colpi di scena
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giovedì 10 settembre 2015
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viaggio nel cuore di tenebra del nostro paese
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Uno degli esordi più importanti dell'ultimo decennio. Un vero pugno allo stomaco del pubblico.
BOLGIA TOTALE è un noir cupo e allucinato, un ritratto metropolitano che non fa sconti a nessuno. Eppure nel suo incedere tragico e nello scandagliare le mediocri esistenze di uno sbirro al tramonto e di un piccolo criminale il film ci dice che in fondo al tunnel più oscuro, anche dietro i peggiori fallimenti dei protagonisti, ci può essere ancora spazio per l'amore.
Un poliziotto alcolizzato e tossicodipendente ha solo tre giorni per arrestare uno spacciatore di piccolo cabotaggio che si è fatto scappare come un pivello. I due losers si perdono, si ritrovano, si incrociano, si sfiorano, in una Roma violenta, corrotta, indifferente, marcia fino al midollo.
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Uno degli esordi più importanti dell'ultimo decennio. Un vero pugno allo stomaco del pubblico.
BOLGIA TOTALE è un noir cupo e allucinato, un ritratto metropolitano che non fa sconti a nessuno. Eppure nel suo incedere tragico e nello scandagliare le mediocri esistenze di uno sbirro al tramonto e di un piccolo criminale il film ci dice che in fondo al tunnel più oscuro, anche dietro i peggiori fallimenti dei protagonisti, ci può essere ancora spazio per l'amore.
Un poliziotto alcolizzato e tossicodipendente ha solo tre giorni per arrestare uno spacciatore di piccolo cabotaggio che si è fatto scappare come un pivello. I due losers si perdono, si ritrovano, si incrociano, si sfiorano, in una Roma violenta, corrotta, indifferente, marcia fino al midollo. Due perdenti che stanno dalla parte opposta, così diversi, eppure così simili. "Tu sei un brav'uomo", confessa il criminale al poliziotto. Ma il destino li ha messi contro, con un fatale lancio di dadi. Non è più tempo di bilanci, ma di decisioni da prendere per raddrizzare una vita sbagliata e priva di speranze.
Con questo film si ride, si piange, ci si commuove: tutti gli ingredienti che dovrebbe offrire il grande schermo.
BOLGIA TOTALE mescola la lezione del miglior cinema americano di genere con echi di Tarantino, tocchi surreali, rimandi al "poliziottesco" ed una vena epica che i film nostrani hanno purtroppo smarrito. Un'opera intensa, coraggiosa, assolutamente da non perdere.
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luigi spagnolo
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lunedì 30 novembre 2015
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tra caravaggio e tarantino
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Il primo lungometraggio di Matteo Scifoni (sceneggiatore e regista), pur nell'esiguità del budget e dei tempi di lavorazione, mostra un risultato sorprendente per la dimestichezza con la macchina da presa (piena consapevolezza delle inquadrature e del loro significato), strategia filmica (interazione fra i personaggi e sviluppo della trama) e perfetta corrispondenza tra scelte formali e contenuto emotivo.
I due protagonisti, il vecchio ispettore e il giovane spacciatore, sono entrambi pesci fuor d'acqua: l'uno guarda con cinico distacco una polizia vuoi corrotta vuoi impotente, sperando nel paradiso imminente della pensione; l'altro, violento e sensibile (un vero cinefilo, fan di Sergio Leone), non si trova a suo agio nel mondo del crimine e sogna di fuggire in un paradiso tropicale.
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Il primo lungometraggio di Matteo Scifoni (sceneggiatore e regista), pur nell'esiguità del budget e dei tempi di lavorazione, mostra un risultato sorprendente per la dimestichezza con la macchina da presa (piena consapevolezza delle inquadrature e del loro significato), strategia filmica (interazione fra i personaggi e sviluppo della trama) e perfetta corrispondenza tra scelte formali e contenuto emotivo.
I due protagonisti, il vecchio ispettore e il giovane spacciatore, sono entrambi pesci fuor d'acqua: l'uno guarda con cinico distacco una polizia vuoi corrotta vuoi impotente, sperando nel paradiso imminente della pensione; l'altro, violento e sensibile (un vero cinefilo, fan di Sergio Leone), non si trova a suo agio nel mondo del crimine e sogna di fuggire in un paradiso tropicale. Entrambi però sono sorretti dall'amore, che nel giovane è declinato alla Chaplin: la ballerina spogliarellista, la "muta del cazzo" (formula politicamente scorretta ma di un romanticismo tutto contemporaneo), al posto della fioraia cieca di "Luci della città".
La pellicola ha una durata perfetta, anche nelle pause liriche, laddove si può meglio apprezzare la fotografia, che ricorda certi quadri di Caravaggio (si veda, in particolare, l'immagine del poliziotto sprofondato nel divano, con la luce che irrompe dalla finestra alle sue spalle). I dialoghi sono molto curati, e per questo richiedono una recitazione che compensi il rigore delle parole 'sporcandole' di passione e concretezza: ci riesce ottimamente Giorgio Colangeli (Quinto Cruciani), meno Domenico Diele (Michele Loi), il quale, pur avendo il fisico del ruolo e mostrando le espressioni adatte, esibisce una voce troppo radiofonica, di una purezza disarmante; il personaggio richiederebbe un timbro più caldo e avvolgente (mi viene in mente il doppiaggio di Edward Norton, in "American History X", da parte di Massimo De Ambrosis).
Per il resto non si può che applaudire l'armonia dell'insieme, con recitazioni toccanti da parte di Ivan Franek (il criminale Felix, quasi uscito da un film di Tarantino) e Xhilda Lapardhaja (la bella Zoe, che incanta lo spettatore con volto, corpo e mani).
Unico difetto: vorremmo vedere questo film in tutte le sale italiane, almeno per un mese intero; inoltre lo vorremmo vedere all'estero, perché ha un respiro internazionale.
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