EXODUS – Dèi e RE
Sgombriamo subito il campo da istintivi parallelismi che potrebbero fuorviare. R. Scott non ha voluto realizzare un remake del celebre I dieci comandamenti di De Mille, che resta, al di là del contesto e del messaggio religiosi, un esempio straordinario di inventiva tecnica quando non esisitevano gli effetti speciali in digitale. Del resto la diversità dei due titoli è significativa, a parte l'insulsaggine del sottotitolo. Copiare aggiornando tecnologicamente il prototipo sarebbe stato un errore che non è da Scott, laddove altri hanno fallito come De Laurentiis con il suo King Kong, clone sbiadito dello splendido capolavoro del 1932.
La figura di Mosè, che nelle mani di De Mille era una sorta di burattino guidato da un Dio immanente e presente con la sua possente voce imperiosa e terrorizzante, intrisa di fervore mistico che ne faceva una sorta di superuomo ieratico ed intransigente, qui è soprattutto un capo militare, cioè un valente condottiero formatosi alla corte egizia che non lascia mai la sua spada, neanche da beduino errante o da guida ecista. I suoi connotati di uomo qualunque, una volta spogliato delle vesti egizie, lo rivelano per quello che è, un ebreo che, dopo aver conosciuto le sue vere origini e forte delle virtù militari acquisite, è indotto a mettersi a capo del suo popolo schiavizzato da 400 anni dalla potenza egizia e a guidarlo nell'esodo, prima autorizzato poi ostacolato dal faraone, verso la terra degli antenati. Dio c'è ma non appare attraverso sue dirette manifestazioni, ma si materializza in un bambino che comunica saltuariamente con Mosè attraverso visioni (oniriche? reali? telepatiche?). Sicchè l'umanizzazione marcata dei personaggi e l'assenza di una divinizzazione preponderante della vicenda si prestano ad una simbologia che varca i limiti biblici per diventare una storia esemplare di riscatto di un intero popolo sfruttato dal tiranno di turno e del suo eroe-guida, applicabile anche alla realtà moderna o contemporanea (qualcuno potrebbe leggere la vicenda con riferimento al conflitto israelo-palestinese, invertendone i termini etnici e i rapporti di forza, ma sembra improbabile che questa interpretazione risponda ai veri intenti dell'autore). I comandanti, le guide, gli eroi di eventi epocali passano, le leggi restano: la legge di (un) dio o di uno Stato o della scienza o della morale o di un'ideologia, tutto ciò che ispira una svolta storica rivoluzionaria e prende corpo trascende il momento delle origini per consentire lo sviluppo ed il consolidamento nel corso dei tempi delle idee primigenie.
Dal punto di vistra strettamente filmico, Scott ha compiuto un'operazione simile al suo Gladiatore o al Troy di Petersen: prendere uno spunto da fatti o personaggi attestati dalle fonti e/o realmente esistiti (non c'è dubbio che i faraoni si spinsero oltre il delta del Nilo per assoggettare popoli della Palestina e zone contigue), adattandoli ad uno schema narrativo che abbia una valenza riconoscibile alla luce della realtà odierna e forte del fascino di un racconto che, anche in ottica laica, conserva una sua insita immortalità. Come avvenuto per il Gadiatore dei tempi della Roma di Commodo o della guerra di Troia secondo la traccia del ciclo epico troiano. Nulla della vacua pomposità e retorica del vecchio peplum, ma una moderna "manipolazione" di antiche storie (o miti) che si presti ad una lettura universale.
Naturalmente Ridley Sott non si sottrae ad una logica commerciale, sicchè riesce a creare un intelligente equilibrio tra le esigenze di mercato di uno sforzo produttivo consistente e un estro personale che non è schiavo nè dei parametri del cinema classico nè dei vincoli storici. I dettagli sono liberamente forgiati, e quindi non deve fare scandalo se il faraone arringa da vicino la folla o vi passa nel mezzo (quando sappiamo che il re, in quanto intermediario tra terra e divinità, aveva un atteggiamento ieratico e non poteva essere avvicinato dai mortali e nei casi ammessi solo con un rigido rituale devozionale), se l'iconografia dei personaggi (e quindi degli attori) non risponde forse ai connotati etnici originari, se i dialoghi sono marcatamente occidentalizzanti ecc. Non sono lontane le stucchevoli polemiche sui presunti "errori" di ricostruzione della Roma del Gladiatore; chi si avvicina a questa filmografia con quel polemico rigore scientifico è meglio che ne stia alla larga. Salvi i casi in cui dalla libera interpretazione si passi alla cialtroneria.
Ultima notazione: la sagacia di Scott nello scegliere le soluzioni tecniche. Ovvia la presenza di effetti speciali, che però non sono mai ridondanti, come nelle scene di massa o nelle piaghe naturali d'Egitto. Tutta la fase finale della traversata del Mar Rosso è girata (con le dovute manipolazioni del caso) ricorrendo a due fenomeni naturali: la bassa marea e uno tsunami finale. Geniale.
Insomma un racconto avvincente di una epica lotta per la liberazione ed un viaggio per fuggire dalle angherie di un oppressore, in una cornice se non proprio laica, abbondantemente laicizzata (almeno rispetto ai toni biblici), girata con piglio magistrale da un regista-autore che sa coniugare in sintesi artisticamente valida temi importanti e le svariate esigenze di una platea globalizzata dai mille gusti.
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