Inferno

Delusione. Il compito di Ron Howard e David Koepp era rendere sul grande schermo l'impatto emotivo del romanzo, adattandone testo e ritmi da carta stampata - che come sempre in Dan Brown originano da uno stile descrittivo - al linguaggio visivo del cinema, cavalcando l'onda evocativa della scenografia smorzandone al contempo le derive didascaliche. Missione fallita. Ne è uscito un vero e proprio dis-adattamento, che in nome di un incomprensibile impulso'politically correct', ha trasformato la pellicola in un clone sbiadito di un action movie qualsiasi, disseminato di luoghi comuni che a tratti sembrano persino scopiazzati, a partire dall’incedere di Vayentha "T-1000 version" per concludersi con coperte ed ambulanze in stile Die Hard. D'accordo che il compito non fosse dei più semplici, ma un conto è non riuscire a rendere appieno un’astrazione nelle sue diverse sfumature, un altro è stravolgere la storia, trasformandola in qualcosa di diverso nella forma e nella sostanza, smarrendone completamente il messaggio ed il significato alla base, rappresentato dallo splendido e coraggioso finale: ewcco, l'imperdonabile misfatto è stato appunto questo, lo stravolgimento dell'epilogo del libro che ha svuotato di senso tutta l'opera, facendo implodere su se stessa l'impalcatura che poggiava su QUELLA conclusione, quale climax di una tematica forte, attuale e delicatissima, che Dan Brown aveva saputo trattare con grande intelligenza, dosando provocazione e buon senso senza scadere in un becero e controproducente buonismo. La sceneggiatura, invece, non solo ha relegato Dante in secondo piano (!?), ma ha scelto di ignorare bellamente tutta la parte dedicata al transumanesimo, senza la quale era evidente che il motore degli eventi (ovverosia il sottovalutato allarme posto al centro della spaventosa riflessione sociologica che ne deriva)sarebbe degenerata nel solito folle movente dell’antagonista di turno, con tutte le conseguenze a catena del caso, non solo quanto alla banalità della trama in sé, come già detto, ma anche nei termini più specifici della caratterizzazione dei personaggi. Laddove lo scrittore aveva in effetti disegnato sfaccettature a tratti poetiche, qui assistiamo all'opposto alle vicissitudini di figure impalpabili, ridotte al ruolo di comparse o macchiette dalla personalità tagliata con l'accetta: su tutte (ahimè) Sienna, il cui personaggio complesso e meraviglioso è stato masticato dalla sceneggiatura e risputato nel desolante clichè della fanatica assassina. Ripeto, trovo davvero incomprensibile una scelta del genere: a quel punto tanto valeva investire su una più adatta e standardizzata avventura di Dirk Pitt, non capisco perché scegliere un romanzo del genere, sembra quasi che il film abbia voluto intervenire a gamba tesa per contestarlo.. A tutto ciò, dulcis in fundo, bisogna aggiungere: a) una recitazione insolitamente sottotono ed un doppiaggio che ne ha seguito per empatia le sorti; b) tempi non tanto lenti (che in sé sarebbero anche apprezzabili, nel giusto contesto), quanto piuttosto dilatati e che hanno avuto l'effetto di smorzare la tensione narrativa; c) un montaggio confuso ed una colonna sonora insipida (a volte, purtroppo, Zimmer ogni tanto indulge al vizietto di copiarsi).. Ironia della sorte, le sole scene all’altezza delle aspettative di questo film, oltre ai flash-back allucinogeni di Langdon (giustamente inquietanti), sono le registrazioni sul web delle arringhe di Zobrist.. Davvero troppo, troppo poco.