Francofonia - Il Louvre sotto occupazione |
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Un film di Aleksandr Sokurov.
Con Louis-Do de Lencquesaing, Benjamin Utzerath, Vincent Nemeth, Johanna Korthals Altes.
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Titolo originale Le Louvre sous l'Occupation.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 87 min.
- Francia, Germania, Paesi Bassi 2015.
- Academy Two
uscita giovedì 17 dicembre 2015.
MYMONETRO
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L'arte è un presente continuo
di ZararFeedback: 13464 | altri commenti e recensioni di Zarar |
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martedì 5 gennaio 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Non è un film politicamente corretto. Pensa che si possa raccontare di Parigi occupata dalle sale del Louvre quasi vuote, ma silenziose e incontaminate, nella prospettiva di due ‘anime belle’ separate da tutto meno che da una comune passione per la grandezza dell’arte. Sale di un museo in cui un Napoleone malridotto e una Marianne scarmigliata si aggirano come fantasmi smarriti, sovrastati da qualcosa che li supera nettamente. Mostra di credere che ci sia un’arte che definisce una ‘civilisation’ e – sotto sotto, che questa civilisation (europea?) sia insuperabile. Si interroga in modo naif e un po’ brutale sui rapporti tra rapina, violenza storica e culto della bellezza, ma lascia l’interrogativo aperto, ancor peggio che Harry Lime nel “Terzo uomo”. Nel più profondo è convinto che la bellezza salverà il mondo, che il suo fragile carico messo mille volte a rischio ce la farà a restare a galla nelle tempeste della storia anche là dove la tecnologia più avanzata mostra i suoi bachi e ci restituisce solo una dimensione deformata del reale. Come Wislava Szymborska, suggerisce che finchè quella donna del Rijksmuseum / nel silenzio dipinto e in raccoglimento / giorno dopo giorno versa /il latte dalla brocca nella scodella / il Mondo non merita /la fine del mondo. No, decisamente non è un film politicamente corretto né storicamente rigoroso, nonostante il taglio documentario. E – se vogliamo - non è neanche un film, in senso stretto. E’ un lungo soliloquio per immagini, stratificazione composita e liberamente alternata di documentario, documentario ricostruito ad arte, squarci fotografici d’epoca, biografia/cronologia in stile quasi burocratico, i personaggi di Clouet e quelli di Leonardo che ci fissano dal fondo dei quadri come Tolstoj dalla profondità di una foto d’epoca, marce militari e musica classica, momenti più propriamente filmici e affondi nel dettaglio della zattera di Géricault. Come se offrisse materiali per una riflessione (il più delle volte dichiaratamente mostrati nella loro natura di materiali di lavoro, ciascuno con le sue specificità, i suoi supporti e tecniche e colori diversi per tipo e qualità…), il regista incanala i frammenti della sua memoria storica e culturale di visitatore del passato in cerca della sua e della nostra identità. E può essere conversazionale, divagante, ironico, autoironico e persino didattico e pedante in modo provocatorio. La ricomposizione la faccia lo spettatore. Per questa inedita libertà di approccio e questa spudorata fiducia nella cultura come zattera di salvataggio in un’epoca di mercificazione e sciatteria il film conquista (almeno me). Tre stelle e mezzo.
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