Neruda

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Neruda, maestro della fuga fatta a regola d'arte. Valutazione 4 stelle su cinque

di GreatSteven


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giovedì 4 aprile 2019

 NERUDA (ARG/FR/CILE/SP, 2016) diretto da PABLO LARRAìN. Interpretato da LUIS GNECCO, GAEL GARCìA BERNAL, MERCEDES MORàN, ALFREDO CASTRO, PABLO DERQUI, MICHAEL SILVA, DIEGO MUňOZ, JAIME VADELL
Nel 1948, in Cile, il governo di Gabriel Gonzalez Videla, eletto mediante i voti della sinistra, sceglie di seguire l’esempio della politica statunitense e pertanto condanna il comunismo alla clandestinità.
Inoltre, l’emanazione della famigerata Ley de Defensa de la Democracia, con cui viene virtualmente soppressa l’esistenza stessa del movimento politico, e la dura repressione di scioperi e proteste sociali in seno al movimento operaio che, nella città remota di Pisagua, culminano addirittura con l’istituzione di campi di concentramento, vanno entrambe a danno del celeberrimo Pablo Neruda, poeta, senatore e massima personalità artistica del Paese, il quale contesta con decisione questo provvedimento, fino a diventare, dopo le incitazioni alla ribellione rivolte al popolo, ritenute inaccettabili durante il periodo del Proibizionismo cileno, il ricercato numero uno. In accordo con il Partito Comunista, Neruda decide di andare in esilio anziché rischiare il carcere, ma per riuscire nell’impresa deve prima fare i conti con l’ispettore di polizia Oscar Peluchonneau, sguinzagliatogli contro da Videla stesso, che incarica Peluchonneau di arrestare il letterato dissidente e umiliarlo pubblicamente in quanto accusato di alto tradimento. La rocambolesca fuga di Neruda e della moglie, la pittrice argentina Delia Del Carril, dura ben due anni, ma alla fine i coniugi ce la fanno a nascondersi nel profondo sud della nazione, per la precisione nella regione dell’Araucanía, ricoperta di gelo e neve. A raccontare la storia è il medesimo prefetto di polizia, l’incorruttibile e infaticabile inseguitore che si scopre ossessionato dai versi del poeta. In questi momenti drammatici, ma al contempo ispiratori, Neruda compone la sua famosa raccolta di poesie: Canto General. Frattanto l’Europa ospita la crescita della leggenda della caccia al poeta e alcuni artisti, guidati da Pablo Picasso, reclamano la sua libertà. In questa vicenda Neruda si intravede come il possibile simbolo democratico a cui può ambire nella battaglia contro Peluchonneau, dunque, sfidando l’ispettore sul suo campo da gioco, gli lascia indizi, lo tormenta e rende in tal modo ancor più esemplare la sua missione tanto personale quanto universale di resistenza contro la tirannia. Un inno alla vita assolutamente sui generis, dal momento che adopera non di rado la scarsezza d’illuminazione, una scenografia realistica ma pur sempre sobria e una colonna sonora ondivaga per descrivere l’arco di vita di uno dei maggiori geni letterari del 1900 durante la svolta che gli permise di passare alla Storia: Neruda (1904-1973), futuro Premio Nobel, ha proprio questa intenzione, ma fin dal principio sa che il compito che si è auto-affidato presenterà innumerevoli e immani problemi di logistica e attuazione pratica, eppure non si tira indietro neppure di fronte al Parlamento, contro cui riversa parole di fuoco nella memorabile sequenza della riunione in aula, ammettendo inoltre che la colpevolezza del suo misterioso assassinio sta nella sua imperterrita scrittura, da egli praticata pressoché senza sosta. Peluchonneau (un Garcìa Bernal diverso da tutte le sue altre precedenti interpretazioni, e più stupefacente che mai) assume in tale prospettiva i panni di uno Sherlock Holmes ostinato e umiliato, anch’egli memore della sua fondamentale missione e ossessivo nel collegare il dovere al bisogno di superiorità che avverte dentro di sé, il quale dovrà però piegarsi quando scoprirà che questa partita a scacchi con un maestro della creatività – che vince non per maggior sagacia, ma perché disvela un animo più nobile – premia colui che non si fa sottomettere dalle ideologie disfattiste e pericolose. Peluchonneau, infatti, vive nel mito del padre (che non l’ha riconosciuto quale figlio suo), fondatore dell’Accademia di Polizia della sua località cilena, e intende emularne le gesta eroiche, con la differenza penalizzante che l’ispettore baffuto inserisce troppa demagogia nel suo delicato lavoro e pertanto i compiti assegnatigli risultano appesantiti da una visione estremamente politicizzata di come dovrebbe agire un’istituzione di difesa. Larraìn conosce assai bene la materia narrativa che ha a disposizione e, col suo talento visionario quanto divertito, costruisce una storia che, pur allontanandosi dalla realtà dei fatti per via del personaggio immaginario di Oscar Peluchonneau, aumenta vertiginosamente la dignità di una personalità come Pablo Neruda esaltandone non solo i meriti poetici, ma anche e soprattutto l’emblema personificato da quest’uomo in favore della democrazia, della libertà d’espressione e dei combattimenti da intraprendere contro ogni sembianza di oppressione. La moglie Delia non lo accompagna sin in fondo: le loro strade si dividono non appena le intenzioni divergono sul risultato finale, ma l’affetto amoroso non viene a mancare, nemmeno nel dialogo accorato nel quale il protagonista afferma che, qualora sua moglie si suicidasse buttandosi al fiume, lui le dedicherebbe poesie per vent’anni. La coppia Gnecco-Peluchonneau, avversari che duellano a distanza incontrandosi solo quando il secondo ha dichiarato la sua sconfitta, funziona a puntino in un’opera che denuncia i soprusi immotivati, o motivati da insensate intolleranze politicizzate, e trova l’antidoto per queste ultime nell’arte, da sempre la magia più efficiente per neutralizzare le derive violente che possono sorgere, come spesso si verifica, in coloro che detengono un potere spropositato per i propri limiti. Candidato al Golden Globe 2017 per la miglior pellicola straniera.

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