Ave, Cesare!

Il nuovo film dei Coen, che i cinefili aspettano come il giorno di Natale, l'occasione perfetta per migliaia di pseudo poveri critici cinematografici di far capire a tutti gli altri di aver colto il senso più profondo del film, e a chi invece non è piaciuto semplicemente "non capisce niente di cinema, che si vada a guardare i primi film dei Coen".
Io i primi film dei Coen li ho visti, ed erano talmente belli che ho visto anche i secondi e i terzi, poi ho visto anche questo, e mi sento di andare contro l'esaltazione generale, contro le urla alla consacrazione e al nuovo capolavoro di un ritrovato cinema moderno, ma questo Ave Cesare è per me e il mio modestissimo parere, un pollice verso.
Un richiamo al metacinema, come se fosse ancora innovativo e geniale fare film in cui all'interno si fanno film (da Vertov con "L'uomo con la macchina da presa" a Fellini, Truffaut e ormai migliaia di riferimenti), una critica al cinema, un'ironia sottile (anche troppo sottile) che finisce per perdersi all'interno di un intento cinematografico così vasto e così poco chiaro.
Analisi e caratterizzazione dei personaggi pari a zero, chiunque finisce all'interno del film per essere solo un divo (George Clooney, Scarlett Johansson, Channing Tatum) che fa esso stesso il divo, (forse la forma più riuscita e non voluta di metacinema), come un'insieme di comparsate inutili e blasonate in uno dei tanti minestroni Hollywoodiani.
I Coen impugnano argomenti interessanti e spesso considerati tabù come la" religione", "il cinema come finzione", e temi che rispecchiano fortemente una società che ancora oggi esiste, nonostante ci si riferisca agli anni del maccartismo. Si tratta di argomenti pungenti, in cui la lama non viene mai affondata fino in fondo, si resta in superficie, senza colpire nè tantomeno affondare niente e nessuno, in una sorta di limbo tra la critica e buonismo, in cui nessuno ne esce soddisfatto e nessuno colpito, ma forse  ne uscirà annoiato.
Probabilmente il tentativo  e la ricerca sfrenata di realizzare l'ennesimo capolavoro, ma questa volta un'opera diversa e maggiormente provocatoria, un salto più alto rispetto ai precedenti, e così, inevitabilmente, il successivo tonfo clamoroso.