Anno | 2016 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 70 minuti |
Regia di | Antonio Martino |
Attori | Ausman . |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 16 marzo 2017
Ausman torna nel suo paese, la Libia, per contribuire al cambiamento con la rivoluzione. Cosa troverà al suo ritorno in patria?
CONSIGLIATO SÌ
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Ausman ascolta musica metal, suona la chitarra elettrica, indossa magliette delle sue band preferite, ha un'amicizia con una ragazza ed è ateo. Un ragazzo come tanti altri, verrebbe da dire; ma non in Libia, il suo paese. Appartiene per origine a quella minoranza chiamata Amazigh, ovvero i berberi, che letteralmente significa "uomini liberi". Cresciuto nella Libia di Gheddafi, Ausman scopre il mondo occidentale dopo un'esperienza a New York e incomincia un percorso personale di critica verso la sua terra d'origine e i precetti falsi e ipocriti della religione islamica. Rientra in patria per partecipare alla rivoluzione libica ma presto si troverà a non tollerare più l'integralismo religioso e la violenza che attanagliano il paese e che tarpano le ali a chi crede nella democrazia e nella libertà di espressione. Ausman, la pecora nera, disconosciuto dalla famiglia e osteggiato da alcuni amici e parenti, cercherà rifugio in Finlandia, dove le cose girano in maniera differente, dove le tutele per chi riceve asilo politico sono maggiori e dove potrà sentirsi finalmente se stesso.
Il soggetto del documentario è stato concepito a quattro mani da Antonio Martino e Nancy Porsia, che insieme hanno intrapreso anche il viaggio in Libia e conosciuto il protagonista di una storia che meritava di essere raccontata. Martino, occhio attento alle minoranze, alle situazioni di confine, ai margini, all'esclusione sociale, pur osservando in silenzio dietro l'obiettivo, empatizza con il suo personaggio. Lo segue con la macchina da presa a distanza molto ravvicinata, quasi avvolgendolo, in inquadrature che dettagliano di frequente il suo viso. Il che contribuisce a dare l'idea di un racconto intimo, che pone lo spettatore al centro dell'azione e che lo immerge per circa settanta minuti nelle realtà delle strade libiche.
Non è solo un racconto sul fondamentalismo islamico, ma diviene un pretesto per parlare di come le religioni stesse spesso si fondino su concetti antitetici, su principi volti a un'ipocrita mantenimento dello status quo. Parafrasando quello che dice lo stesso Ausman in una scena del film: in privato puoi fare quello che vuoi, l'importante è non dirlo apertamente, altrimenti diventi scomodo, un pericolo pubblico. Sebbene il giovane si dimostri essere consapevole delle proprie idee e decisamente determinato, vive un conflitto interiore molto forte: abbandonare il proprio paese in favore di lidi migliori dove poter esprimere liberamente il proprio pensiero e vivere con maggiore serenità le proprie passioni; oppure, rimanere nella propria patria e provare a cambiarla dall'interno? La risposta sembra essere solo una in un contesto in cui se provi a parlare male della religione di stato vieni minacciato e sei costretto a girare armato. Nel momento in cui Ausman prende coscienza del suo ateismo si trova a dover affrontare una battaglia in cui o ti difendi o sei ucciso.
Questo film, prodotto dalla bolognese BO Film e Claudio Mazzanti, è un ritratto caldo, vivido e appassionato di un ragazzo che sembra aver fatto propri quei concetti che si ritrovano in molte canzoni metal e che promuovono gli ideali di giustizia, di libertà e di reazione verso l'ordine precostituito, contro la morale comune. Un documentario senza troppe pretese, che pare nascere dall'esigenza viscerale di dare spazio a una voce fuori dal coro e alla sua ricerca di un'identità in un paese fondamentalista intollerante nei confronti del pensiero libero.