È solo la fine del mondo |
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Un film di Xavier Dolan.
Con Gaspard Ulliel, Nathalie Baye, Léa Seydoux, Vincent Cassel.
continua»
Titolo originale Juste la fin du monde.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 95 min.
- Francia 2016.
- Lucky Red
uscita mercoledì 7 dicembre 2016.
MYMONETRO
È solo la fine del mondo
valutazione media:
3,41
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Tra Stanislavskij e Beckettdi ZararFeedback: |
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lunedì 12 dicembre 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il regista Xavier Dolan trasferisce sullo schermo la pièce teatrale di J.-L. Lagarce, scritta quando il drammaturgo si sapeva già mortalmente malato di AIDS. E’ questa la situazione del protagonista, Louis, che sa di essere malato terminale e decide di tornare dalla sua famiglia, che vive ‘da qualche parte’ e che non vede da dodici anni, con lo scopo dichiarato di comunicare che sta per morire. A casa lo aspettano ignari, in un clima che si rivela subito teso e febbrile, tra preparativi di festa, nervosismo accentuato e scontri di sguardi e di parole. Ci sono la svagata madre, il nevrotico fratello Antoine, la dolce cognata Suzanne, la disorientata sorella Catherine. Si capisce – malamente, a dire il vero - che questo ritorno è un detonatore di gravi conflitti maturati nel passato, prima che Louis rompesse i ponti con la famiglia e andasse via. Louis è venuto per ricomporre sul punto estremo della vita la sua parabola esistenziale là dove sono le sue origini, ma deve rendersi conto di quanto assurdo sia questo sogno. Dove sperava di trovare attenzione affettuosa e partecipazione, trova un’incomunicabilità assoluta: sono gli interrogativi tristemente recriminatori di Catherine, le autistiche esplosioni di rabbia di Antoine divorato da un antico rancore, la banalizzazione del conflitto e la fuga della madre in un passato idealizzato che non vuol prendere atto del presente. Persino la dolcezza disarmata dell’affascinate Catherine, che Louis non ha mai conosciuto prima, che non ha conti da saldare con lui, non riesce mai a diventare dialogo, schiacciata com’è dall’incomprensione generale, persino dal desiderio di far posto alle ragioni di tutti. Catherine ha gli occhi e il cuore per intuire qualcosa, ma sarà lo stesso Louis alla fine a comandarle il silenzio. Louis ripartirà, quasi cacciato via, senza essere riuscito ad articolare un discorso completo, e senza aver detto una parola del suo male. Assolutamente bello per fotografia, scenografia, montaggio, colonna sonora, arrivando a sfiorare una perfezione ai limiti del manierismo, il film è per altri versi (dialogo, espressività e modalità recitativa) ai limiti della schizofrenia. In un impianto fortemente teatrale, il regista sembra cavalcare con piena consapevolezza questa schizofrenia: ai suoi attori ha imposto una presenza e uno stile alla Stanislawskij, passionale, iperespressivo, iperrealistico, fatto di intensissimi primi e primissimi piani; ma i loro monologhi (che tali sempre restano) sono beckettiani, urli scomposti o assolute banalità sullo sfondo di un mortale silenzio. E’ il mondo del rimosso e dei furori sotterranei che esplode nella ‘normalità’ in un linguaggio non comunicativo e uccide aspettative umane, troppo umane. Sperimentazione interessante, che potrebbe funzionare, ma qui non funziona completamente. Fuori dal teatro si rivela difficilissimo. Lo spettatore si sente aggredito, qualche volta disturbato dall’impossibilità di conciliare elementi troppo contraddittori e scomposti, non aiutato nell’edizione italiana da un doppiaggio eccessivamente espressionistico. Ma l’effetto straniamento è assicurato: il film ti costringe a riflettere sull’inevitabilità della rottura e l’impossibilità del ritorno. Una curiosità: il film è dedicato a François Barbeau, (è il costumista e scenografo canadese recentemente scomparso, o/e François Arnaud (pseudonimo di François Barbeau), attore di ‘J’ai tué ma mère’ dello stesso regista? Un’ambiguità molto in tono con il film). Tre e mezzo.
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