Perché abbiamo bisogno di Pietro Marcello e di film come Bella e perduta. Di Roy Menarini.
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di Roy Menarini
Facile precipitare nel consueto dialogo tra sordi di fronte al piccolissimo film di Pietro Marcello. Chi lo apprezza e lo sostiene rischia di essere considerato elitario difensore del cinema per pochi, chi lo liquida con un'alzata di spalle riterrà di avere le sue buone ragioni di fronte all'ermetismo - sia pure molto materiale e concreto - dell'opera. La verità è che in un orizzonte di espressioni differenti e polifoniche di una cultura nazionale, il cinema di Pietro Marcello, prezioso e non imitabile, deve non solo esistere ma essere preso molto sul serio, al di là della manciata di sale che programma la pellicola (usiamo questo sinonimo senza dubbi, questa volta, visto che il regista ha rifiutato di girarlo in digitale, lavorando anche su pellicola scaduta).
I riferimenti culturali di Marcello non devono affatto essere considerati stranianti. Al contrario, il viaggio di Pulcinella e Sarchiapone nell'Italia meridionale esprime identità che tutti dovremmo sentire nostre - come dimostrano le soggettive del bufalotto, che aprono del resto il film, e che ci appartengono pienamente.
È vero che lo spunto iniziale proviene dal "Viaggio in Italia" di Piovene, ma poi il progetto, anche a causa della morte improvvisa dell'Angelo del Carditello (il pastore che si prendeva cura della reggia borbonica, scandalosamente lasciata morire dallo Stato), è presto cambiato.
Il bufalo che attraversa il nostro paese si chiama Sarchiapone, probabilmente pensando a "Sarchiapone e Ludovico", la magnifica poesia di Totò, composta negli anni Sessanta, scritto malinconico, pessimista e al contempo profondamente napoletano nel suo vitalismo fiabesco. Lo accompagna Pulcinella, che continua tuttora ad essere considerata una maschera centrale della cultura popolare italiana, non solo per il suo passato ma anche per la sua persistenza nel folklore contemporaneo. Ne parla, non a caso, un recentissimo volume del filosofo Giorgio Agamben. Infine, c'è una voce narrante, che rappresenta il bufalotto che commenta amaramente quel che scorge, tra Terra dei fuochi e dispiaceri umani: le parole sono recitate da Elio Germano, scelto con tutta evidenza per aver dato corpo e volto al Leopardi di Mario Martone.
Sarchiapone ha uno sguardo leopardiano sul mondo, e il cerchio si chiude se pensiamo alla fascinazione che ebbe per Pulcinella il curioso Giacomo in viaggio a Napoli, e soprattutto alla riscoperta dei Dialoghi composti dal padre, Monaldo Leopardi, uno dei quali dedicato proprio alla maschera napoletana.
Pietro Marcello, insomma, omaggia e piange la sua terra, il cinema che fu (la pellicola offre qua e là la sensazione di stare guardando un documentario di Raffaele Andreassi), e tutte le sperimentazioni possibili sulle immagini e la loro memoria - come dimostrano gli inserti found footage e le mescolanze tra documentario, finzione, performance, le conversazioni tra musica (Donizetti, Respighi, Scarlatti, ma anche Nino D'Angelo) e visione.
Meno sorprendente di La bocca del lupo, talvolta troppo legato all'idea bressoniana di osservare il mondo attraverso il nostro rapporto con l'animale, un po' ingenuo nell'affidarsi al fascino dell'arcaismo che sembra circolare tra i nostri talenti (da Michelangelo Frammartino ad Alice Rohrwacher), Bella e perduta è comunque un film che merita grande rispetto. E di cui, si diceva, non vogliamo fare a meno, anche se - paradossalmente - più affermano la forza e persino la purezza del cinema, e maggiormente accade che proprio in sala non trovino più cittadinanza.