Scritto e diretto dal premio Oscar Alex Gibney, il documentario sulla vita del fondatore dell'azienda di Cupertino è un ritratto da cui emerge un personaggio "Bold, Brillant, Brutal" (audace, brillante e brutale), un visionario m'anch'un "leader spietato e senza scrupoli". Fin qui nulla di nuovo, mentre le sorprese risiedon'altrove: la "i" usata come prefisso nei prodotti di Jobs non è un corrispettivo di "smart", "clever", ecc., non è l'iniziale di "intelligent" né d'alcunché di simile. Quella "i" va intesa come singola parola, "io", e designa l'egotismo del suo imprenditore e dei suoi acquirenti, fruitori e fanatici, una setta d'adepti tecnocentrica ed elitaria per i prezzi esorbitanti disposti a sborsare pur di sfoggiar'il brand assurto allo status symbol più in voga del momento. Forse Gibney ha scelto questo soggetto subito dopo "Scientology" (sempre del 2015) per tali sconcertanti affinità. Second'elemento di sorpresa: si sapeva che Apple e il suo logo non facessero riferimento a Turing e al suo suicidio. L'unic'alternativa residua è all'ofitismo adamitico e prometeico: a Cupertino sono convinti d'avere la sapienza di chi ha osato ribellarsi mangiando l'edenico frutto proibito. Parola di "monaco Zen" (sic).
[+] lascia un commento a mauro lanari »
[ - ] lascia un commento a mauro lanari »
|