Race - Il colore della vittoria |
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Un film di Stephen Hopkins.
Con Stephan James, Jason Sudeikis, Jeremy Irons, Carice van Houten.
continua»
Titolo originale Race.
Biografico,
durata 134 min.
- Germania, Canada, Francia 2016.
- Eagle Pictures
uscita giovedì 31 marzo 2016.
MYMONETRO
Race - Il colore della vittoria
valutazione media:
2,92
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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correzione commento precedentedi RAFFELEFeedback: 1646 | altri commenti e recensioni di RAFFELE |
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lunedì 4 aprile 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Ieri sera ho inviato un commento commettendo un'imperdonabile leggerezza: ho dato per scontato che si tratti di un film americano. Hopkins è australiano, la produzione francese. Il commento corretto potrebbe essere questo: L'idea: il mito di Jesse Owens, il fulmine nero a cui Hitler non strinse la mano: lo sanno tutti, molti andranno a vederlo. Il soggetto: Jesse ama la sua donna e la sua bambina, lotta per dar loro un futuro, studia e si allena illuminato dal suo coach dall'aforisma giusto al momento giusto (come nei film americani, che sembra abbiano sempre un uomo così), Jesse non vorrebbe tradire la sua ragazza, ma l'altra è spudorata e tradisce, se no che uomo è (come Montalbano!). Arriva il momento supremo della scelta, il no per il suo paese, per i diritti dell'uomo, la causa dei neri. Il si per le stesse cose. Jesse decide, Jesse vince e resterà nella storia. Il trattamento del soggetto: un racconto con le periferie povere, i fattacci per le strade di Berlino proprio quando passa Avery Brundage, il piglio virile di questi dietro gli occhiali da miope, al cospetto di Joseph Goebbels (i soldi dai nazisti per le opere architettoniche però li piglia), la regista tedesca caruccia, professionale e ancora non del tutto nazista, che vuole Jesse sotto gli occhi del mondo, l'avversario tedesco leale e buono, quasi dissidente, al quale l'abbraccio al nero costerà caro... e gli occhi di Jesse, sempre, volitivi, pazienti negli spogliatoi dell'apartheid, infiammati nella corsa, schietti come quelli di ogni bravo ragazzo americano, che sembra non mancare in nessun film americano, anche se questo non lo è. La pellicola: non necessita di sforzi immani di stile, montaggio, soggettive, ritmo, piani sequenza: è la storia che scrive. Owens vinse davvero, i tempi erano quelli, uno stadio gremito funziona da solo, un fhurer imbarazzato è il "clou" anche se non somiglia, bastano i baffetti. Insomma un'operazione senza grande fatica credo, tuttavia gradevole. L'emozione dell'uomo dei quartieri poveri che saetta e vince, imbarazzando il mostro del male, è già in ognuno di noi, nei nostri sogni di bambini. E' successo veramente, è perfino strano questo film solo ora. Un pò strano anche quel Goebbels imbambolato come un semplicione. mi scuso per l'errore, cordiali saluti
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