i limiti di sè e della società, spingendosi oltre; laddove anche la morte non fa più paura perchè è solo una, l'ultima, sfida con cui battersi.
Un'epopea grandiosa intrisa di lirismo che ti resta dentro a lungo. Per me un capolavoro 4,5/ 5.
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samanta
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mercoledì 28 giugno 2017
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un sogno mortale
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Il film ha come protagonista una persona realmente vissuta il colonnello Percy Fawcett che fu un esploratore inglese proveniente dall'esercito che organizzò dal 1906 al 1925, salvo l'intervallo della I guerra mondiale in cui combatté, numerose spedizioni in Amazzonia in territori inesplorati la sua ultima spedizione avvenne nel 1925 ed era finalizzata alla ricerca duna città denominata Z che Fawcwett riteneva di aver trovato le tracce in precedenti spedizioni, l'esploratore non ritornò mai più e scomparve nella giungla insieme al primogenito Jack e ad un inglese suo compagno in precedenti spedizioni. Nel film Percy (Charlie Hunnam Il Potere della spada) deluso dalla vita militare in cui malgrado le sue doti non riesce a fare carriera anche per i pregiudizi causati dal comportamento sregolato di suo padre, decide di accettare un incarico della Società Geografica per la mappatura del fiume Rio Verde in Amazzonia, parte con il consenso della moglie Mila (Sienna Miller American sniper) da cui ha avuto tre figli: due maschi e una femmina .
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Il film ha come protagonista una persona realmente vissuta il colonnello Percy Fawcett che fu un esploratore inglese proveniente dall'esercito che organizzò dal 1906 al 1925, salvo l'intervallo della I guerra mondiale in cui combatté, numerose spedizioni in Amazzonia in territori inesplorati la sua ultima spedizione avvenne nel 1925 ed era finalizzata alla ricerca duna città denominata Z che Fawcwett riteneva di aver trovato le tracce in precedenti spedizioni, l'esploratore non ritornò mai più e scomparve nella giungla insieme al primogenito Jack e ad un inglese suo compagno in precedenti spedizioni. Nel film Percy (Charlie Hunnam Il Potere della spada) deluso dalla vita militare in cui malgrado le sue doti non riesce a fare carriera anche per i pregiudizi causati dal comportamento sregolato di suo padre, decide di accettare un incarico della Società Geografica per la mappatura del fiume Rio Verde in Amazzonia, parte con il consenso della moglie Mila (Sienna Miller American sniper) da cui ha avuto tre figli: due maschi e una femmina . In questa spedizione crede di aver trovato i resti di un'antica civiltà denominata da lui città Z. Successive spedizioni per vari motivi non hanno dato il risultato sperato, dopo l'intervallo della guerra in cui si comporta valorosamente e viene ferito si ritira a vita privata. Spinto dal figlio primogenitp Jack (Tom Holland il ragazzino di Impossible) parte con il consenso di Mila per la sua ultima spedizione da cui non ritornò più, nel film si adombra, come è probabile, che venga ucciso dai selvaggi della foresta. Nelle didascalie del film si afferma che la moglie morì nel 1954 e fino all'ultimo sperò che ritornasse e che agli inizi del duemila vennero rintracciati i resti di una città nel posto che Percy aveva indicato come Z. E' un buon film in cui viene bene tratteggiata bene la psicologia dei personaggi, in particolare il perseguire da parte di Percy lo spirito di scoperta, il sogno di trovare una civiltà perduta, il rispetto degli indios che vivevano in armonia con la natura pur avendo costumi terribili quali ad esempio il cannibalismo, la forza di volontà e l'amore di Mila che pur amando appassionatamente il marito comprende il suo spirito di ricerca e manda avanti da sola la famiglia. Il difetto del film è nella mancanza di ritmo specie nella seconda parte e di una lentezza delle scene, ad esempio trovo che si soffermi troppo sulle scene di guerra anche perché non sono significative in una pellicola in cui il protagonista non è un Indiana Jones ma un uomo mosso da intenti idealistici. La fotografia è buona anche se i colori sono un pò sfumati (un retaggio forse dei noir delle prime pellicole del regista) però certe immagini della foresta sono spettacolari.
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vanessa zarastro
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mercoledì 9 agosto 2017
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geografia tra tradizione e innovazione
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The Lost City of Z, titolo originale del film tratto dal libro omonimo di David Grann, è proprio un bel filmone storico come quelli che si facevano una volt, e abbraccia un periodo che va dall’inizio del ‘900 alle soglie della seconda Guerra mondiale.
La storia ripercorre le vicende reali di Percy Fawcett (Charlie Hunnam), esploratore inglese alla ricerca di una civiltà perduta in Amazzonia. Un militare bravo e aitante, poco gratificato nella sua carriera, accetta un incarico dalla Royal Geographic Society, per un rilevamento di un territorio inesplorato del Sudamerica, al confine tra Bolivia e Brasile, che lo avrebbe portato lontano dalla moglie (Sienna Miller) e figli per un paio di anni.
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The Lost City of Z, titolo originale del film tratto dal libro omonimo di David Grann, è proprio un bel filmone storico come quelli che si facevano una volt, e abbraccia un periodo che va dall’inizio del ‘900 alle soglie della seconda Guerra mondiale.
La storia ripercorre le vicende reali di Percy Fawcett (Charlie Hunnam), esploratore inglese alla ricerca di una civiltà perduta in Amazzonia. Un militare bravo e aitante, poco gratificato nella sua carriera, accetta un incarico dalla Royal Geographic Society, per un rilevamento di un territorio inesplorato del Sudamerica, al confine tra Bolivia e Brasile, che lo avrebbe portato lontano dalla moglie (Sienna Miller) e figli per un paio di anni.
L’impresa è molto difficile e rischiosa: la diffidenza delle persone locali, la difficoltà di reperire l’equipaggio esperto, il pericolo degli indios cannibali, le insidie della natura della giungla e del Rio delle Amazzoni, e così via.
Percy Fawcett, coadiuvato dal fido Henry Costin (Robert Pattinson), arriva alla sorgente del fiume dove trova i resti di un’antica civiltà: terrecotte, coccetti, volti scolpiti nel legno; tutto fa presumere l’esistenza di una città e di una cultura probabilmente precedente perfino a quella britannica.
Eresia! gridano in patria.
Fawcett sfida il bigottismo, il razzismo e il conservatorismo della Royal Society e la ricerca di Z, sua Città perduta, diventa una vera fissazione. Lo spirito dell’avventura, il misurarsi con le forze palesi e con quelle oscure, e l’idea di fare una scoperta storica sensazionale (la gloria!) sono i motori della sua ossessione che lo spingeranno a tornare ancora lì lasciando la prolifica moglie che, dopo un desiderio folle di condivisione dell’esperienza in Amazzonia, lo aiuterà nella sua folle impresa con grande pazienza e solidarietà, espletando perfino con alcune ricerche storiche.
Riuscirà il nostro eroe a trovare le prove dell’esistenza della Civiltà in Z?
Questo non lo voglio svelare, ma le sue gesta – dopo il lungo episodio della Guerra contro la Germania – avranno grande eco in America e, una volta guarito dalle ferite riportate, ripartirà per l’ennesima volta portandosi dietro, stavolta, l’appassionato Jack, il suo figlio primogenito.
Come molti film di ricostruzione storico ambientale Civiltà perduta è appagante: bei costumi, belle musiche e bella fotografia. Qua e là qualche piccola ingenuità ma, tutto sommato, il film si vede volentieri.
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loland10
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domenica 25 giugno 2017
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la 'zeta' da (ri)cercare
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“Civiltà perduta” (The Lost City of Z, 2016) è il sesto lungometraggio del regista newyorkese James Gray.
Film di ambienti, di famiglie, di storie, di viaggi, di sentimenti, di imperi e di scontri.
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“Civiltà perduta” (The Lost City of Z, 2016) è il sesto lungometraggio del regista newyorkese James Gray.
Film di ambienti, di famiglie, di storie, di viaggi, di sentimenti, di imperi e di scontri.
L’uomo e la sua meta, l’uomo e l’ignoto, l’uomo e la sua interiorità: nella pellicola si mescolano, si aggrovigliano e si dipanano idee agguerrite di confini sconosciuti e di zone vergini nella Bolivia dei primi decenni del ‘900.
Un film dove il linguaggio e il suo incontro, i luoghi e i loro resti, le acque e il loro scorrere inesorabile limitano e fanno barcollare i pensieri e il coraggio degli inglesi. La voglia di conoscenza va oltre la conquista e il sapere di una città sconosciuta a tutti batte ogni giogo resistente di sopraffazione, vittoria e rude colonialismo. L’inglesismo burbero e pacato di una vittoria a tutti i costi, prima che tutti ne vedano gloria, arrivano al mondo di una civiltà mai incontrata, inesistente dove l’ordinario borghesismo dell’epoca va a rotoli completamente. Si incontrano linguaggi e mondi opposti, ricchezze e cannibalismi, culture e primitivi, umanità e fobie antiche. La vita e la morte sono lì senza muri e ognuno arriva come vuole e senza proposte.
Percy Fawcett (Charlie Hunnam) nè un militare che ha voglia di fare carriere e di passare di grado; la Royal Society gli dà la possibilità con lo studio del territorio amazzonico in Bolivia e per eseguire una cartografia di luoghi vergini. Il lavoro di due anni termina ma il fascino che gli lascia la zona e alcune scoperte archeologiche trovano in lui la grande aspirazione di cercare la ‘culla’ della città perduta Z.
Il colonnello Percy tornerà più volte in Amazzonia, con il suo fido caporale Henry Costin (Robert Pattinson) lasciando la sua famiglia e i suoi figli: l’adorata moglie Nina (Sienna Miller) è con lui nonostante la grande distanza e le poche righe che si inviano. Ci troviamo ad inizio secolo scorso e dopo la prima guerra mondiale. Il figlio primogenito Jack (Tom Holland), vivace e integerrimo nel rispetto, trova il coraggio e la forza di partire con suo padre per trovare l’Eldorado della civiltà moderna.
Il film dove sembra che si debba accorciare (a noi che osserviamo) si perfeziona in dialoghi lunghi e necessari; dove invece ci si aspetta avventura e altro riesce a stringere ed essere essenziale. Tutto in uno scambiarsi di umori, sensazioni, sguardi e ambienti dove ogni sguardo registico, personale e attoriale si incastrano in visionarietà, classicità e sogno oltre la morte. ‘Parleranno di noi dopo questo che abbiamo visto’: il colonnello e suo figlio si sentono uniti oltre l’Oceano con la loro casa famigliare mentre il destino appare inevitabile. Lo scontro selvaggio (ultimo) delle tribù è su chi ha il ‘diritto’ di appropriarsi della vita dei nuovi arrivati: si scappa inutilmente. Il verde, il buio, l’acqua e in ultimo il fuoco zittiscono le loro voci ma alzano il mistero di un ricordo continuo.
E il termine ‘padre’ con cui Jack chiama il colonnello suo genitore si trasforma in un afflato senza paura, in un ‘papà’ cordiale, amorevole e di grande affetto. ‘Papà ti voglio bene, … Anch’io ti voglio bene’. Parole semplici ed efficaci dopo un girovagare continuo e una ricerca assidua di vite passate e di storie mai studiate. Lo spirito della conquista interiore vince la sua battaglia su una società piena di contraddizioni. I valori padre-madre in una famiglia vengono messi a dura prova da tutto: Piercy e Nina rimangono uniti sempre nonostante accese discussioni e scontri sociali.
Un po’ di Visconti (il ballo iniziale riecheggia lo spirito del regista milanese), un po’ di Boorman (la foresta amazzonica e le cascate allungano il ricordo del regista inglese), un po’ di Herzog (l’impervio avanzare, i luoghi ancestrali e il mito interiore salutano la natura immonda del regista tedesco), un po’ di Spielberg (inizio al buio e la battaglia feroce nel campo della prima guerra come del capitano Nichols per il regista di Cincinnati), un po’ di Coppola (lo scorrere delle acque dentro la barca e la sua risalita preludono ad un sogno tragico come la guerra interiore del regista di Detroit).
Zeta è l’ultima postilla di un alfabeto da snocciolare, è l’ultimo itinerario di un luogo sconosciuto, è la vita dentro di noi che vorremmo leggere.
Cast efficace e ambientazioni suggestive. Tutti sono da menzionare da Charlie Hunnam (colonnello) a Robert Pattinson (caporale) che riesce ad evidenziare il suo personaggio con caparbietà e gioco di sottrazione. Si ricorda anche la presenza di Franco Nero (barone De Gondoriz). Da menzionare l’ottima fotografia di Darius Khondji: variegata, leggera e oscura.
Didascalie finali e sovrascritte per ricordare gli eventi e i personaggi descritti.
Regia di impatto e classicheggiante.
Voto: 8/10.
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[+] un po esagerato, secondo me..
(di fede17)
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marionitti
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domenica 2 luglio 2017
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eploratore sospeso tra passato e futuro
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Un brillante militare ha la carriera bloccata da “una cattiva scelta di antenati”: a Percy Fawcett, questo il suo nome, viene offerta la possibilità di riscatto attraverso un’esplorazione in Bolivia, nell’Amazzonia sconosciuta. Il riscatto ci sarà, ma la malattia dell’esplorazione lo contagerà e lo porterà a ritornare tre volte, alla ricerca della civiltà perduta del titolo, in quello che ha scoperto essere molto di più che “il deserto verde” come molti pensano.
Film che, vista la massa degli eventi narrati, ogni tanto procede un po’ troppo veloce, ma riesce comunque ad affascinare per il modo con cui la storia del protagonista si intreccia con quella del suo tempo, in bilico tra antichi e nuovi valori.
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Un brillante militare ha la carriera bloccata da “una cattiva scelta di antenati”: a Percy Fawcett, questo il suo nome, viene offerta la possibilità di riscatto attraverso un’esplorazione in Bolivia, nell’Amazzonia sconosciuta. Il riscatto ci sarà, ma la malattia dell’esplorazione lo contagerà e lo porterà a ritornare tre volte, alla ricerca della civiltà perduta del titolo, in quello che ha scoperto essere molto di più che “il deserto verde” come molti pensano.
Film che, vista la massa degli eventi narrati, ogni tanto procede un po’ troppo veloce, ma riesce comunque ad affascinare per il modo con cui la storia del protagonista si intreccia con quella del suo tempo, in bilico tra antichi e nuovi valori. Il mondo attorno a lui cambia, c’è di mezzo anche una guerra mondiale, così muta il ruolo delle donne, si evolve la considerazione dei selvaggi e il tempo traccia nuove mappe e nuovi confini per la storia degli uomini. Un racconto senza troppe sbavature, in bilico tra un passato che non è più e un futuro che non è ancora.
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gianleo67
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lunedì 21 agosto 2017
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un indiana jones...d'inizio secolo
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Iniziata con una spedizione cartografica al confine tra Bolivia e Brasile per conto della Royal Geographical Society, l'avventura amazzonica del maggiore inglese Percy Fawcett si trasformerà presto nella ossessione di una vita dedicata alla ricerca di una leggendaria civiltà precolombiana nel bel mezzo della foresta pluviale. Diviso tra gli affetti familiari, le responsabilità di ufficiale durante la Grande Guerra e la sua passione per la ricerca archeologica, partirà nel 1925 insieme al figlio Jack per un'ultima missione da cui non farà mai più ritorno. Cinema d'avventura antispettacolare e di impostazione decisamente classica, questa biografia romanzata di un misconosciuto esploratore britannico operata da un autore americano che gira come un inglese, ha il merito di mantenersi lontana dalle tentazioni agiografiche del best seller da cui è tratto e di puntare all'epica minimalista di una età dell'oro di un romanticismo scientifico che si vuole giunto al suo inevitabile tramonto.
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Iniziata con una spedizione cartografica al confine tra Bolivia e Brasile per conto della Royal Geographical Society, l'avventura amazzonica del maggiore inglese Percy Fawcett si trasformerà presto nella ossessione di una vita dedicata alla ricerca di una leggendaria civiltà precolombiana nel bel mezzo della foresta pluviale. Diviso tra gli affetti familiari, le responsabilità di ufficiale durante la Grande Guerra e la sua passione per la ricerca archeologica, partirà nel 1925 insieme al figlio Jack per un'ultima missione da cui non farà mai più ritorno. Cinema d'avventura antispettacolare e di impostazione decisamente classica, questa biografia romanzata di un misconosciuto esploratore britannico operata da un autore americano che gira come un inglese, ha il merito di mantenersi lontana dalle tentazioni agiografiche del best seller da cui è tratto e di puntare all'epica minimalista di una età dell'oro di un romanticismo scientifico che si vuole giunto al suo inevitabile tramonto. Sgombrato il campo dalle smanie di una ricostruzione filologica di difficile riduzione cinematografica e recuperandola invece sul versante di un'accurata composizione d'ambiente, il film di Gray traduce la vena mistica di un Indiana Jones d'inizio secolo nella personale ossessione di una rivalsa sociale che fa la spola tra il deserto verde di un bioma a produttività zero e l'ostilità classista di una civiltà occidentale di aridi rituali marziali, proiettando la naturale pulsione dell'uomo verso la scoperta dell'ignoto nel sogno senza speranza di una mitica El Dorado destinata a rimanere tale. Certo un po' schematico nell'alternanza tra gli scenari che ripropongono vita familiare, consessi accademici, esercitazioni militari e spedizioni nel folto della foresta, il film si riscatta nell'eleganza di un linguaggio cinematografico che sa parlare al cuore ed alla mente dello spettatore di misurate disillusioni personali, di vicende fuori dal tempo che esaltano il valore delle persone e dell' insondabile mistero delle effimere civiltà dell'uomo destinate, come la mitica civiltà postrema cercata da Fawcett, ad essere inghiottite per sempre dall'oblio del tempo e dal rigoglio arborescente di un mondo che si dimenticherà presto o tardi anche di loro. Non ostante le lungaggini di uno script che deve coprire ben 140 minuti di montato, di un ritmo compassato che richiede un'alta soglia dell'attenzione e di alcuni riempitivi che divagano dal corpo principale del racconto (le smanie protofemministe della signora Fawcett, i contrasti sul campo e a mezzo stampa con il pavido Murray, perfino la parentesi di una trincea con tanto di rendez-vous spiritista e tavoletta Ouija), è un film che si regge bene sulla qualità delle caratterizzazioni, lo spessore dei dialoghi ed il fascino romantico delle atmosfere; ben servito in questo dalla splendida fotografia di Darius Khondji e dall'ottimo cast che vede gareggiare in bravura Charlie Hunnam (che ha sostituito provvidenzialmente tanto il produttore Brad Pitt quanto l'indisponibile Benedict Cumberbatch), un barbuto ed irriconoscibile Robert Pattinson ed una radiosa e affascinante Sienna Miller. Girato (con tutte le difficoltà ed i costi del caso) in 35 mm e presentato al New York Film Festival 2016 e fuori concorso al Festival di Berlino 2017, ha riscosso al momento più successo di critica che di pubblico. Ai posteri, in ogni caso, l'ardua sentenza.
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tmpsvita
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venerdì 7 luglio 2017
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poche emozioni ma tante belle immagini
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Nonostante le numerosissime recensioni entusiaste di critici e di pubblico, ho trovato questo " The Lost City of Z" (civiltà perduta è il titolo italiano) un'enorme occasione mancata.
Film tratto dall'omonimo libro ispirato a sua volta da una incredibile storia vera. E un film con una tale storia poteva essere un vero capolavoro, ma purtroppo, come avrete capito, così non è stato.
Tecnicamente è straordinario, tanto da meritare una o più nomination agli oscar per le categorie tecniche; la fotografia, oltre che essere molto curata, è molto immersiva, così come lo è la regia che si muove in maniera più che lodevole attraverso la scenografia sovrastante e che regala delle sequenze degne di nota ( come quella con la camera a mano tra le trincee e il campo di battaglia), i costumi sono impeccabili, molto curati e per questo credibili e infine non si può non parlare della su citata, scenografia che, in questa pellicola, riveste un ruolo fondamentale e che riesce, in più occasioni, ad immergere lo spettatore in luoghi meravigliosi e realizzati perfettamente.
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Nonostante le numerosissime recensioni entusiaste di critici e di pubblico, ho trovato questo " The Lost City of Z" (civiltà perduta è il titolo italiano) un'enorme occasione mancata.
Film tratto dall'omonimo libro ispirato a sua volta da una incredibile storia vera. E un film con una tale storia poteva essere un vero capolavoro, ma purtroppo, come avrete capito, così non è stato.
Tecnicamente è straordinario, tanto da meritare una o più nomination agli oscar per le categorie tecniche; la fotografia, oltre che essere molto curata, è molto immersiva, così come lo è la regia che si muove in maniera più che lodevole attraverso la scenografia sovrastante e che regala delle sequenze degne di nota ( come quella con la camera a mano tra le trincee e il campo di battaglia), i costumi sono impeccabili, molto curati e per questo credibili e infine non si può non parlare della su citata, scenografia che, in questa pellicola, riveste un ruolo fondamentale e che riesce, in più occasioni, ad immergere lo spettatore in luoghi meravigliosi e realizzati perfettamente.
Da notare infine le performance sublimi degli attori, in particolar modo quella di Robert Pattinson che qui mi ha davvero stupito, c'è da dire che il suo percorso da attore, che sta formando in questi anni post Twilight, è davvero ammirevole.
Ora dopo tutti i pregi, mi tocca parlare dei difetti, o meglio dell'unico grande difetto.
Mi dispiace davvero aver dovuto constatare che, per quanto buona sia la regia di James Gray dal punto di vista tecnico, non mi è piaciuto il suo modo con il quale si è approcciare alla storia.
Una storia del genere avrebbe potuto tramutarsi in un film, sì dalla notevole potenza tecnica e visiva (come infatti è stato), ma anche dalla incredibile narrazione capace di emozionare e coinvolgere moltissimo il pubblico e invece tutto viene raccontato in maniera fin troppo distaccata, in modo piatto e distante alla sua parte, a mio parere più interessante, ovvero i sacrifici di quest'uomo, come viveva la distanza dalla famiglia, le cose che sua moglie ha dovuto affrontare in sua mancanza, ma anche i figli cosa provano, e tutto questo viene trattato con troppa superficialità.
Il regista si è concentrato troppo sulla città e sulla , e troppo poco sulla psiche dei personaggi, risultando così più vicino ad un documentario che ad un vero e proprio film drammatico dalla componente avventurosa.
VOTO: 6,5/10
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cristian
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sabato 15 luglio 2017
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un uomo in cerca di gloria
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James Gray getta il suo occhio indagatore sul libro di David Grann, ‘Z la città perduta’, trasponendolo sul grande schermo con un risultato più che positivo. Le vicende riguardanti il protagonista coprono un arco temporale di più di vent’anni e il regista, con un ritmo pacato ma deciso, riesce nell’impresa di dare la giusta rilevanza ad ogni evento cruciale anche grazie a un ottimo montaggio.
Gran Bretagna, inizi ’900, fine dell’età vittoriana. Percy Fawcett (Charlie Hunnam) è un soldato che vede nella partecipazione ad una spedizione finalizzata alla mappatura di un territorio sconosciuto la concreta possibilità di ricevere le meritate onorificenze da parte dell’alta società inglese.
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James Gray getta il suo occhio indagatore sul libro di David Grann, ‘Z la città perduta’, trasponendolo sul grande schermo con un risultato più che positivo. Le vicende riguardanti il protagonista coprono un arco temporale di più di vent’anni e il regista, con un ritmo pacato ma deciso, riesce nell’impresa di dare la giusta rilevanza ad ogni evento cruciale anche grazie a un ottimo montaggio.
Gran Bretagna, inizi ’900, fine dell’età vittoriana. Percy Fawcett (Charlie Hunnam) è un soldato che vede nella partecipazione ad una spedizione finalizzata alla mappatura di un territorio sconosciuto la concreta possibilità di ricevere le meritate onorificenze da parte dell’alta società inglese. Si reca dunque in Amazzonia, tra il Brasile e la Bolivia, insieme al collega Henry Costin (Robert Pattinson), lasciando a casa la moglie Nina (Sienna Miller). Il ritrovamento di tracce materiali di una potenziale città nascosta nella giungla fa sì che l’esplorazione diventi, per Percy, lo scopo di una vita.
Civiltà perduta ha un unico protagonista, il Colonnello Percy Fawcett, cercatore di gloria che solo in un secondo momento si scopre cercatore di città perdute nella fitta giungla amazzonica. Il percorso interiore del Colonnello inizia nel momento in cui si rende conto di non essere tenuto nella giusta considerazione dall’alta società britannica, di cui vuole disperatamente assorbire tutte le patetiche e apparenti convenzioni. Il suo personaggio si mostra quindi, fin da subito, non come l’eroe che sta moralmente al di sopra delle figure che lo circondano ma come una classica personalità dell’epoca, perfettamente integrata nella mentalità della classe sociale di cui fa parte e aderente alle sue convenzioni morali. La donna di inizi ‘900, dal canto suo, riveste un ruolo del tutto secondario e sottoposto a quello del marito, nonostante la moglie di Percy, Nina, mostri a tratti un’individualità forte e indipendente.
L’opera di Gray è divisa in registri ben scanditi in cui si alternano le partenze e i ritorni dall’Amazzonia del Colonnello Fawcett estrapolando i momenti salienti che provocano (o meglio, dovrebbero provocare) un cambiamento interiore del personaggio. Percy percepisce l’importanza della potenziale scoperta di una città nascosta e probabilmente questo gli fa capire che gli eventuali onori consequenziali saranno ben superiori rispetto a quelli prefissati all’inizio. Il Colonnello non può fare a meno di allontanarsi periodicamente dalla sua famiglia per raggiungere la gloria personale.
Il regista, James Gray, confeziona un buon prodotto dall’andatura blanda ma visivamente accattivante, complice soprattutto l’ambientazione selvaggia della giungla, con la sua flora avvolgente e invasiva, che toglie il respiro, tanto che sembra che le scene siano girate in interni. Forse la pellicola dello statunitense pecca nel ritmo, abbastanza monocorde, mentre la trama appare per lunghi tratti circolare. Il continuo partire e tornare del protagonista dà una sensazione di ripetitività alla storia annoiando un po’ lo spettatore soprattutto perché, di fatto, sia le scene ambientate nella giungla sia quelle in Inghilterra raccontano poco di più o nulla rispetto a quanto visto in precedenza.
Charlie Hunnam è l’assoluto protagonista del film. Come nel recente King Arthur - Il potere della spada, Charlie sembra però ancora troppo acerbo per rivestire il ruolo di protagonista in una pellicola importante e probabilmente la qualità delle opere ne risente. Il personaggio potrebbe/dovrebbe presentare una trasformazione interiore nel corso della storia che però non si riesce a percepire, restando sempre un po’ uguale a se stesso nonostante i parecchi anni che separano gli eventi tra loro. Buona la prova di Robert Pattinson nei panni di Henry Costin, anche se avrebbe meritato più spazio. Ottima Sienna Miller, emotiva, forte, credibile ed espressiva moglie del protagonista.
Civiltà perduta è un’opera da apprezzare così come si presenta agli occhi, senza sfaccettature o ricami di sorta, messaggi da trasmettere. Il film di Gray è la storia di un Colonnello alla ricerca di una città perduta (Z) e, forse, ma non è chiaro, alla ricerca di se stesso o di un posto nella società del tempo. La coerenza con il tempo storico di cui si parla è il punto di forza della pellicola, montata e girata con maestria ma che lascia però una sensazione finale di non detto o non approfondito che non la rende indimenticabile.
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fede17
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domenica 2 luglio 2017
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un film modesto che lascia soddisfatti
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Sono andato a vederlo qualche giorno fa e mi aspettavo un buon film, sapendo che non mi avrebbe deluso, a dispetto degli ultimi film di questi mesi. Ovviamente la produzione non ha puntato su una grossa campagna di marketing e il trailer non era così entusiasmante, però il film mi ha soddisfatto. La storia prosegue lineare, limpida, evitando saggiamente alcuni tempi morti, e la regia fa il suo lavoro. Charlie Hunnam dimostra di saper reggere bene il ruolo di protagonista, come anche il personaggio femminile, Sienna Miller. Ci si riesce a immergere nella storia, a gustare una visione mica male e che non delude. È un film che non pretende di essere un capolavoro, ma funziona e lascia soddisfatti.
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Sono andato a vederlo qualche giorno fa e mi aspettavo un buon film, sapendo che non mi avrebbe deluso, a dispetto degli ultimi film di questi mesi. Ovviamente la produzione non ha puntato su una grossa campagna di marketing e il trailer non era così entusiasmante, però il film mi ha soddisfatto. La storia prosegue lineare, limpida, evitando saggiamente alcuni tempi morti, e la regia fa il suo lavoro. Charlie Hunnam dimostra di saper reggere bene il ruolo di protagonista, come anche il personaggio femminile, Sienna Miller. Ci si riesce a immergere nella storia, a gustare una visione mica male e che non delude. È un film che non pretende di essere un capolavoro, ma funziona e lascia soddisfatti. È un peccato che non sia stato molto pubblicizzato. Personalmente preferisco questi film modesti ma più che discreti rispetto ai disastrosi blockbuster di oggi che mirano solo a fare soldi.
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