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venerdì 11 settembre 2015
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sconclusionato e irritante
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Ho avuto la fortuna (?!?!) di vedere questo film in sala grande a venezia. E non è educato uscire dalla sala con il cast presente. Quindi ho dovuto vederlo proprio tutto tutto. Si, proprio fino alla fine.
La mancana di coerenza tra i racconti (che passano con voli pindarici dal medioevo a oggi al medioevo di punto in bianco) e i dialoghi isolati e sconnessi di questa non-storia infastidisce e lascia 'basito' lo spettatore (reazione comune a tutti i presenti con cui ho avuto modo di confrontarmi).
La presenza delle due donne accessorrie nel medioevo o la giovane per quanto carina figlia del regista nella parte di storia contemporanea, riempiono dei vuoti che potevano rimanere tali, e anche il povero timi pare infilato a forza nella parte impazzita di se stesso.
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Ho avuto la fortuna (?!?!) di vedere questo film in sala grande a venezia. E non è educato uscire dalla sala con il cast presente. Quindi ho dovuto vederlo proprio tutto tutto. Si, proprio fino alla fine.
La mancana di coerenza tra i racconti (che passano con voli pindarici dal medioevo a oggi al medioevo di punto in bianco) e i dialoghi isolati e sconnessi di questa non-storia infastidisce e lascia 'basito' lo spettatore (reazione comune a tutti i presenti con cui ho avuto modo di confrontarmi).
La presenza delle due donne accessorrie nel medioevo o la giovane per quanto carina figlia del regista nella parte di storia contemporanea, riempiono dei vuoti che potevano rimanere tali, e anche il povero timi pare infilato a forza nella parte impazzita di se stesso.
Non ho mai amato Bellocchio ma ho sempre rispettato un suo stile lento e nostalgico che ne hanno fatto un nome.
La sensazione è che Bellocchio abbia preso diversi cortometraggi dei frequentatori dei suoi workshop bobbiesi e li abbia messi insieme senza alcun nesso logico.
Al massimo, per salvare qualcosa, prendiamo il dialogo-monologo di herlitzka (che tanto ammiro) e facciamone un cortometraggio intitolato "Dal dentista".
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peer gynt
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mercoledì 9 settembre 2015
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la strega e il vampiro: un non-horror sul potere
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Considerandosi a 75 anni anarchicamente libero, Marco Bellocchio esprime questa sua libertà e la sua voglia di fare cinema per puro piacere con un film che risulta slegato e rigidamente impostato. I due racconti, quello ambientato nel passato (un 17. secolo inquisitoriale) e quello contemporaneo, sembrano due binari: ognuno per la sua strada. E se lo stile narrativo del racconto in costume, per quanto sicuro, ricorda troppo da vicino l'andamento delle attuali fiction televisive (con personaggi-riempitivo come le due sorelle che ospitano Federico Mai, inutili e caratterialmente quasi imbarazzanti) e termina con un'allegoria che sembra costruita a tavolino e non riesce a farsi cinema (Benedetta, la suora murata viva e lì lasciata a pane e acqua per trent'anni, viene perdonata e liberata ed esce, nuda e più bella di prima, come fosse un'Idea che prevale sul Potere), quello dell'episodio contemporaneo risulta ancora più spiazzante per i toni da commedia grottesca mescolati a spruzzate di horror d'epoca, elementi di genere che non si legano affatto e lasciano perplesso lo spettatore.
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Considerandosi a 75 anni anarchicamente libero, Marco Bellocchio esprime questa sua libertà e la sua voglia di fare cinema per puro piacere con un film che risulta slegato e rigidamente impostato. I due racconti, quello ambientato nel passato (un 17. secolo inquisitoriale) e quello contemporaneo, sembrano due binari: ognuno per la sua strada. E se lo stile narrativo del racconto in costume, per quanto sicuro, ricorda troppo da vicino l'andamento delle attuali fiction televisive (con personaggi-riempitivo come le due sorelle che ospitano Federico Mai, inutili e caratterialmente quasi imbarazzanti) e termina con un'allegoria che sembra costruita a tavolino e non riesce a farsi cinema (Benedetta, la suora murata viva e lì lasciata a pane e acqua per trent'anni, viene perdonata e liberata ed esce, nuda e più bella di prima, come fosse un'Idea che prevale sul Potere), quello dell'episodio contemporaneo risulta ancora più spiazzante per i toni da commedia grottesca mescolati a spruzzate di horror d'epoca, elementi di genere che non si legano affatto e lasciano perplesso lo spettatore. L'autore ha di sicuro raggiunto l'età della vita in cui ci si permette di raccontare quello che si vuole, infischiandosene degli effetti, ma la maggior parte degli spettatori ancora non l'ha raggiunta, questa maturità anagrafica, e sentirà il film lontano e inadeguato. E in definitiva non riuscito.
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flyanto
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giovedì 10 settembre 2015
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in sintesi tutte le tematiche ed i luoghi cari a b
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Nel corso dell'ancora in corso 72esima Mostra del Cinema a Venezia, compare l'ultimo film di Marco Bellocchio, "Sangue del mio Sangue" , a dispetto dell'abbandono alla regia pronosticato dallo stesso regista tempo fa.
La storia, alquanto scollegata, almeno in apparenza, si divide nettamente in due parti: una ambientata nel 1600 e l'altra ai giorni nostri. Entrambe le vicende sono collocate nel paesino di Bobbio, in Emilia Romagna, e nella prima vi è un convento di suore di clausura che, insieme al Tribunale dell'Inquisizione, condanna una novizia come posseduta dal demonio in quanto congiuntasi carnalmente con un sacerdote, poi suicidatosi, a cui per i suddetti motivi viene negata la sepoltura in terra consacrata.
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Nel corso dell'ancora in corso 72esima Mostra del Cinema a Venezia, compare l'ultimo film di Marco Bellocchio, "Sangue del mio Sangue" , a dispetto dell'abbandono alla regia pronosticato dallo stesso regista tempo fa.
La storia, alquanto scollegata, almeno in apparenza, si divide nettamente in due parti: una ambientata nel 1600 e l'altra ai giorni nostri. Entrambe le vicende sono collocate nel paesino di Bobbio, in Emilia Romagna, e nella prima vi è un convento di suore di clausura che, insieme al Tribunale dell'Inquisizione, condanna una novizia come posseduta dal demonio in quanto congiuntasi carnalmente con un sacerdote, poi suicidatosi, a cui per i suddetti motivi viene negata la sepoltura in terra consacrata. Un suo parente, di nome Federico, si reca nel suddetto convento al fine di ottenerla.... Nella seconda parte, invece, vi è un sedicente facoltoso uomo russo che vuole comprare l'ormai disabitato (si crede tale) ex convento con le sue celle al fine di trasformarlo in un hotel od in qualcos'altro. Tutto il paese vive nell'ombra e secondo i dettami di un signore anziano (Roberot Herlitzka) che viene denominato "il Vampiro" e che si è ritirato dalla società contemporanea, limitandosi ad osservarla solo distaccatamente .....
Con questi due episodi talmente differenti e separati tra loro, Marco Bellocchio pone al centro della propria opera il borgo di Bobbio, da lui innumerevoli volte già ritratto e presentato nelle pellicole precedenti ed a lui tanto caro in quanto luogo della propria infanzia. E proprio Bobbio costituisce l'elemento di congiunzione tra i due episodi narrati e ne diventa in pratica il protagonista principale: attraverso una storia fortemente passionale, la prima, in cui si riscontrano le tematiche già ampiamente affrontate precedentemente dal regista sulla forza devastante dell'amore ("Il Diavolo in Corpo", per esempio) e sull'ottusità e sulla ristrettezza di vedute della Chiesa in generale, ed una, la seconda, in cui prevale sempre la forza del sentimento amoroso ma in una forma più contenuta, sebbene ugualmente trascinante ed affascinante. Bellocchio saluta così la propria carriera artistica, ripercorrendo, appunto le tematiche a lui care ed impersonandosi metaforicamente nella figura dell'anziano vampiro di Roberto Herlitzka che, pari all' ormai anziano cardinale del primo episodio, rimane sopraffatto dalla bellezza e dall'amore devastante per una donna.
Il film risulta molto ben girato, dalle scene traspare il sincero affetto che Bellocchio nutre per Bobbio, ma egli in "Sange del mio Sangue" non aggiunge nulla di nuovo e pertanto, a mio modesto parere, la pellicola appare come, appunto, "un già detto".
Il valore del film, e pertanto una delle motivazioni per andare a vederlo, è invece costituito dalla, come sempre, ottima interpretazione di Roberto Herlitzka, figura sublime di un anziana persona saggia ed ormai alla fine dei suoi giorni disamorata. A lui si aggiungono anche gli altri attori del cast di sempre di Bellocchio: da Alba Rohrwacher, a Lidiya Liberman, ai vari componenti della famiglia del regista stesso, sino a Filippo Timi che qui riveste solo una piccolo ruolo, e precisamente quello del pazzo, ma in una maniera alquanto efficace, sia pure, purtroppo, breve.
Interessante e per tutti coloro che ovviamente apprezzano Marco Bellocchio.
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foffola40
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giovedì 10 settembre 2015
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boh!
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sconclusionato è l'aggettivo che mi viene in mente subito dopo la visione di questo film di Bellocchio. La prima parte, quella seicentesca con il Federico a cavallo, come nelle migliori pubblicità, molto statico nelle sue espressioni, non evoca nulla tranne la sensibilità dell'ottima fotografia del paesino di Bobbio il resto è scontato e noioso. La seconda parte molto misteriosa, con i morti vivi oppure no, pare più un'esercitazione della scuola di attori che mi pare esista realmente sempre a Bobbio. Ma lo spettatore lo vogliamo rispettare ? Evviva i pugni in tasca dove senza una goccia di sangue e senza pistole dopo tanti anni è rimasto vivo il senso della tragedia familiare più violenta e assurda di altre moderne rappresentazioni.
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sconclusionato è l'aggettivo che mi viene in mente subito dopo la visione di questo film di Bellocchio. La prima parte, quella seicentesca con il Federico a cavallo, come nelle migliori pubblicità, molto statico nelle sue espressioni, non evoca nulla tranne la sensibilità dell'ottima fotografia del paesino di Bobbio il resto è scontato e noioso. La seconda parte molto misteriosa, con i morti vivi oppure no, pare più un'esercitazione della scuola di attori che mi pare esista realmente sempre a Bobbio. Ma lo spettatore lo vogliamo rispettare ? Evviva i pugni in tasca dove senza una goccia di sangue e senza pistole dopo tanti anni è rimasto vivo il senso della tragedia familiare più violenta e assurda di altre moderne rappresentazioni. foffola40
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lucy2015
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martedì 22 settembre 2015
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film insulso
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Mi dispiace aver perso tempo al cinema per un film sconclusionato senza capo ne' coda. Passi la prima parte anche se lentissima e banale. Ma quando entriamo nella seconda parte del film con la virata al quasi comico tra musica e attori davvero non si può restare seduti. Tutto porta al nulla. L'unico elemento di pregio è il duca, attore di vero talento, purtroppo sprecato per questo filmetto mediocre e quasi da presa in giro.
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alex2044
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mercoledì 16 settembre 2015
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benedetta non confessa , non vuole confessare !!!
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" Benedetta non confessa , Benedetta non vuole confessare " . In questa frase lapidaria pronunciata dal sadico capo del tribunale religioso che deve giudicare la reproba suor Benedetta , c'è tutto il significato di questo film , in particolare della prima parte . La citazione di questa frase è un violento atto d'accusa verso la religione e per estensione il potere in senso lato . Benedetta pagherà questo suo rifiuto con la pena di essera murata viva ed il fratello , del suo amante suicida, seppur morbosamente tentato non farà nulla per salvarla . La prima parte del film è praticamente tutta lì ed è ambientata in un cupo 1600 dove la speranza e la tolleranza sono considerate merce avariata .
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" Benedetta non confessa , Benedetta non vuole confessare " . In questa frase lapidaria pronunciata dal sadico capo del tribunale religioso che deve giudicare la reproba suor Benedetta , c'è tutto il significato di questo film , in particolare della prima parte . La citazione di questa frase è un violento atto d'accusa verso la religione e per estensione il potere in senso lato . Benedetta pagherà questo suo rifiuto con la pena di essera murata viva ed il fratello , del suo amante suicida, seppur morbosamente tentato non farà nulla per salvarla . La prima parte del film è praticamente tutta lì ed è ambientata in un cupo 1600 dove la speranza e la tolleranza sono considerate merce avariata . Poi il il film vira al grottesco e senza preavviso ci porta ai nostri giorni che appaiono come forse sono , un po' sbracati e un po' corrotti ed anche un po' incoscienti.Nel paese , popolato da personaggi sopra le righe ed anche un po' matti ,ora un conte dall'aria vampiresca , interpretato magistralmente da un gigantesco Roberto Herlitzka , esce di notte dalle carceri dove un tempo era segregata Benedetta , per aggiustare i pasticci provocati da una cricca di politicanti di paese . Il finale è geniale , un vero colpo di teatro . Il film torna al 1600 e il fratello dell'amante diventato cardinale , grazierà ,dopo trent'anni Benedetta che però ,e qui la sorpresa , caduto il muro , apparirà nuda e bellissima . Insomma il film termina con uno sberleffo verso il potere e quindi in gloria . Bellocchio ha fatto un bel film , imperfetto qualche volta ondivago ed anche un po' impreciso e forse proprio per questo a suo modo attraente e godibile dall'inizio alla fine . Gli attori oltre al già citato Herlitzka sono tutti bravi , le scene intriganti ed evocative , le musiche gradevoli , Bobbio è un bel paese che si può visitare. Forse Bellocchio ha fatto di meglio però le sue zampate graffiano ancora .
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mattiabertaina
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mercoledì 30 settembre 2015
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autorefenziale, autocelebrativo, ignorato.
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Bellocchio torna a Venezia, dopo aver sbattuto la porta un paio di edizioni fa, in occasione della non premiazione del suo "Bella addormentata", film sicuramente meritorio per la tematica trattata, ma lontano dall'essere un grande film in grado di aspirare a primeggiare in Concorso. C'era dunque molta attesa per l'autore de "I pugni in tasca" e "Buongiorno, notte" che ne hanno fatto un nome importante e rispettato. Ancora una volta la narrazione è declinata sulle vicende personali dell'uomo che sta dietro la macchina da presa e l'ambientazione prescelta è quella di Bobbio, località piacentina prescelta dal cineasta che da un ventennio organizza un festival e prevede workshop di giovani aspiranti director.
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Bellocchio torna a Venezia, dopo aver sbattuto la porta un paio di edizioni fa, in occasione della non premiazione del suo "Bella addormentata", film sicuramente meritorio per la tematica trattata, ma lontano dall'essere un grande film in grado di aspirare a primeggiare in Concorso. C'era dunque molta attesa per l'autore de "I pugni in tasca" e "Buongiorno, notte" che ne hanno fatto un nome importante e rispettato. Ancora una volta la narrazione è declinata sulle vicende personali dell'uomo che sta dietro la macchina da presa e l'ambientazione prescelta è quella di Bobbio, località piacentina prescelta dal cineasta che da un ventennio organizza un festival e prevede workshop di giovani aspiranti director. Un lavoro che parte nel seicento, con un plot raccolto all'interno di un convento, tra una suora seduttrice ed un uomo d'arme a cavallo che vuole riabilitare la memoria del fratello morto suicida per causa di lei. Riti ordalici, santa inquisizione, punizioni perpetue agiscono la storia per un'ora abbondante poi la svolta, la cesura, la camera che si sposta sullo spioncino della pesante porta d'ingresso ed una grossa sportiva rossa. Un espediente di montaggio che sbalza lo spettatore al giorno d'oggi, tra ruberie, inciuci, logge massoniche, sedicenti ispettori del Ministero e danarosi russi interessati all'acquisto del convento, che resta dunque il collante narrativo che mantiene l'unità spaziale del racconto. Gli attori, da Alba Rohrwacher a Piergiorgio Bellocchio, passando per Roberto Herlitzka compaiono in ruoli diversi in entrambe le storie ed incidono a fasi alterne. Nota decisamente negativa Filippo Timi, nella strabordanza del suo personaggio (il pazzo) troppo brutto per essere vero. Bellocchio propone uno sguardo personale ed enigmatico che vuole scavare e mettere in discussione il mistero del vissuto, ma lo fa con marcata autoreferenzialità. Un bell'esercizio di stile e di padronanza del mezzo ma senza compattezza, senza sentimento, un prodotto ad uso e consumo del pubblico, confezionato sull'autocelebrazione. La sensazione è, ancora una volta, quella del cinema fintamente autoriale, che si ammanta di autorevolezza soltanto perché creato da un grande nome della macchina da presa, ma qual è il vero peso specifico di un'opera come Sangue del mio sangue? L'ultimo lavoro di Bellocchio non resterà negli annali e anche il botteghino pare averlo ignorato del tutto. Giustamente dimenticato anche dalla giuria capitanata da Cuaròn a Venezia 72.
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lunedì 26 dicembre 2016
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ritorno al passato
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L'intreccio, come la trama di un tessuto, si fa complicato. La storia con i suoi rivoli che si estendono a coprire tutto il percorso umano, riemerge per riaffondare ancora e riemergere di nuovo, in un gioco di ieri e di oggi che sembra non finire mai. Il tempo è una variabile che cambia e rimane immutata. Il tempo scandisce il battito dei cuori e rivela le verità. Non si può murare il tempo. La storia narrata dal film attraversa due epoche buie. Quella seicentesca dettata dalla Chiesa e dalle sue paure che si trasformano in violenza e quella di oggi fatta di turpi inganni in cui siamo tutti potenzialmente vittime e carnefici. Politica che è soggetta protagonista nella prima e nella seconda epoca.
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L'intreccio, come la trama di un tessuto, si fa complicato. La storia con i suoi rivoli che si estendono a coprire tutto il percorso umano, riemerge per riaffondare ancora e riemergere di nuovo, in un gioco di ieri e di oggi che sembra non finire mai. Il tempo è una variabile che cambia e rimane immutata. Il tempo scandisce il battito dei cuori e rivela le verità. Non si può murare il tempo. La storia narrata dal film attraversa due epoche buie. Quella seicentesca dettata dalla Chiesa e dalle sue paure che si trasformano in violenza e quella di oggi fatta di turpi inganni in cui siamo tutti potenzialmente vittime e carnefici. Politica che è soggetta protagonista nella prima e nella seconda epoca. Un parallelo? voluto certamente. Chi viene torturato per sospetta stregoneria e chi viene oggi messo alla gogna per sfamare la voglia di protagonismo. L'amore però resta immutato. Non lo puoi murare, non lo puoi torturare, non lo puoi annientare. L'amore è la certezza che quando abbatti il muro ti è di fronte nonostante trent'anni. L'amore è la bellezza estatica, spirituale, quella dell'anima. Quella che non viene mai meno neanche ai sonnambuli anziani che vivono di notte per evitare la luce del giorno. Il vecchio conte che ha un fremito davanti alla bella cameriera non è forse l'ammissione per la quale l'amore non ha carta di identità? Tutto ruota come un meccanismo perfettamente lubrificato, in questo film. Tutto ha una sua logica ed un senso che lo rende affascinante. E' geniale l'utilizzo del brano dei Metallica, opportunamente riarrangiato, infine, come trait d'union tra passato e presente, tra sogno e verità, tra illusione e magia.
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catcarlo
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giovedì 17 settembre 2015
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sangue del mio sangue
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Per una volta, forse, è il caso di dar retta a Bellocchio che nelle interviste ha parlato di un piccolo film fatto per divertimento: ci si può così lasciare andare a questa storia doppia che viaggia sul filo del fantastico e che – come ogni racconto del soprannaturale che si rispetti – racconta anche l’animo umano e la società in cui viviamo. Quello del ‘genere’ è un punto di vista che riesce a superare con una certa agilità i dubbi instillati dai tanti pareri negativi facendo sì che il film, malgrado le a volte evidenti imperfezioni, possa conquistare lo spettatore fino ad agitarlo nel profondo. La prima parte si svolge nel Seicento, quando il cavaliere Federico giunge al convento dove è detenuta con l’accusa di stregoneria Benedetta (la bella attrice ucraina Lidiya Liberman), la donna per la quale Fabrizio, il di lui fratello sacerdote, si è tolto la vita: mentre il processo inquisitorio procede violento e implacabile (si veda l’apostrofe del frate prima della prova dell’acqua), Federico passa dalla vendetta al desiderio, ma, dopo molte sofferenze il destino della ragazza, resta terribile.
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Per una volta, forse, è il caso di dar retta a Bellocchio che nelle interviste ha parlato di un piccolo film fatto per divertimento: ci si può così lasciare andare a questa storia doppia che viaggia sul filo del fantastico e che – come ogni racconto del soprannaturale che si rispetti – racconta anche l’animo umano e la società in cui viviamo. Quello del ‘genere’ è un punto di vista che riesce a superare con una certa agilità i dubbi instillati dai tanti pareri negativi facendo sì che il film, malgrado le a volte evidenti imperfezioni, possa conquistare lo spettatore fino ad agitarlo nel profondo. La prima parte si svolge nel Seicento, quando il cavaliere Federico giunge al convento dove è detenuta con l’accusa di stregoneria Benedetta (la bella attrice ucraina Lidiya Liberman), la donna per la quale Fabrizio, il di lui fratello sacerdote, si è tolto la vita: mentre il processo inquisitorio procede violento e implacabile (si veda l’apostrofe del frate prima della prova dell’acqua), Federico passa dalla vendetta al desiderio, ma, dopo molte sofferenze il destino della ragazza, resta terribile. Ai giorni nostri, un altro (o lo stesso?) Federico giunge alla porta del medesimo convento, all’apparenza in stato di abbandono, per proporre una strampalata operazione commerciale che puzza di bruciato lontano un miglio: la struttura è però il rifugio del Conte, anziano uomo che vive solo di notte ed è a capo di un’oscuro gruppo di notabili che sembra dominare la vita del paese. Dopo aver smascherato gli altarini di Federico, il Conte si invaghisce di una giovane donna e seguendola vaga per strade che forse iniziano a sfuggire al suo controllo: un nuovo salto nel Diciassettesimo secolo ne unisce, in un modo definitivo ma che è bene non raccontare, il destino a quello di Benedetta (non si erano già incrociati tre secoli fa?). Nel narrare questa storia di streghe e fantasmi, il regista lascia aperte molte questioni, in modo che lo spettatore possa sbrigliare la fantasia – ad esempio, molti attori sono presenti in entrambi i segmenti, per non parlare del gatto - ma allo stesso tempo la usa per sottolineare gli argomenti che gli stanno a cuore, in primo luogo l’oppressione stolida sul singolo individuo del potere costituito, sia che si tratti della Chiesa controriformista (convento e carcere hanno le stesse mura) sia che provenga da una cerchia di figure a mezza via tra il mafioso e il massone (ma di certo molto democristiane). Individuo che, peraltro, fa alla svelta ad adattarsi, per convenienza o amore dello status quo, così da arrivare alla scelta del Federico seicentesco e alla corte di falsi invalidi odierni. Nella seconda parte, viene introdotto anche il tema del gretto materialismo, quasi che il paese viva sotto una qualche forma di incanto che lo fa sopravvivere senza vivere davvero: per amplificare l’effetto, Bellocchio ha ambientato il film nella sua Bobbio già entrata nella storia del cinema con l’indimenticabile ‘I pugni in tasca’. Del piccolo centro della val Trebbia, la fotografia di Daniele Ciprì offre scorci di sicuro fascino, specie quando si muove tra greto del torrente e Ponte Gobbo, ma le inquadrature di preferenza crepuscolari o notturne contribuiscono ad accrescere l’inquietudine assieme alle belle musiche di Carlo Crivelli e a una versione al contempo eterea e minacciosa di ‘Nothing else matters’ dei Metallica. Il ritorno a casa offre però l’occasione per iniziare a parlare dei difetti che minano la godibilità specie della seconda parte: oltre ai luoghi, il regista è tornato ai volti, circondandosi di attori con cui ha lavorato in precedenza, ma anche di molti familiari, le cui interpretazioni non sono all’altezza del resto del cast. Se Herlitzka infonde le sue ben note qualità alla figura chiaroscurale del Conte, il figlio di Bellocchio Pier Giorgio non riesce a dare spessore a (ai) Federico e molte altre figure minori restano al disotto della sufficienza mentre Alba Rohrwacher risulta sprecata in un personaggio superfluo. A parte rafforzare il tema del doppio che pervade tutta la prima parte, le gemelle Perletti finiscono per incrinare la compattezza del loro segmento, anche se quello più ondivago resta il secondo, incerto com’è sul tono da tenere. C’è addirittura un tocco alla Totò nella processione davanti a Federico preso per un ispettore di chissà che – sopra le righe Filippo Timi nei panni del pazzo e Patrzia Bettini come (in)consolabile moglie del Conte – mentre il colloquio tra Herlitzka sulla sedia del dentista e Toni Bertorelli nei panni del dottor Cavanna dovrebbe essere uno nei momenti più significativi ma gira a vuoto. In ogni caso, malgrado gli aspetti negativi ‘Sangue del mio sangue’ rimane un film di grande interesse che declina secondo un punto di vista diverso il modo di fare cinema comunque riconoscibilissimo del suo autore (per il quale, forse, ‘niente altro conta’): il regista bobbiese ha diretto film migliori, ma questo non può lasciare indifferenti.
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siebenzwerg
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giovedì 24 settembre 2015
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disarmonico
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Herlitzka è un gigante della scena e si sa. Qui la sua recitazione si staglia su quelle degli altri, tutto sommato opache quando non dilettantesche. La sua presenza vale la visione del film. Ma il resto? Certo il film si può vedere, ma poi? Il senso di questo film mi manca oppure rifiuto di vederne la banalità. Contenuti ormai scontati sull'inquisizione, sulla complicità dei poteri e dei potenti, non possono a mio parere giustificare uno sforzo così complicato di ricostruzioni e rimandi storici. Sembra che Bellocchio qui faccia la parodia di se stesso. Ma a pensarci, il regista in molti dei suoi film manca del senso della misura, di quel senso auto-critico, che permette di limare un'opera prima di presentarla in pubblico.
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Herlitzka è un gigante della scena e si sa. Qui la sua recitazione si staglia su quelle degli altri, tutto sommato opache quando non dilettantesche. La sua presenza vale la visione del film. Ma il resto? Certo il film si può vedere, ma poi? Il senso di questo film mi manca oppure rifiuto di vederne la banalità. Contenuti ormai scontati sull'inquisizione, sulla complicità dei poteri e dei potenti, non possono a mio parere giustificare uno sforzo così complicato di ricostruzioni e rimandi storici. Sembra che Bellocchio qui faccia la parodia di se stesso. Ma a pensarci, il regista in molti dei suoi film manca del senso della misura, di quel senso auto-critico, che permette di limare un'opera prima di presentarla in pubblico. In questo caso diciamo che supera se stesso. L'effetto grottesco, volontario o meno, nel caso del Conte Herlitzka e di Alba Rohrwacher, grazie all'arte del loro equilibrismo espressivo, almeno fa sorridere. In altre parti è sconcerto.
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