Il film introduce ad un tema interessante e poco noto ad un pubblico italiano e non solo, quello della lunga emarginazione razziale dell’etnia Sami in Svezia. Bisogna ricordare che nel già 1909 fu fondata a Stoccolma la Società Svedese per l’Igiene razziale che, basandosi su analisi di tipo antropologico positivistico, identificava nella minoranza etnica Sami (a noi più comunemente nota come lappone) una razza inferiore. I Sami furono relegati da una parte in confini ben precisi, furono sottoposti dall’altra a processi di ‘svedesizzazione’ forzata, orientati all’annientamento della loro cultura tradizionale. Chi tra i Sami volesse integrarsi acquistando o affittando terreni agricoli o proseguendo l’elementare istruzione offerta loro (tagliata espressamente per le loro presunte limitate capacità), era costretto a cambiare identità, assumendo un nome svedese. Contemporaneamente coloni svedesi furono incentivati in vari modi a spostarsi in territorio sami, sempre nell’ottica di una violenta compressione di questa minoranza. Una legge per la selezione della razza (1935) portò addirittura alla sterilizzazione forzata di migliaia di Sami. Orrori di cui sappiamo poco o niente. Il film Sami Blood si colloca prevalentemente negli anni trenta, quando i processi di cui sopra erano in pieno sviluppo. Sono gli anni a cui ci riporta un lungo flashback sulla vita passata di Christina (già Elle-Marja) un’anziana maestra in pensione di origine Sami, che torna nella terra natia per il funerale di sua sorella. E’ una donna amara e incattivita, quasi trascinata a questo evento dal figlio e dalla nipote, apertamente sprezzante nei confronti dei suoi consanguinei e del gruppo da cui proviene e che ha abbandonato da decenni. Il fatto è che Elle-Marja adolescente (ben interpretata da Lene Cecilia Sparrok, con il suo volto chiuso e dolente, dietro cui si nasconde un vulcano di testarda e quasi furiosa determinazione) ha dovuto lottare terribilmente per realizzare le sue aspirazioni di ragazza intelligente con tanta voglia di aprirsi al mondo. E non ha avuto alternative, per arrivare dove voleva, allo spogliarsi completamente della propria cultura, della propria terra, persino dei legami familiari e del proprio nome. E - peggio che mai - per sopravvivere psicologicamente, ha dovuto decidere che era stata lei a fare questa scelta di radicale rifiuto delle sue origini. Solo il lungo viaggio della memoria dopo il trauma che si rivela essere la morte della sorella le renderà la coscienza di ciò che le è stato fatto e ricomporrà – per così dire – le sue due identità. A parte il suo interesse storico, e la bella prestazione della Sparrok, il film si segnala per una buona ricostruzione d’ambiente, per la caratterizzazione insieme accattivante e fredda/tagliente di alcuni personaggi chiave, per gli struggenti paesaggi. Altrettanto evidenti i difetti: il ritmo è decisamente troppo lento, l’intento politico-didascalico troppo scoperto, alcuni passaggi non hanno verosimiglianza narrativa. Da vedere comunque.
[+] lascia un commento a zarar »
[ - ] lascia un commento a zarar »
|