robroma66
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domenica 1 maggio 2016
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amore e guerra
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E' un film che va visto: solca l'anima.
E' diretto dal croato Dalibor Matanic ed è di co-produzione croata, serba e slovena. Grandi regia, montaggio, fotografia.
Tre episodi interpretati dagli stessi attori protagonisti (Tihana Lazovic e Goran Markovic, perfetti nel ruolo) e ciò ha un effetto straniante. I personaggi non sono correlati; tuttavia la narrazione è disseminata di elementi ricorrenti e nessi al contrario: la mente prova a individuare un'interrelazione o elemento di continuità, ma come in un quadro di Escher i tasselli non si ricompongono.
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E' un film che va visto: solca l'anima.
E' diretto dal croato Dalibor Matanic ed è di co-produzione croata, serba e slovena. Grandi regia, montaggio, fotografia.
Tre episodi interpretati dagli stessi attori protagonisti (Tihana Lazovic e Goran Markovic, perfetti nel ruolo) e ciò ha un effetto straniante. I personaggi non sono correlati; tuttavia la narrazione è disseminata di elementi ricorrenti e nessi al contrario: la mente prova a individuare un'interrelazione o elemento di continuità, ma come in un quadro di Escher i tasselli non si ricompongono.
Il primo episodio è del 1991: soffiano i primi venti di guerra e due giovani innamorati, lui croato e lei serba, decidono di andare via dal villaggio in cui l'aria si è fatta insopportabilmente pesante.
Il secondo episodio è del 2001: una madre e una figlia tornano nella casa di ante guerra e la trovano semi-distrutta. Un giovane e laborioso operaio di diversa appartenenza etnica rimette in sesto la casa ma la ragazza mal lo sopporta: sono ancora fresche le ferite della tragedia della guerra.
E infine arriviamo al 2011. La guerra è lontana. Ne resta giusto qualche scoria sotterranea che con andamento carsico riemerge e condiziona le vite ordinarie. Uno studente torna in paese e va a trovare i genitori e soprattutto la ragazza da cui ha avuto un figlio.
Il primo episodio è quello più tragicamente intenso, toccante, amaro. Ma l'intera composizione è di bellezza e lirismo assoluti. Un film di amore e guerra, un mosaico universale di sentimenti che lascia la porta aperta ad un ottimismo consapevole e misurato, come una possibilità ulteriore di riscatto dalla follia umana. Film da non perdere: ha l'energia e la potenza della migliore cinematografia balcanica, quella zona che è così vicina a noi eppure abissalmente sconosciuta.
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gia54
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sabato 21 maggio 2016
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dopo i tramonto il sole può splendere alto!
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Non si può dire che "Sole Alto" non sia un'opera integralmente creata da Dalibor Matanić che ne ha scritto il soggetto, la sceneggiatura e ne ha curato, mirabilmente, la regia.
Tre storie d'amore,che meritano il massimo dei voti, si dipanano temporalmente lungo vent'anni che si sviluppano dall'immediatamente prima (1991 è la data in cui si ambienta la prima delle tre) al dopo la travagliata guerra etnica che ha dilaniato la Jugoslavia segnando profondamente la vita dei suoi abitanti.
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Non si può dire che "Sole Alto" non sia un'opera integralmente creata da Dalibor Matanić che ne ha scritto il soggetto, la sceneggiatura e ne ha curato, mirabilmente, la regia.
Tre storie d'amore,che meritano il massimo dei voti, si dipanano temporalmente lungo vent'anni che si sviluppano dall'immediatamente prima (1991 è la data in cui si ambienta la prima delle tre) al dopo la travagliata guerra etnica che ha dilaniato la Jugoslavia segnando profondamente la vita dei suoi abitanti.
Tre storie magistralmente recitate da Tihana Lazovic e Goran Markovic che incarnano tre ruoli diversi, ma tutti con lo stesso denominatore comune: l'odio razziale,che è stato lo sfondo di quella terribile guerra, e l'amore, quasi a voler dire che lì ed ovunque ci sia la guerra le qualità personali poco contano ma è la storia (una storia STUPIDA, OTTUSA, e CIECA) a giocare con il destino delle persone, muovendole come burattini sul palcoscenico dell'orrore. E ce lo fa capire, Matanić, fin dal primo episodio imprimendo alla pellicola un ritmo lento e dilatato dove è la stupidità a precipitare le persone nel baratro oscuro dell'abbrutimento umano che porta ad uccidere un proprio simile così, senza motivo, solo per ottusa contrapposizione. Notevole nella cura dei particolari, vengono contrapposte le musiche di una banda paesana, che suona pezzi che affondano le radici nella cultura contadina croata, ad una musica dura da discoteca ascoltata dal giovane fratello (serbo) della protagonista. La guerra non esplicitamente celebrata nella pellicola ma piaga, flagello che tutti colpisce e segna come viene ben evidenziato in una delle inquadrature conclusive del primo episodio in cui viene dedicato un lungo primo piano ad una locusta, di biblica memoria, non a caso posata sullo specchietto retrovisore di un Pick-Up bellico mentre sullo sfondo si consumano le ultime battute che sfoceranno nella tragedia conclusiva. E' facile, molto facile per il genere umano annegare il proprio io nell'uso di sostanze o nell'assecondare la propria bestialità e il regista ce lo ripete anche lungo il secondo ed il terzo episodio. Basta però un piccolo momento di umanità per farlo riemergere e portarlo a splendere alto nel cielo. Una tromba che si oppone alle urla prepotenti, un onorario rifiutato per riscattare colpe mai commesse, una porta aperta a chi torna dopo un abbandono Piccoli gesti che trasformano un perenne tramonto (il film è pieno di tramonti stupefacenti) in un momento in cui il sole splende e l'essere umano si risolleva dalle proprie colpe.
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nanni
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venerdì 6 maggio 2016
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sole alto
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La comunità (religiosa, territorial, etc.)etnica in "Sole alto", è la risposta "antropologica al bisogno di appartenenza ad uno spazio sociale, geografico e culturale riconoscibile ed, al tempo stesso, il più esclusivo possibile. E' il mero appartenere la ragione stessa della dimensione rassicurante e protettiva dell'appartenere? Niente di più di questo? Dovremmo cominciare a considerare l’idea stessa che la comunità umana, forse, non sia un orizzonte possibile? Così in "Sole alto" chi, per caso o per una sorta di inadeguatezza o insofferenza o semplicemente , come solo ai giovani a volte può capitare, proverà a rompere l'accerchiamento di "quell'appartenere" pagherà l'inevitabile pegno. Jelena ed Ivan non andranno mai a Zagabria come, invece, vorrebbero.
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La comunità (religiosa, territorial, etc.)etnica in "Sole alto", è la risposta "antropologica al bisogno di appartenenza ad uno spazio sociale, geografico e culturale riconoscibile ed, al tempo stesso, il più esclusivo possibile. E' il mero appartenere la ragione stessa della dimensione rassicurante e protettiva dell'appartenere? Niente di più di questo? Dovremmo cominciare a considerare l’idea stessa che la comunità umana, forse, non sia un orizzonte possibile? Così in "Sole alto" chi, per caso o per una sorta di inadeguatezza o insofferenza o semplicemente , come solo ai giovani a volte può capitare, proverà a rompere l'accerchiamento di "quell'appartenere" pagherà l'inevitabile pegno. Jelena ed Ivan non andranno mai a Zagabria come, invece, vorrebbero. Natasa ed Ante si accontenteranno di un rabbioso incontro amoroso. Luka forse non oltrepasserà mai la porta che Marija, senza troppa convinzione, ha lasciato aperta. Il lavoro di Matanic che copre tre decenni nell'ex Jugoslavia e che evoca una dimensione, tutto sommato, atemporale in uno spazio universale, ha il merito di riproporre una ineludibile ed oggi più che mai centrale riflessione sui temi sopra citati. il film, però, con uno stile troppo didascalico ed una recitazione formalistica e meccanica, non va mai oltre la sensazione di un compito(ino) ben fatto e non sorprende mai. Due stelle e mezzo. Ciao Nanni
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marco michielis
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martedì 19 luglio 2016
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l'amore e l'odio etnico
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L’ultimo film distribuito nelle sale italiane dalla friulana "Tucker film" è stato “Sole alto” del regista croato Dalibor Matanic, premiato l’anno scorso a Cannes dalla Giuria della Sezione Un Certain Regard. Diviso in tre differenti storie, interpretate sempre dagli stessi attori protagonisti, ossia Goran Markovic e la rivelazione Tihana Lazovic, elogiata alla Berlinale anche dal nostro Nanni Moretti, “Sole alto” tratta del tema dell’amore tra una ragazza serba e un ragazzo croato in diversi momenti recenti della storia della Jugoslavia e della ex Jugoslavia, sempre caratterizzati, tuttavia, dall’odio e dalla diffidenza tra le due etnie.
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L’ultimo film distribuito nelle sale italiane dalla friulana "Tucker film" è stato “Sole alto” del regista croato Dalibor Matanic, premiato l’anno scorso a Cannes dalla Giuria della Sezione Un Certain Regard. Diviso in tre differenti storie, interpretate sempre dagli stessi attori protagonisti, ossia Goran Markovic e la rivelazione Tihana Lazovic, elogiata alla Berlinale anche dal nostro Nanni Moretti, “Sole alto” tratta del tema dell’amore tra una ragazza serba e un ragazzo croato in diversi momenti recenti della storia della Jugoslavia e della ex Jugoslavia, sempre caratterizzati, tuttavia, dall’odio e dalla diffidenza tra le due etnie.
A legare tra di loro le tre vicende non vi sono soltanto gli interpreti e i contenuti principali, ma anche alcuni elementi formali e stilistici grazie ai quali Matanic tenta, riuscendoci solo qualche volta, in realtà, di conferire una struttura verticale e ben salda alla totalità del film. Ma, se anche lo spettatore più distratto si accorgerà del costante richiamo al bagno e all’immersione in acqua adottato come una sorta di rituale di purificazione, bisogna anche riconoscere che, sia dal punto di vista qualitativo che da quello della complessità dell’intreccio, le tre storie non sono sullo stesso livello. Personalmente, al primo episodio (trascurabile) e all’ultimo (molto banale e forzato), ho di gran lunga preferito la forza espressiva del secondo, nel quale si racconta di una madre e di sua figlia, entrambe serbe, che tornano a vivere nel 2001 nella loro precedente abitazione, abbandonata e devastata durante il conflitto. Sarà un ragazzo croato, Ante, prima guardato con estrema diffidenza, poi amato in un breve e intenso attimo di passione dalla giovane serba, Natasa, ad aiutarle nella ricostruzione della casa. Ricostruzione fisica che diverrà anche tentativo di ricostruzione morale e di riconciliazione post-conflitto e intergenerazionale quando Ante, a lavori conclusi, prenderà l’inaspettata e, a suo modo, clamorosa decisione di non essere pagato, lasciando Natasa nel rimorso per la brutalità e la spietatezza del suo comportamento nei confronti del ragazzo e nel buio e nell’oscurità della sua coscienza, rappresentati con efficacia dal vicoletto ombroso tra due lati dell’edificio dove la giovane spesso si rifugia.
A regalare speranza in quello che, pur guardando al “sole alto” che si erge al di sopra dell’insensatezza del conflitto serbo-croato, si configura, in ogni caso, come una rappresentazione piuttosto sconsolata delle difficoltà e spesso dell’impossibilità dell’amore in contesti di odio etnico, quasi come un moderno “Romeo e Giulietta”, vi è la porta aperta posta a conclusione dell’ultima delle tre storie, e quindi del film, che, inserita all’interno del contesto e della vicenda specifica del terzo episodio, diventa possibilità di riscatto per le nuove generazioni di serbi e di croati e spiraglio attraverso il quale intravedere un futuro migliore e di pacifica convivenza e accordo tra i due popoli sia nella vita di ogni giorno sia nel più intricato campo della memoria storica. Di questo “Sole alto”, lavoro, nel complesso, buono ma non indimenticabile, resta soprattutto, però, l’interpretazione di una Lazovic elogiata internazionalmente e destinata, si spera, a una brillante carriera, aiutata dalla forza e, a tratti, veemenza della sua espressività e, bisogna dire, anche dalla sua bellezza carnale e prosperosa che a me ha ricordato, seppur vagamente, quella della Harriet Andersson del capolavoro bergmaniano “Monica e il desiderio”.
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lbavassano
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martedì 25 ottobre 2016
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splendido film, che pochi hanno potuto vedere
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Notevole è la capacità narrativa del film di Dalibor Matanic, la capacità di raccontare, tramite un uso estremo dell'ellissi, storie che nonostante ciò non perdono nulla della propria piena coerenza, mentre viene esaltata la loro intensità. Notevole è la capacità di raccontare grazie alla forza delle immagini, del taglio mai banale delle inquadrature, dell'indugio mai esornativo sui dettagli. Importante è la volontà di ricordare una tragedia, la guerra nella ex Jugoslavia, troppo prossima ai nostri confini, troppo recente, troppo frettolosamente dimenticata. Ci racconta di fughe, tentate e riuscite, e di ritorni, "Sole alto", con linguaggi diversi ma cinematograficamente coerenti, e quel cane randagio, abbandonato e ritrovato, che di tale coerenza rappresenta il simbolo più forte, attende anche noi.
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Notevole è la capacità narrativa del film di Dalibor Matanic, la capacità di raccontare, tramite un uso estremo dell'ellissi, storie che nonostante ciò non perdono nulla della propria piena coerenza, mentre viene esaltata la loro intensità. Notevole è la capacità di raccontare grazie alla forza delle immagini, del taglio mai banale delle inquadrature, dell'indugio mai esornativo sui dettagli. Importante è la volontà di ricordare una tragedia, la guerra nella ex Jugoslavia, troppo prossima ai nostri confini, troppo recente, troppo frettolosamente dimenticata. Ci racconta di fughe, tentate e riuscite, e di ritorni, "Sole alto", con linguaggi diversi ma cinematograficamente coerenti, e quel cane randagio, abbandonato e ritrovato, che di tale coerenza rappresenta il simbolo più forte, attende anche noi. Perché tutto ciò è accaduto, perché tutto ciò potrebbe tornare ad accadere. E' un film bello e importante quello di Dalibor Matanic, testimonianza di un'idea alta del fare cinema. Temo troppo pochi abbiano avuto la possibilità di vederlo.
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dian�
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martedì 25 aprile 2017
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amore e odio all'ombra della guerra
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Due sono le particolarità di questo film: si tratta di un titolo che non ha avuto ampia diffusione nelle sale italiane nonostante abbia vinto numerosi premi, alcuni anche importanti, come il Premio della Giuria al Festival di Cannes 2015 nella sezione “Un certain regard”. La seconda particolarità sta nella scelta da parte del regista degli stessi attori, Tihana Lazovic e Goran Markovic,per interpretare tre diverse coppie in tre luoghi differenti, che in realtà sono sempre gli stessi: la campagna, il villaggio e il lago. Così come identici sono i sentimenti di rabbia, dolore e paura che ognuna delle tre storie lascia dietro di sé.
Ed è forse proprio la paura il sentimento che prevale guardando questo film, paura di non riuscire ad immaginare uno scenario diverso rispetto a quello che disegna il regista attorno alle conseguenze di una guerra, di non riuscire a pensare a quelle scene come a qualcosa che appartiene soltanto al passato.
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Due sono le particolarità di questo film: si tratta di un titolo che non ha avuto ampia diffusione nelle sale italiane nonostante abbia vinto numerosi premi, alcuni anche importanti, come il Premio della Giuria al Festival di Cannes 2015 nella sezione “Un certain regard”. La seconda particolarità sta nella scelta da parte del regista degli stessi attori, Tihana Lazovic e Goran Markovic,per interpretare tre diverse coppie in tre luoghi differenti, che in realtà sono sempre gli stessi: la campagna, il villaggio e il lago. Così come identici sono i sentimenti di rabbia, dolore e paura che ognuna delle tre storie lascia dietro di sé.
Ed è forse proprio la paura il sentimento che prevale guardando questo film, paura di non riuscire ad immaginare uno scenario diverso rispetto a quello che disegna il regista attorno alle conseguenze di una guerra, di non riuscire a pensare a quelle scene come a qualcosa che appartiene soltanto al passato. Paura di non riuscire a credere che un giorno l’odio tra le diverse etnie verrà finalmente sepolto.
Il regista croato Dalibor Matanic assegna il compito di testimoniare questa paura ad una coppia di bravissimi attori, che si muove nell’arco di 3 decenni vicini alla guerra dei Balcani, 1991, 2001 e 2011. Una coppia che si muove perché fermi davanti ad un conflitto di sangue non si riesce a stare, sia che il conflitto rappresenti una minaccia di cui si sente già nell’aria l’odore, sia che si tratti invece di un ricordo, vicino o lontano.
No, fermi non si riesce a stare, e allora ci si muove per fuggire, ci si incontra e ci si scontra, ci si muove per provare invano a capire. Ma prima o poi, ci si muove anche per tornare, per tornare nei propri luoghi d’origine, per tornare a volersi bene.
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stefano capasso
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venerdì 27 maggio 2016
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il perdono come percorso di guarigione
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In un luogo imprecisato dell’ex Jugoslavia, nel 1991, due giovani Jelena e Ivan stanno progettando di andare via insieme in città. Devono fare i conti con l’odio razziale crescente che le rispettive famiglie alimentano per via delle diverse etnie di provenienza. La narrazione poi si sposta nel 2001, a guerra appena conclusa che vede i conflitti aspri ben vivi e infine nel 2011 dove la voglia di mettersi alle spalle il dolore lascia ancora non definiti i vecchi rancori.
Un bel film questo di Dalibor Matanic che parla del conflitto dei Balcani attraverso la storia di diverse relazioni che vengono interpretati dagli stessi attori nel corso degli anni. E questo consente di non abbandonare il rapporto affettivo che si stabilisce con i personaggi e mantenere il coinvolgimento.
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In un luogo imprecisato dell’ex Jugoslavia, nel 1991, due giovani Jelena e Ivan stanno progettando di andare via insieme in città. Devono fare i conti con l’odio razziale crescente che le rispettive famiglie alimentano per via delle diverse etnie di provenienza. La narrazione poi si sposta nel 2001, a guerra appena conclusa che vede i conflitti aspri ben vivi e infine nel 2011 dove la voglia di mettersi alle spalle il dolore lascia ancora non definiti i vecchi rancori.
Un bel film questo di Dalibor Matanic che parla del conflitto dei Balcani attraverso la storia di diverse relazioni che vengono interpretati dagli stessi attori nel corso degli anni. E questo consente di non abbandonare il rapporto affettivo che si stabilisce con i personaggi e mantenere il coinvolgimento.
Allo stesso tempo questa scelta indica che c’è una continuità in quello che accade, storie che hanno riguardato tutti allo stesso modo prolungando un clima di odio e sofferenza per molti anni
La soluzione proposta dal film è quella del perdono. Un perdono che a volte è un processo che va iniziato quasi per necessità sapendo che sarà un percorso difficile e allo stesso temo l’unico modo per sperare che le cose cambino.
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valterchiappa
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sabato 14 ottobre 2017
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l’odio e l’amore
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L’odio e l’amore. Come possano coesistere e combattersi, sfidandosi in tenacia; come l’uno limiti l’altro e come questo sfugga alle stringenti catene del primo. Questo il tema portante; ma, come tutti i grandi film, “Sole alto” é anche altro: il racconto di un’epoca apparentemente breve nella durata assoluta, vent’anni, ma densa di sconvolgimenti; di una storia, quella della guerra nei Balcani, che l’Occidente non ha voluto vedere e che oggi sembra non voler ricordare; una storia che il regista Dalibor Matanic ha vissuto sulla sua pelle e che sembra voler diventare lo sfondo necessario di ogni possibile racconto.
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L’odio e l’amore. Come possano coesistere e combattersi, sfidandosi in tenacia; come l’uno limiti l’altro e come questo sfugga alle stringenti catene del primo. Questo il tema portante; ma, come tutti i grandi film, “Sole alto” é anche altro: il racconto di un’epoca apparentemente breve nella durata assoluta, vent’anni, ma densa di sconvolgimenti; di una storia, quella della guerra nei Balcani, che l’Occidente non ha voluto vedere e che oggi sembra non voler ricordare; una storia che il regista Dalibor Matanic ha vissuto sulla sua pelle e che sembra voler diventare lo sfondo necessario di ogni possibile racconto. 1991, 2001, 2011: l’inizio di tre decenni, di tre pagine completamente diverse: la nascita dell’odio che condusse a una guerra sanguinosa ed inspiegabile, la devastazione che ne è conseguita, il nuovo paese che rinasce sulle macerie del primo. Tre fondali per tre storie che in realtà sono una sola.
1991. La Jugoslavia è ancora un paese rurale. Due ragazzi, Jelena e Ivan, sono fidanzati e sognano di andare a vivere in città. Ma la serenità viene bruscamente interrotta dallo sferragliare dei carri armati; al suono della musica si sostituisce il crepitio delle armi. Lei è serba, lui croato. L’odio irrompe a dividere gli amanti gioiosi, la morte assurda, incomprensibile, è uno sparo nel silenzio. La felicità è rotta per sempre.
2001. La Jugoslavia è un deserto di case diroccate. Una madre e una figlia non vogliono restare in città e decidono di tornare nel fantasma del paese natale. Vogliono ristrutturare la loro vecchia casa, vogliono ritornare a vivere. Le aiuta Ante, un giovane carpentiere silenzioso e infaticabile. Ma loro sono serbe e lui è croato. E Natasa, la figlia, chiusa in un rancore senza redenzione, non ne accetta la presenza. Ma i due si osservano e il richiamo dell’eros si farà sentire irresistibile. Il rapporto carnale fra i due sarà breve, silenzioso, violento, come la guerra appena conclusa. È ancora presto per le parole, è ancora presto per l’amore.
2011. La Jugoslavia non esiste più: A cancellare definitivamente il passato arriva il richiamo delle sirene dei modelli occidentali. Due ragazzi ritornano al paese natio, dove si svolgerà un rave. C’è voglia di divertirsi, ma di un divertimento che è evasione, fuga che si concretizza nello stordimento della musica e delle droghe. Luka, uno dei due ragazzi, non ha chiuso i conti con il passato: c’è una donna lì, Marija, che lui ha abbandonato per andare a studiare in città; c’è una donna lì, la madre di suo figlio. Luka torna per farsi perdonare. Ma lei è serba e lui è croato. Il dialogo è difficile, quasi impossibile: l’odio, ora sedimentato, è tenace come una roccia. Ma Luka ha deciso: è lì che deve tornare, è lì la sua casa e, incrollabile, attenderà sulla porta.
“Sole alto”, premiato al Cannes Film Festival 2015 nella sezione “Un certain regard”, è un film pressoché perfetto. A partire dalla regia che cesella ogni inquadratura, che dosa ogni movimento di macchina.
Ma soprattutto si avvale di una struttura narrativa meravigliosa. Tre periodi, tre coppie diverse, ma sempre gli stessi attori, i bravissimi Tihana Lazovic e Goran Markovic. Perché gli uomini sono sempre gli stessi. Odio ed amore albergano in loro, pronti a cedere o a prendere il sopravvento; la colpa della storia è quella di alimentare il primo e farlo prevalere.
Leitmotiv ricorrenti, intrisi di potente simbolismo: il lago, Eden incancellabile, pronto ad accogliere nelle sue acque per un bagno purificatore; il sole, perennemente alto, la fonte di luce che non può essere oscurata. È la Natura, intesa come la Terra Madre, ad offrire ciò che è costantemente, immutevolmente buono; il rifugio sicuro dove i personaggi, rifiutata la città, fanno ritorno; è la zolla fertile dove piantare i semi delle nuove piante, i semi della rinascita.
Infine, da depositare nella memoria, momenti di narrazione poetici e potentissimi, come la sfida pacifica del giovane musicista che oppone il suono della sua tromba al rumore aspro dei mitragliatori.
O la struggente scena finale. Non c’è trionfo dell’amore in “Sole alto”: è predestinato a convivere con l’odio, a dover lottare contro di esso per far breccia nella sua dura corazza. Ma se, trovata la via di casa, tenace saprà perseverare nell’attesa, al mattino, quando il sole torna alto nel cielo, inevitabilmente per lui una porta si aprirà.
Voto: 8.5
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valterchiappa
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sabato 14 ottobre 2017
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l'odio e l'amore
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L’odio e l’amore. Come possano coesistere e combattersi, sfidandosi in tenacia; come l’uno limiti l’altro e come questo sfugga alle stringenti catene del primo. Questo il tema portante; ma, come tutti i grandi film, “Sole alto” é anche altro: il racconto di un’epoca apparentemente breve nella durata assoluta, vent’anni, ma densa di sconvolgimenti; di una storia, quella della guerra nei Balcani, che l’Occidente non ha voluto vedere e che oggi sembra non voler ricordare; una storia che il regista Dalibor Matanic ha vissuto sulla sua pelle e che sembra voler diventare lo sfondo necessario di ogni possibile racconto.
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L’odio e l’amore. Come possano coesistere e combattersi, sfidandosi in tenacia; come l’uno limiti l’altro e come questo sfugga alle stringenti catene del primo. Questo il tema portante; ma, come tutti i grandi film, “Sole alto” é anche altro: il racconto di un’epoca apparentemente breve nella durata assoluta, vent’anni, ma densa di sconvolgimenti; di una storia, quella della guerra nei Balcani, che l’Occidente non ha voluto vedere e che oggi sembra non voler ricordare; una storia che il regista Dalibor Matanic ha vissuto sulla sua pelle e che sembra voler diventare lo sfondo necessario di ogni possibile racconto. 1991, 2001, 2011: l’inizio di tre decenni, di tre pagine completamente diverse: la nascita dell’odio che condusse a una guerra sanguinosa ed inspiegabile, la devastazione che ne è conseguita, il nuovo paese che rinasce sulle macerie del primo. Tre fondali per tre storie che in realtà sono una sola.
1991. La Jugoslavia è ancora un paese rurale. Due ragazzi, Jelena e Ivan, sono fidanzati e sognano di andare a vivere in città. Ma la serenità viene bruscamente interrotta dallo sferragliare dei carri armati; al suono della musica si sostituisce il crepitio delle armi. Lei è serba, lui croato. L’odio irrompe a dividere gli amanti gioiosi, la morte assurda, incomprensibile, è uno sparo nel silenzio. La felicità è rotta per sempre.
2001. La Jugoslavia è un deserto di case diroccate. Una madre e una figlia non vogliono restare in città e decidono di tornare nel fantasma del paese natale. Vogliono ristrutturare la loro vecchia casa, vogliono ritornare a vivere. Le aiuta Ante, un giovane carpentiere silenzioso e infaticabile. Ma loro sono serbe e lui è croato. E Natasa, la figlia, chiusa in un rancore senza redenzione, non ne accetta la presenza. Ma i due si osservano e il richiamo dell’eros si farà sentire irresistibile. Il rapporto carnale fra i due sarà breve, silenzioso, violento, come la guerra appena conclusa. È ancora presto per le parole, è ancora presto per l’amore.
2011. La Jugoslavia non esiste più: A cancellare definitivamente il passato arriva il richiamo delle sirene dei modelli occidentali. Due ragazzi ritornano al paese natio, dove si svolgerà un rave. C’è voglia di divertirsi, ma di un divertimento che è evasione, fuga che si concretizza nello stordimento della musica e delle droghe. Luka, uno dei due ragazzi, non ha chiuso i conti con il passato: c’è una donna lì, Marija, che lui ha abbandonato per andare a studiare in città; c’è una donna lì, la madre di suo figlio. Luka torna per farsi perdonare. Ma lei è serba e lui è croato. Il dialogo è difficile, quasi impossibile: l’odio, ora sedimentato, è tenace come una roccia. Ma Luka ha deciso: è lì che deve tornare, è lì la sua casa e, incrollabile, attenderà sulla porta.
“Sole alto”, premiato al Cannes Film Festival 2015 nella sezione “Un certain regard”, è un film pressoché perfetto. A partire dalla regia che cesella ogni inquadratura, che dosa ogni movimento di macchina.
Ma soprattutto si avvale di una struttura narrativa meravigliosa. Tre periodi, tre coppie diverse, ma sempre gli stessi attori, i bravissimi Tihana Lazovic e Goran Markovic. Perché gli uomini sono sempre gli stessi. Odio ed amore albergano in loro, pronti a cedere o a prendere il sopravvento; la colpa della storia è quella di alimentare il primo e farlo prevalere.
Leitmotiv ricorrenti, intrisi di potente simbolismo: il lago, Eden incancellabile, pronto ad accogliere nelle sue acque per un bagno purificatore; il sole, perennemente alto, la fonte di luce che non può essere oscurata. È la Natura, intesa come la Terra Madre, ad offrire ciò che è costantemente, immutevolmente buono; il rifugio sicuro dove i personaggi, rifiutata la città, fanno ritorno; è la zolla fertile dove piantare i semi delle nuove piante, i semi della rinascita.
Infine, da depositare nella memoria, momenti di narrazione poetici e potentissimi, come la sfida pacifica del giovane musicista che oppone il suono della sua tromba al rumore aspro dei mitragliatori.
O la struggente scena finale. Non c’è trionfo dell’amore in “Sole alto”: è predestinato a convivere con l’odio, a dover lottare contro di esso per far breccia nella sua dura corazza. Ma se, trovata la via di casa, tenace saprà perseverare nell’attesa, al mattino, quando il sole torna alto nel cielo, inevitabilmente per lui una porta si aprirà.
Voto: 8.5
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flyanto
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lunedì 2 maggio 2016
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l'amore ai tempi e dopo il conflitto nei balcani
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Il film "Sole Alto" del regista croato Dalibor Matanic, vincitore giustamente al Festival di Cannes 2015 per la sezione "Un Certain Regard", risulta una piacevole sorpresa per lo spettatore in quanto originale nella sua esposizione e all'insegna di una regia nitida e precisa.
Il tema riguarda l'amore, per lo più impossibile tra due giovani (lui croato e lei serba) in quanto divisi ai tempi del sanguinoso conflitto in quelle terre nel corso degli anni '90. In realtà le storie raccontate sono tre che si sviluppano nell'arco di tre decenni (precisamente dal 1991 al 2011) ed hanno come protagonisti tre coppie di giovani differenti (ma interpretati nella pellicola dagli stessi attori) che vivono il loro amore in modo diverso in base alla contemporanea situazione politica dei loro paesi.
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Il film "Sole Alto" del regista croato Dalibor Matanic, vincitore giustamente al Festival di Cannes 2015 per la sezione "Un Certain Regard", risulta una piacevole sorpresa per lo spettatore in quanto originale nella sua esposizione e all'insegna di una regia nitida e precisa.
Il tema riguarda l'amore, per lo più impossibile tra due giovani (lui croato e lei serba) in quanto divisi ai tempi del sanguinoso conflitto in quelle terre nel corso degli anni '90. In realtà le storie raccontate sono tre che si sviluppano nell'arco di tre decenni (precisamente dal 1991 al 2011) ed hanno come protagonisti tre coppie di giovani differenti (ma interpretati nella pellicola dagli stessi attori) che vivono il loro amore in modo diverso in base alla contemporanea situazione politica dei loro paesi. Pertanto nella prima vi è quello sincero e spontaneo vissuto nel 1991, al tempo del conflitto serbo-croato vero e proprio in atto, fortemente ostacolato dai rispettivi familiari nemici e pertanto finito in maniera tragica. Nella seconda parte vi è l'amore ambientato nel 2001, emergente ma fortemente rifiutato per il troppo rancore ancora provato come parti avverse e nella terza vi è l'amore vissuto nel 2011, ad ostilità belliche ormai terminate, che, nonostante i primi ed ammissibili rifiuti, finalmente trionfa.
Quello che più viene apprezzato in Matanic è il modo in cui egli ha narrato queste storie, presentandole una ad una in una maniera del tutto singolare e dunque senza cadere mai nella retorica. Il regista, infatti, riesce perfettamente a centrare l'anima delle relazioni sentimentali ed a presentarle allo spettatore nella loro giusta e quanto mai realistica natura, mettendo soprattutto in evidenza come l'amore, in generale, anche quando sincero e fortemente corrisposto, possa non svilupparsi e terminare, invece, nella maniera più tragica. Quanto mai comprensibile per la dolorosa e terribile situazione bellica che divide appunto i due paesi della Serbia e della Croazia, se vige e predomina l'odio e l'orgoglio come nella storia del 1991, od il rancore ancora non sopito ed il senso di vendetta ancora ben vivo, come in quella del 2001, difficilmente, pur provando nel profondo il contrario, i giovani riusciranno ad incontrarsi e rendere attuabile e felice il proprio sentimento. Solo con il perdono, per quanto difficile da raggiungere ed ammetterlo a se stessi, come nella storia finale del 2011, esso potrà finalmente trionfare e far intravvedere uno spiraglio di felicità futura, al di là dei confini geografici e soprattutto delle divisioni politiche
Un film, pertanto, molto delicato e, purtroppo, assai vero che il regista Matanic dirige con lucidità, precisione ed assoluta coerenza.
Un vero gioiello che induce sicuramente alla riflessione sugli avvenimenti in generale e su quanto questi possano determinare o meno la realizzazione dei vari sentimenti.
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