DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES (BELG, FR, LUX, 2015) diretto da JACO VAN DORMAEL. Interpretato da BENOîT POELVOORDE, PILI GROYNE, YOLANDE MOREAU, CATHERINE DENEUVE, FRANçOIS DAMIENS, LAURA VERLINDEN, SERGE LARIVIèRE, DAVID MURGIA, JOHAN LEYSEN, PASCAL DUSQUENNE, DIDIER DE NECK, MARCO LORENZINI, ROMAIN GELIN
Dio è un ometto antipatico e odioso che vive a Bruxelles, e dal suo PC ha inventato il mondo, ma soprattutto s’è ingegnato per inventare le disgrazie che affliggono l’umanità, catalogandole in un immenso archivio custodito gelosamente in una stanza alla quale solo egli stesso ha accesso. È sposato con una dea che nessuno suppone tale, ha una figlia decenne, Ea, e ovviamente il figlio J.C., confinato nella camera della sorella sottoforma di statuetta. La madre dei due, oppressa dal marito, non fa che ricamare e collezionare le figurine del baseball, con l’ossessione per il numero diciotto. Sarà proprio questo numero a suggerire ad Ea, per tramite di J.C., l’idea di scrivere un nuovo Nuovo Testamento scendendo sulla Terra (perché nella casa di Dio ci sono esclusivamente una cucina ammobiliata, camere da letto, una lavanderia e nessuna porta d’entrata od uscita) non senza aver prima spedito a tutte le persone esistenti la rispettiva data di morte, permettendo così a ciascuno di decidere cosa fare dei propri giorni rimanenti. A Ea occorrono altri sei apostoli, e li trova in: 1.) Aurélie, ragazza triste e sola con un braccio di silicone residuo di un incidente ferroviario; 2.) Jean-Claude, assistente capo insoddisfatto di un negozio di assicurazioni sulla vita; 3.) Marc, l’erotomane, innamorato di una tedesca conosciuta sulla spiaggia da bambino e che reincontra quando divengono entrambi doppiatori; 4.) François, l’assassino, sposato e con un figlio, che intende uccidere con un fucile a precisione le persone asserendo che, se il tentativo riesce, significa che era il loro momento, altrimenti la loro ora giungerà in altra occasione; 5.) Martine, signora matura infelicemente sposata che scopre di dover vivere moltissimi anni in meno del marito e che, grazie alla musica da circo insita nel suo cuore (perché Ea possiede il dono di sentire la musica nell’animo di ogni essere umano), riscopre l’amore in un gorilla; 6.) Willy, il più giovane dei sei apostoli e quello con meno giorni da vivere a causa di un tumore all’epidermide, che impiega gli ultimi momenti della sua vita per cambiare sesso. Il nuovo Nuovo Testamento è redatto da un barbone capace a malapena di leggere e scrivere, Victor, ovvero la prima persona che Ea incontra appena fuoriuscita dalla lavatrice che, dalla casa di Dio, conduce a Bruxelles. Quest’ultimo, nel frattempo, è infuriato per la scappatella tutt’altro che innocente della figlia, che fra l’altro teme di aver combinato un guaio irreparabile, e ripercorre lo stesso sentiero, ma va solo incontro a brutte avventure, finché ci pensa la madre di Ea a rimettere le cose a posto: accede con la password all’archivio del consorte, cancella dalla mente degli umani il pensiero della fissazione alla morte e dipinge il cielo di fiori. Tutti sono più contenti: Aurélie e François si dichiarano amore, Marc e la tedesca fanno l’amore per la prima volta, Martine vive il suo amore impossibile ma sereno col gorilla, Jean-Claude raggiunge, com’era suo sogno, il Circolo Polare Artico, Willy è contento dell’amicizia con la coetanea Ea e Victor fa soldi a palate con la vendita del libro da lui stesso scritto. L’unico ad essere infelice è Dio, umiliato da tutti coloro che per tutta la vita lui stesso ha perseguitato, e confinato ai lavori forzati in Uzbekistan. Candidatura all’Oscar come miglior film straniero nel 2016, il che ha permesso al Belgio, paese non solitamente rappresentato nella sequela degli Academy Awards per le premiazioni estere, di entrare nella short-list di dicembre. Van Dormael realizza una commedia accattivante che fa molto meglio de L’ottavo giorno (1996), riproponendo sempre il tema religioso ma con quella punta di sagacia e di divertimento rivolto agli spettatori che nell’altro film mancava. Il merito si divide in tre principali cantieri: 1.) un cast di attori tutti straordinari che imbastiscono una recitazione corale molto efficace che scava a fondo nei dubbi, nei timori e nelle ansietà dell’animo umano conferendo veridicità alla messinscena; 2.) una sceneggiatura aperta alle intensità della parola quanto alla non volgarità dell’uso ricorrente del turpiloquio, entrambi funzionali a costruire dialoghi che emozionano, divertono, commuovono e fanno riflettere al tempo stesso, senza bisogno di ricorrere a forzature o moralismi; 3.) un’accoglienza di critica che ha saputo andare al di là delle apparenze di blasfemia per riconoscere all’opera il titolo di panegirico non indiscriminato che attinge linfa vitale dal superamento dei pregiudizi, dall’abbattimento delle barriere morali, dalla vittoria sulla cecità del sadismo, sulla necessità di riscrivere le storie umane (per quanto piccole possano sembrare, non difettano mai d’importanza) per far sì che meritino di essere vissute appieno e sulla speranza incrollabile che il mondo ha bisogno di uomini e donne come vale anche l’inverso. È anche una parabola intelligente sulla stupidità della violenza psicologica e della guerra dell’uomo contro l’uomo, palliativo che muove in direzione opposta alla cattiveria fine a sé stessa e sposa in tutto e per tutto la causa della carità e della benignità verso chi riversa in una condizione di bisogno di sostegno. E il film insegna che nessuno è esente dal merito di venire aiutato.
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