Spoiler alert: nella recensione ci sono anticipazioni sulla trama e gli sviluppi del film.
Nel film di Villaneuve "Arrival", il tempo è il protagonista principale, un tempo non più unidimensionale, ma circolare, capace di abbracciare con un solo sguardo passato, presente e futuro. Circolarità che consente di estendere lo sguardo oltre ai limiti fisici imposti dai nostri sensi e dal nostro linguaggio, dalla nostra (limitata) civilizzazione.
Su questo crinale si svolge la vicenda narrata: dodici gigantesce astronavi aliene compaiono all'improvviso e si posizionano in paesi diversi, dal Montana nel nord degli U.S.A alla Cina, dal Pakistan, alla Russia, al Sudan. Rimangono in attesa, a pochi metri da terra, enormi strutture ovoidali e allungate che svettano come grattacieli di altri mondi sui paesaggi terrestri. All'interno delle astronavi, non c'è forza di gravità, si può camminare sulle pareti verticali.
I governi di tutto il pianeta sono in fibrillazione, vogliono sapere quali sono le intenzioni degli extraterrestri, se la loro presenza è ostile o pacifica, quali sono le ragioni del loro viaggio. Ma la interazione è resa impossibile da formidabili ostacoli comunicativi. Per questa ragione, Louise, linguista di fama mondiale, interpretata da un’eccellente Amy Adams, viene reclutata dal governo statunitense e mandata insieme a Jan, fisico teorico, sulla scena. Deve riuscire a decodificare il linguaggio alieno, stabilire un vincolo comunicativo con loro. Si ritrova in un ambiente colmo di miliari e di frenesia, i governi delle principali potenze mondiali non si parlano tra di loro, alcuni paesi progettano di attaccare militarmente le astronavi.
Il film ricostruisce il percorso di avvicinamento tra Louise e le intelligenze E.T., un itinerario lento, faticoso, attraversato da paure primordiali e limiti connaturati alle nostre capacità espressive. Gli alieni (rappresentati come grandi creature simili a piovre giganti, eptapodi che si muovono dietro un vetro avvolti da una nebbia persistente) comunicano tramite pittogrammi circolari che vengono un po' per volta decrittati fino a comporre la frase inquietante "portiamo armi".
Non si tratta, tuttavia, di armi nel senso convenzionale del termine, ma di strumenti, un linguaggio che permette di apprezzare la circolarità del tempo, che li rende partecipi dei loro bisogni in relazione a quelli dell'umanità.
Louise diviene consapevole del loro linguaggio e accede a un orizzonte multidimensionale degli eventi . La conoscenza del futuro le permetterà di intervenire nel presente e di contribuire ad edificare un mondo meno ostile e diviso. Gli eventi che hanno segnato il suo passato (la perdita della figlia per una malattia incurabile) vengono in qualche modo rivisitati e ridefiniti dalle nuove conoscenze che ha acquisito, emergono dal suo passato anticipazioni inesplicabili (una figura di plastilina che rappresenta gli alieni plasmata dalla figlia, tra altri). La scena del colloquio con il generale cinese è emblematica ed è molto efficace nel descrivere un evento futuro che "forgia" il passato e il presente, lo modifica, come se il tempo fosse diventato un piano su cui è possibile muoversi avanti e indietro, come se ci fosse un feedback costante tra quello che siamo e quello che diventeremo.
Si respira nel film di Villaneuve un clima pensoso, lento, meditativo. Flash back e flash forward si alternano con un movimento simile al frangersi delle onde sul bagnasciuga. La presenza degli alieni diventa un escamotage per compiere una riflessione sui destini dell'umanità e sulla necessità di una comunicazione che miri a condividere invece che creare nuove barriere e nuovi muri.
Omaggio metanarrativo al cinema e alle forme artistiche che sono linguaggi universali e che impastano passato, presente e futuro nel corso della narrazione, che estendono la prospettiva e lo sguardo all'intero pianeta, "Arrival" richiama più "Solaris" che "Incontri ravvicinati del terzo tipo", almeno come impostazione di fondo. Come in "Solaris, il confronto con un'intelligenza aliena provoca modifiche profonde negli umani, attualizza l'ignoto che è in loro. Ma, a differenza di "Solaris", "Arrival" propone uno svolgimento meno drammatico e lacerante. Il linguaggio diventa strumento di condivisione e la condivisione si traduce in un progetto di comunione che riesce ad abolire la tirannia del tempo.
Un esercizio di fantascienza concettuale stimolante, che ci sollecita a riflettere sulla nostra condizione.
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