Creed - Nato per combattere

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Un film di Ryan Coogler. Con Michael B. Jordan, Sylvester Stallone, Tessa Thompson, Phylicia Rashad.
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Titolo originale Creed. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 132 min. - USA 2015. - Warner Bros Italia uscita giovedì 14 gennaio 2016. MYMONETRO Creed - Nato per combattere * * * - - valutazione media: 3,19 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un film che vince ai punti, ma grazie a Stallone Valutazione 3 stelle su cinque

di Giorpost


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venerdì 29 aprile 2016

Al culmine della sua luminosa carriera il campione dei pesi massimi Apollo Creed ebbe una relazione extraconiugale che portò alla nascita di un figlio non riconosciuto. Rimasto orfano anche della madre naturale, Adonis fu adottato da Mary Anne, vedova di Creed, che lo crebbe con amore e senza problemi finanziari, vista l'eredità goduta da quest'ultima; 30 anni più tardi, pur con un bagaglio culturale discreto ed ottime prospettive lavorative, “Donnie” non è soddisfatto della sua vita, non solo per non aver potuto godere di una figura paterna ma anche e soprattutto per quell'indole da lottatore che lo accomuna al padre, aspetto comprovato dalle tante visite, in età adolescenziale, presso vari riformatori a seguito di scazzottate; decide, così, di lasciarsi tutto alle spalle e partire da Hollywood alla volta di Philadelphia per incontrare Rocky Balboa, leggenda vivente della boxe nonché rivale storico ed intimo amico di Apollo, rimasto ormai completamente solo. Scopo della missione: convincerlo a diventare suo mentore. Donnie persuade l'ex campione in ogni modo, raccontandogli persino aneddoti di quell'amicizia che (apparentemente) erano pura esclusiva dei due grandi pugili, compreso l'esito del mitico "terzo incontro".
Forte di un'esperienza agonistica in Messico, dove detiene un record di 16 vittorie, in breve tempo Adonis Johnson (che inizialmente non utilizza quel pesante cognome che potrebbe creargli più problemi che vantaggi) arriverà nientemeno che a sfidare il campione in carica dei mediomassimi, il rissoso britannico Conlan, nella suggestiva cornice dello stadio dell'Everton di Liverpool. L'incontro, tiratissimo ed inaspettatamente equilibrato, avrà, manco a dirlo, esiti non dissimili dal primo grande match che proprio Rocky disputò quattro decenni prima...

Per discutere di Creed (USA, 2015) basterebbe puntare sul legame affettivo che la maggior parte di noi nutre verso quella che è, molto probabilmente, la saga più amata di sempre; difficile scovare qualcuno che non abbia visto almeno una volta, se non tutti e sei, almeno il primo capitolo della serie originale e rivedere Stallone in quei panni fa sempre un certo effetto. A quarant'anni dall'esordio, storia e personaggio necessitavano, però, di discontinuità e così assistiamo ad una fusione tra l'idea di base di Stallone ed i nuovi innesti di autori e regista subentrati. Basterebbe, dicevamo, ma il punto debole dell'operazione c'è e si vede: è ormai chiaro che ad Hollywood scarseggiano buone idee e bravi sceneggiatori, ragion per cui sempre più sovente vengono sfornati remake, sequels o, come in questo caso, spin-off (perdonate il massiccio inglesismo ma per sintesi occorre stare al passo coi tempi) voluti soprattutto dai produttori, che nel caso della boxing saga rispondo ai nomi di Winkler e Chartoff.
Creed non fa eccezione, anche se occorre precisare che non risulta mai troppo ruffiano, si adegua alla modernità, attinge dal passato e rimescola, usa classici stereotipi autocitando a valanga quella serie che fu e che con può più ripartire per ragioni anagrafiche ma riuscendo nel difficile compito di rimodellare la storia, sfruttando quello spazio di manovra semplicemente immenso.
Di questa pellicola ci sono diverse cose che ho apprezzato ed una di queste è certamente la prova di Sylvester Stallone, che in questo refresh nel ruolo a lui più caro (e remunerativo) non sfigura affatto, riuscendo anche ad ottenere una meritata candidatura come non protagonista (anche se, in verità, è lui l'attrattiva dell'opera). Il tratteggio dimesso e il fatalismo con cui affronta le sue giornate ci consegnano un Balboa diversamente forte, ora non più di fisico ma di testa, abbandonando definitivamente la figura del macho. Evidenzierei anche la discreta regia di Coogler, con un buon utilizzo di slow nelle sequenze dell'incontro, una convincente performance di Jordan -che tra l'altro, nei limiti del possibile, ricorda vagamente Carl Weathers- ed un mix mai troppo ostentato di riprese tra le strade di Philadelphia durante gli allenamenti (come ai vecchi tempi faceva lo Stallone Italiano) e le vite private dei due coprotagonisti, l'uno intento ad allacciare una relazione con una vicina di casa jazzista, l'altro ad affrontare l'ennesima, durissima, sfida della sua esistenza, stavolta contro il cancro. 

Per un attimo ammetto di aver pensato che Adonis figlio di Apollo sembrasse una filastrocca montata ad arte (per questo e per futuri nuovi capitoli) e che il giovane figlio d'arte passasse per il raccomandato di turno con carriera da boxeur facilitata, relativo successo e conseguente (inevitabile) declino e allora come valutare l'opera? Troppo bravo Stallone a generare un pozzo senza fondo da cui attingere nuove realtà oppure discreti questi autori che risultano si opportunisti, ma anche sagaci nel rilanciare il brand? La verità sta nel mezzo ed allora ho optato per tenermi stretto il ritorno sulle scene di due cognomi che ci hanno fatto emozionare almeno per due decadi (Balboa e Creed) i quali, pur senza i personaggi storici di contorno e le dinamiche di un tempo, continuano a romanzare una storia dal sapore di rivincita, la parabola dell' italo-americano povero che raggiunge la cima dell'Everest, precipita giù per poi risalire ed ogni volta quella scalata al Museum of Art ci fa emozionare, anche se il fiato non è più quello di una volta...
Thanks, Sly, questo è per te.

Voto: 7

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