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Tutti gli uomini dell'...Arcivescovo Valutazione 3 stelle su cinque

di gianleo67


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martedì 10 maggio 2016

Sotto l'impulso del nuovo direttore editoriale di origine ebrea, un gruppo di giornalisti d'inchiesta del quotidiano The Boston Globe inizia ad indagare sulle coperture ecclesiastiche che hanno consentito per molti anni l'azione indisturbata di una vasta rete di preti pedofili nelle diocesi cittadine. Nonostante le forti pressioni ricevute e la distrazione mediatica dovuta ai fatti dell'11 Settembre, riusciranno a pubblicare un reportage che documenterà il più grande scandalo che abbia mai riguardato la Chiesa Cattolica nel continente americano.
Tutti gli uomini dell'...Arcivescovo, verrebbe da parafrasare attingendo ad uno dei più importanti esempi del cinema liberal americano degli anni '70 (correva l'anno 1976, la regia era di Alan J. Pakula ed il principale imputato era il Nixon dello scandalo Watergate) guardando a questo film di inchiesta da open space giornalistico che si apre appena agli esterni di una detection indecisa tra sacro e profano e si chiude nella lunga elencazione di titoli di coda sulle principali località teatro dei misfatti (Manca l'Italia. Peccato veniale?!). Se l'impianto dalla geometria orizzontale del rullo compressore di una rotativa che sembra ricostruire la progressione di vicende sospese tra le omissioni (rimozioni) del passato e la scomoda determinazione del presente è uno degli aspetti che più ne qualifica la struttura narrativa e ne anima lo svolgimento drammatico, il rischio è quello di trovarsi di fronte al solito polpettone che ti massacra per più di due ore di fila con la sua insopportabile verbosità e gli infiniti risvolti di una anamnesi del rimosso che fa la spola tra breafing di redazione, colloqui al vertice con referenti politici e lunghe anticamere presso procuratori legali, cancellerie di tribunale, giudici monocratici e chi più ne ha più ne metta. Sposando una linea editoriale che evita accuratamente di avere a che fare direttamente con i carnefici e le loro povere vittime (solo un cardinale e pochi testimoni abusati), il film del volenteroso McCarthy sembra agitare appena le acque di uno scandalo e di una responsabilità etica e deontologica che non vorrebbe risparmiare nessuno (giornalisti superficiali, prelati omertosi, politici conniventi, magistrati deferenti) ma che di fatto si lava la coscienza con l'ultima riunione editoriale pre-stampa in cui un Liev Schreiber in stato catatonico stile 'The Manchurian Candidate' proclama un'autoassoluzione che suona più o meno come: "Chi ha avuto,ha avuto,ha avuto; chi ha dato,ha dato, ha dato, scurdammece ò passato, simme e... Boston paisà!". Insomma poca azione e molta orazione per un film tiene il ritmo solo grazie all'ottimo montaggio ed al lavoro degli interpreti (sempre gli stessi; compresa la brunetta rampante di State of Play sotto mentite spoglie ed un John Slattery che rifà il verso al Martin Balsam di cui sopra) che si affollano in una gara di bravura e professionalità, ma mancando il bersaglio grosso proprio nel mettere la sordina alla più grande intuizione giornalistica di sempre: l'applicazione di un semplice calcolo delle probabilità nella valutazione epidemiologica di un fenomeno sociale abominevole senza limitazioni geografiche o culturali (basta fare una semplice moltiplicazione). Chi vuole farsi una cultura sull'argomento può semplicemente dare un'occhiata al documentario di Alex Gibney del 2012 (Jamey Sheridan e lo stesso John Slattery già presenti come voci narranti!) ed al terremoto vaticano dell'anno successivo che ha fatto tremare il Soglio di Pietro. Coraggio e consulenze sociologiche a parte, il fenomeno cinematografico del 2015 sembra avere convinto L'Academy nell'assegnazione del Premio Oscar come Miglior film e Miglior sceneggiatura originale.
Per agnostici liberal senza pesi sulla coscienza o...peli sulla lingua! 

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