Mademoiselle

Inganno e seduzione com'è sensuale la fiaba nera

In estate anche quest'anno non sono mancati i recuperi di film vecchi di uno o più anni. Talvolta, però, è stato un bene, come nel caso di questo film coreano, passato addirittura al Festival di Cannes del 2016. Park Chan-wook è un regista di quelli che si definiscono "di culto", per film come Old Boy della trilogia poi conclusasi con Lady Vendetta, che lo hanno fatto conoscere come il "Quentin Tarantino coreano". Alla base stavolta c'è un romanzo inglese di Sarah Waters ambientato all'epoca vittoriana, che il regista sposta nella Corea degli anni Trenta, sotto il dominio giapponese. Tutto il film è in fondo il racconto di uno scontro tra impulsi diversi, tra poteri e culture opposte, a cominciare proprio da quello (anche linguistico: ma nel doppiaggio si perde) tra Giappone e Corea, con sullo sfondo l'influenza europea, simboleggiata dalla magnifica villa, metà orientale e metà inglese, in cui la storia si svolge. Una giovane vi entra, per fare da dama di compagnia a una fragile ereditiera, affidata alle cure dello zio, sinistro collezionista di libri erotici. Dopo meno di mezz'ora scopriamo però che la ragazza è in realtà una truffatrice, messa lì da un avventuriero senza scrupoli che si spaccia per conte: lo scopo è di plagiare e sposare l'ereditiera, farla rinchiudere in manicomio e impossessarsi dei suoi averi. Ma questo è solo l'inizio: la trama conoscerà una serie di capovolgimenti e svolte, al punto da comporre addirittura un film tripartito (sarebbe una perfetta miniserie in tre puntate). La progressione narrativa è puntellata da colpi di scena e da ritorni avanti e indietro nel tempo: perfino un po' troppo, tanto che la versione che esce adesso in sala è accorciata di 20 minuti rispetto a quella di Cannes. Oltre ai conflitti culturali e politici, si intrecciano a spirale quelli tra maschi e femmine e tra servi e padroni: il risultato è una fiaba nera che è anzitutto un sensualissimo film erotico, in cui i personaggi si dominano, si seducono e si ingannano. La regia è di una precisione assoluta, dapprima algida e insieme avvolgente nei movimenti di macchina, poi più franta dal montaggio, attraverso una specie di riflessione sull' estetismo e sull'ebbrezza del potere (il dominio passa attraverso l'impossessarsi della bellezza), arriva a un'incantata esaltazione della femminilità, anche nei suoi risvolti oscuri.
Da La Repubblica, 29 agosto 2019


di Emiliano Morreale, 29 agosto 2019