Nel film La famiglia Fang si riscontrano almeno tre tematiche diverse:
- il rapporto realtà/finzione nell’arte in generale, ma nella performance art in particolare
- il problema del rapporto genitori/figli quando essi possono essere di ostacolo agli artisti, oppure, coinvolti fin da bambini, si sentono usati e non amati. Ne consegue un’incapacità a spiccare il volo, di emanciparsi, di trovare la propria strada, attraverso quella “uccisione del padre” di cui la psicoanalisi tradizionale si è sempre occupata.
- un legame affettivo tra i fratelli solidali e complici da un lato, ma legati fin troppo, in un certo rapporto al limite dell’incestuoso – bella è la scena dei due bambini costretti a recitare Romeo e Giulietta con bacio annesso.
I tre argomenti trattati nel film - e immagino anche del romanzo omonimo di Kevin Wilson - si rincorrono, si sovrappongono, ma sono trattati in modo un po’ affastellato e mai approfonditamente. Su ognuno di essi si sarebbe potuto impostare un film intero.
Siamo negli Stati Uniti e nel film vengono coperti 40 anni di vita. Caleb e Camilla Fang sono due performer artists che amano intervenire nel tessuto sociale per stupire e provocare reazioni della gente, spesso eccedendo. Sarà arte o truffa? si chiedono i due giornalisti critici d’arte. Sembra che si debbano sempre superare nelle performances schockando sempre più la gente, pubblico inconsapevole. Conosco abbastanza questo genere perché ho un vecchio amico artista inserito in questo filone, che iniziò il suo percorso molti anni fa disegnando falsi segnali stradali, ubicandoli nella città e filmando le reazioni del pubblico. Così i Fang vivono sempre in una sorta di border line tra la realtà e la finzione. Si feriscono? Il sangue sarà finto o sarà vero? Inventano false rapine in banca utilizzando il figlio piccolo come ladro, inscenando false sparatorie e falsi feriti. Più in là con gli anni si accontentano di distribuire alla gente falsi coupons per fried chicken gratis di fronte al baracchino che li vende chiedendo ai figli di filmare la scena.
Caleb, il capofamiglia (un magnifico Christopher Walken) è di un narcisismo cosmico; è un padre castrante che non ha accettato l’abbandono dei figli, quindi li distrugge con critiche feroci: secondo lui Baxter (lo stesso Jason Bateman quasi più bravo come attore che come regista) scrive robetta e Annie (la poco convincente Nicole Kidman super botulinata) recita in filmacci. Non dico di più della storia per non togliere quella poco sufficiente suspense del film, specie nella parte centrale che tratta della morte, vera o supposta, dei genitori di Annie e Baxter.
La famiglia Fang è un film che presenta belle fotografie, buona musica e attori bravi – a parte la Kidman che delude – anche nella versione di giovani e bambini in lunghi flash-back, ma non riesce a coinvolgere totalmente. Forse manca di ritmo o forse qualche errore di trasposizione dal romanzo. E pensareche la sceneggiatura è di David Lindsay-Abaire, premio Pulitzer nel 2007 per il dramma Rabbit Hole.
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