La corrispondenza

Il più grande rischio di essere un Regista - Giuseppe Tornatore, e non uno qualsiasi - è che l'uscita di un film si trasformi in un evento mediatico, per tutto il tempo del quale giornalisti, critici e "intenditori" vari non faranno che citare i precedenti capolavori e mettere a confronto le pellicole, cercando di trarre da questa ardua impresa un filo rosso che colleghi una storia all'altra. Se è vero, che il discorso narrativo ed estetico intrapreso con "La migliore offerta" possa comprendere per certi aspetti anche "La corrispondenza", bisogna seppure a malincuore ammettere che quest'ultimo film sia una fatica tout court. Amy (Olga Kyrlulenko) e Ed (Jeremy Irons), alunna fuoricorso e professore di astrofisica, si amano da sei anni, ma clandestinamente. Per vivere una storia che permette poche parentesi felici e "materialmente" consumate, i due usano mail, lettere, video, messaggi per comunicare. Dopo i primi minuti del film - gli unici in cui i due compaiono insieme - Amy scoprirà una verità terribile, che paradossalmente non sarà, quasi fino alla fine, di rilievo nell'economia della sua relazione: Ed è scomparso, ma non smetterà di restare in contatto con la sua amata, fino a quando, prevedendo e calcolando le sue mosse, riuscirà a seguirla negli eventi più importanti del suo futuro e quelli più dolorosi di un passato messo sempre a tacere. Fino a qui, insomma, Tornatore proietta sullo schermo una storia d'amore irregolare e piena di segreti, ma facilmente prevedibile, negli sviluppi e nel finale. "La corrispondenza" è un film che tira in ballo le tematiche essenziali dell'Amore, dal suo desiderio di eternità e di sopraffrazione della morte, alla volontà di sopravvivere a qualsiasi distanza, temporale o spaziale che sia, fino al problema moderno della tecnologia, che qui pare giocare con il tema della "doppia identità" (Ed è l'uomo "fisico" e al tempo stesso "metafisico" che compare attraverso una videocamera). Ma è anche un film che nell'affrontare il tema oggi più banalizzato, non riesce a sua volta a non cadere nei clichés e nel "già visto" (un film su tutti: PS, I love you, naturalmente con le opportune differenze). Nonostante la trama che a volte fa fatica a trascinare l'attenzione fino alla fine, nonostante la ridondanza di scene e luoghi e dialoghi, spicca (ma non assolve) la maestria registica di Tornatore, e la sua "poesia cinematografica": la scena dell'opera d'arte che imprime il dolore di Amy, ad esempio. O l'analogia costante tra il senso di colpa per un fatale evento del suo passato e la sua professione di stunt woman, che le regala il brivido di aprire gli occhi "dopo la morte"; e infine la segreta corrispondenza, nel senso pieno baudelairiano, tra le Stelle, la loro luce e la loro morte (che non mette fine alla loro visibilità) e i rapporti umani, oscuri, irripetibili, capaci forse di aprire un varco nel tempo.