writer58
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sabato 9 aprile 2016
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non solo asfalto...
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Nella mia personale classifica dei titoli più brutti, questo "Condominio dei cuori infranti" occupa uno dei gradini del podio. E' un titolo ridicolo e fuorviante, poiché "Aspalthe", secondo film di Samuel Benchetrit, non è una commediola romantico-sentimentale, ma un apologo divertente e agrodolce sulla condizione umana che si condensa nella solitudine delle periferie urbane e nell'irruzione dell'imprevisto all'interno di un condominio della banlieue parigina. Il film si svolge in una delle città-satellite che circonda Parigi, una periferia impermeabile come un'isola lontanissima dalla terraferma, un ambiente fatto di palazzi di dieci piani grigi e degradati dalle pareti scrostate e piene di scritte, con ascensori che funzionano a singhiozzo, che si specchiano in altri palazzi identici.
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Nella mia personale classifica dei titoli più brutti, questo "Condominio dei cuori infranti" occupa uno dei gradini del podio. E' un titolo ridicolo e fuorviante, poiché "Aspalthe", secondo film di Samuel Benchetrit, non è una commediola romantico-sentimentale, ma un apologo divertente e agrodolce sulla condizione umana che si condensa nella solitudine delle periferie urbane e nell'irruzione dell'imprevisto all'interno di un condominio della banlieue parigina. Il film si svolge in una delle città-satellite che circonda Parigi, una periferia impermeabile come un'isola lontanissima dalla terraferma, un ambiente fatto di palazzi di dieci piani grigi e degradati dalle pareti scrostate e piene di scritte, con ascensori che funzionano a singhiozzo, che si specchiano in altri palazzi identici. Quartieri simili alle "Vallette" di Torino o dello "Zen" di Palermo, ma ancora più distanti rispetto alla città di Parigi di cui costituiscono l'antitesi, come se fossero "buchi neri" che assorbono la luce e le esistenze individuali privando l'orizzonte di profondità e di colori. In uno di questi spazi amorfi e autosufficienti, irrompe un evento sorprendente: un austronauta americano atterra con la sua navicella sul tetto di un condominio, mentre due residenti si stanno fumando tranquillamene una canna. "Aspalthe" narra l'arrivo di questo "alieno" e l'ospitalità che riceve da una donna algerina che lo accoglie come un figlio ritrovato. Intreccia questa linea narrativa con altre vicende che si svolgono nello stesso ambito: la relazione tra un condomino che si spaccia per fotografo con un'infermiera di notte; l'amicizia tra un'attrice matura e un giovane che l'aiuta a ritrovare energie creative.
Il registro di "Aspalthe" è ironico e surreale: si tratta tuttavia di un'ironia che nasce dalle situazioni messe in scena (la riunione di condominio, gli irresistibili dialoghi telefonici tra l'astronauta e la Nasa, l'uso clandestino dell'ascensore da parte di Sternkowtiz)e non da artifici o da gag stantie. Allo stesso tempo, il regista sembra voler suggerire che la dimensione dell'incontro, della relazione tra persone differenti, dell'apertura a nuovi orizzonti è l'unico modo per qualificare la propria esistenza e per sfuggire a una vita marginale e mortifera, omologata dallo spazio anonimo delle periferie. Il film sviluppa questa tematica con leggerezza e senza alcuna retorica e, in più di un passaggio, strappa sorrisi e qualche risata. 3 stelle e mezzo.
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fabiofeli
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martedì 29 marzo 2016
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scoprire se stessi per scoprire gli altri
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Nella anonima banlieu di una città francese sei personaggi intrecciano le loro storie. Sterkowitz (Gustave Kerven), costretto in carrozzina da una trombosi, adopera di nascosto l’ascensore alla installazione del quale è stato l’unico ad opporsi nella assemblea di condominio; nel suo girovagare notturno incontra nel retro dell’ospedale una infermiera del turno di notte (Valeria Bruni Tedeschi), in pausa per una sigaretta; si finge fotografo e dice che vorrebbe ritrarla, ma è chiaro che è invaghito di lei. Charly (Jules Benchetrit) è un ragazzo che vive da solo nello stesso palazzo; sul suo stesso piano abita Jeanne (isabelle Huppert, indimenticabile “Merlettaia” di C.
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Nella anonima banlieu di una città francese sei personaggi intrecciano le loro storie. Sterkowitz (Gustave Kerven), costretto in carrozzina da una trombosi, adopera di nascosto l’ascensore alla installazione del quale è stato l’unico ad opporsi nella assemblea di condominio; nel suo girovagare notturno incontra nel retro dell’ospedale una infermiera del turno di notte (Valeria Bruni Tedeschi), in pausa per una sigaretta; si finge fotografo e dice che vorrebbe ritrarla, ma è chiaro che è invaghito di lei. Charly (Jules Benchetrit) è un ragazzo che vive da solo nello stesso palazzo; sul suo stesso piano abita Jeanne (isabelle Huppert, indimenticabile “Merlettaia” di C. Goretta e “Pianista” di Haneke) in perenne difficoltà con le porte dell’ascensore e con la porta di casa. Charly la aiuta e scoprirà che lei è stata una famosa attrice di cinema e forse spera ancora di girare. Vedono insieme i suoi film in cassetta nell’appartamento ingombro di scatoloni, forse residuo insolubile di un recente trasloco, ed il ragazzo propone a Jeanne di girare con una videocamera una scena da inviare a un regista per una parte in un nuovo film. Un astronauta americano, John (Michael Pitt), digiuno di francese, atterra inopinatamente sul terrazzo condominiale: è costretto a chiedere aiuto a madame Hamida (Tassadit Mandi), una signora marocchina che non capisce una parola di inglese. La donna gli permette di telefonare alla NASA e lo accoglie in casa e lo accudisce come fosse il figlio che sta scontando una condanna in galera. Un lavello che perde acqua, una telenovela dagli imprevisti sviluppi che John già conosce (una citazione del Nanni Moretti di “Caro Diario”) ed un cous-cous preparato con tutti i sentimenti abbattono il muro della non-comunicazione tra i due. Nel quartiere risuona un rumore insolito ed agghiacciante, quasi un lamento angoscioso: un grido di aiuto? Il verso di una fiera fuggita da un circo? …
La difficoltà di vivere nella solitudine e di comunicare viene raccontata alternando momenti dolenti a divertenti e surreali spunti di humour nero, originati dal concatenarsi di avvenimenti inattesi. Il muro della incomunicabilità nei moderni luoghi dell’abitare – tema a suo tempo caro a Michelangelo Antonioni, pur se trattato in maniera alquanto diversa – viene cancellato dalla solidarietà che può nascere tra estranei, monadi solitarie, nonostante le diversità: basta mettersi in gioco, scoprire se stessi per scoprire gli altri; e così fa Charly con Jeanne, quando la riprende con la telecamera e la corregge, in un modo che ricorda le interviste di Jean-Luc Godard ai personaggi dei suoi film costretti in un serrato primo piano davanti alla cinepresa. Charly costringe Jeanne ad essere vera e lei a sua volta scopre nel desiderio di affetto e comprensione il punto debole del ragazzo. Solo al temine del film sapremo l’origine del rumore agghiacciante. E’ un suono reale, come reale è il grido della solitudine. Un montaggio scorrevole, una recitazione che rende quasi superfluo il dialogo (citazione particolare per la immensa Huppert, per la Mandi e Kerven) ed una perfetta rappresentazione di un luogo-non luogo confezionano un film da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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robroma66
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mercoledì 30 marzo 2016
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sei solitudini in cerca d'amore
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Il titolo -malamente reso in italiano rispetto al francese Asphalte- è fuorviante: non si tratta di una commedia sentimentale strappalacrime ma di sei persone in cerca d'amore in una periferia grigia, annoiata, brutta e quasi addormentata. Ironia e insospettabile capacità affettiva sono le cifre del film.
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Il titolo -malamente reso in italiano rispetto al francese Asphalte- è fuorviante: non si tratta di una commedia sentimentale strappalacrime ma di sei persone in cerca d'amore in una periferia grigia, annoiata, brutta e quasi addormentata. Ironia e insospettabile capacità affettiva sono le cifre del film.
L'attrice in declino Jeanne -malinconica e non rassegnata- e il suo giovane vicino di pianerottolo Charly, l'aspirante fotografo -orso e respingente- Sternkowitz e l'infermiera, l'astronauta McKenzie -affettuoso e "faccia pulita"- e l'anziana signora algerina Hamida.
Il regista, Samuel Benchetrit, di origini ebree marocchine, figlio di un fabbro e di una parrucchiera, ha tratto il film dai suoi racconti autobiografici Les Chroniques de l'asphalte e infatti il film esprime -malgrado l'aspetto rarefatto e paradossale di contesti e personaggi- una netta autenticità.
E' una storia di solitudini ma non assomiglia -incrociando arti diverse- ai quadri di Hopper: in Asphalte tutto è mosso da un imprevisto quanto incrollabile senso di solidarietà che porta a raccogliere chi cade, con naturalezza e senza farsi o fare domande. Benchetrit ha detto in un'intervista che ha vissuto la giovinezza in un quartiere popolare e non ha mai conosciuto un senso di solidarietà così forte come in periferia. E' esattamente ciò che traluce nel film.
Per una volta, dunque, la banlieue non è luogo di violenza e di rabbia ma di fisiologica, disincantata e antiretorica disponibilità verso il prossimo. Un colpo d'occhio meraviglioso sulla contemporaneità.
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ninoraffa
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mercoledì 31 maggio 2017
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asphalte
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Non sempre nomen omen, ma in questo caso cerchiamo proprio di dimenticare il melodrammatico titolo italiano Il condominio dei cuori infranti, per concentrarci sull’originale Asphalte. (Perché poi il distributore abbia prodotto tale ardita traduzione al supposto scopo di promuovere le vendite, dice molto sulla sua idea di pubblico.)
Ambientato in chiave surreale nel condominio di una banlieue francese, fatiscente insieme al prevedibile circondario, il film di Benchetrich intreccia con rigore tre (più una) storie rappresentative della commedia umana.
La sgangherata liaison tra due malati sul retro dell’ospedale: il misantropo Sternkowtize e una stranita infermiera (Valeria Bruni Tedeschi perfetta per la parte); le improbabili foto, false ma verissime, della polaroid con cui lui si spaccia fotografo; lo spaesamento, forse mai provato prima, d’incontrarsi e rivelarsi.
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Non sempre nomen omen, ma in questo caso cerchiamo proprio di dimenticare il melodrammatico titolo italiano Il condominio dei cuori infranti, per concentrarci sull’originale Asphalte. (Perché poi il distributore abbia prodotto tale ardita traduzione al supposto scopo di promuovere le vendite, dice molto sulla sua idea di pubblico.)
Ambientato in chiave surreale nel condominio di una banlieue francese, fatiscente insieme al prevedibile circondario, il film di Benchetrich intreccia con rigore tre (più una) storie rappresentative della commedia umana.
La sgangherata liaison tra due malati sul retro dell’ospedale: il misantropo Sternkowtize e una stranita infermiera (Valeria Bruni Tedeschi perfetta per la parte); le improbabili foto, false ma verissime, della polaroid con cui lui si spaccia fotografo; lo spaesamento, forse mai provato prima, d’incontrarsi e rivelarsi.
L’amore universale della magrebina Hamida: il suo essere madre di tutti. Le sigarette regalate ai secondini che le vietano di visitare il figlio carcerato; l’accoglienza familiare – mediterranea, con tanto di cous-cous – all’improbabile astronauta americano Mckenzie, piombato in terrazza direttamente dallo spazio col suo bizzarro linguaggio; l’affettuoso slancio di questi nel ripararle lo scarico del lavandino, che continuerà comunque a perdere, perché nella banlieue anche la NASA trova i suoi insuperabili limiti tecnici.
L’amicizia tra Jeanne, attrice non più giovanissima precocemente dimenticata, e Charly, un liceale lasciato sempre solo dalla madre. Guardano insieme una vecchia pellicola in bianco e nero, dolorosa per lei e insignificante per lui; preparano la parte per un film che lei non reciterà mai. Comunque nella stessa stanza, non dietro due portoncini chiusi uno contro l’altro sul pianerottolo.
La quarta storia infine. Il fallimento. I due ragazzi seduti sulle scale dell’androne vedono solo l’asfalto dello squallido viale davanti a loro, e probabilmente sanno da dove viene lo strano rumore che incuriosisce gli altri. Conoscono le brutture del mondo, non nutrono curiosità e non si fanno illusioni. Stanno in terrazza a fumare, scende davanti a loro qualcuno dal cielo, e la cosa non li riguarda.
Una nota sinistra, un cattivo rumore metallico riecheggia ogni tanto nel film, ma alcuni dei personaggi la percepiscono come musica, come una specie di benevolo richiamo. Il cigolio di un cassone non è una melodia, l’asfalto non è un prato; ma sentire la bellezza nel suo opposto significa superare le proprie circostanze. Essere vivi, ovvero custodire ancora una fiammella d’immaginazione – di creazione – a separarci dalla morte. Morte dell’anima nella miseria materiale della periferia, come nelle infinte periferie dello spirito che possono imprigionarci da qualsiasi parte.
Samuel Benchetrit è abile nel maneggiare situazioni e personaggi in tanti finali aperti. Tratto da un testo autobiografico dello stesso regista, Asphalte sembra raccontarci, lungo un amaro filo d’ironia, quanto la salvezza – una zoppicante salvezza, comunque provvisoria – passi attraverso l’incontro con le persone giuste.
Figura grottesca e patetica, Sternkowtiz in una delle scene simbolo fa l’umano miracolo di alzarsi dalla sedia a rotelle e camminare; forza la gabbia (intima) dell’ascensore e si avvia con andatura sghemba verso l’appuntamento con la sua infermiera. Forse non è un caso che gl’incontri riusciti del film siano fortemente asimmetrici: nonostante le diversità essenziali, in qualche modo possiamo incastrare le nostre strane membra in una forma nuova e (un po’) migliore.
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lbavassano
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sabato 26 marzo 2016
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il rigore della poesia
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Tre storie, sapientemente intrecciate, che miscelano in misura diversa realismo e surrealismo, senza mai eccedere, che coniugano divertimento e malinconia senza forzature e stridori. Tre storie, profondamente umane, splendidamente raccontate, che con pochi accenni riescono a restituire pienamente il vissuto di sei personaggi, sei esseri umani, che accidentalmente si incrociano, interagiscono, si confrontano. Sei forme diverse di solitudine che proprio attraverso la difficoltà del dialogo trovano il modo di comunicare, di giungere ad una autentica comprensione dell'altro.
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Tre storie, sapientemente intrecciate, che miscelano in misura diversa realismo e surrealismo, senza mai eccedere, che coniugano divertimento e malinconia senza forzature e stridori. Tre storie, profondamente umane, splendidamente raccontate, che con pochi accenni riescono a restituire pienamente il vissuto di sei personaggi, sei esseri umani, che accidentalmente si incrociano, interagiscono, si confrontano. Sei forme diverse di solitudine che proprio attraverso la difficoltà del dialogo trovano il modo di comunicare, di giungere ad una autentica comprensione dell'altro. Una periferia degradata, un condominio squallido, in disfacimento, che grazie alla bellezza delle immagini, rigorosa al pari dello stile narrativo, divengono luogo di poesia. Una Huppert eccezionale. Un finale che con quasi nulla riesce a mostrare come lo scarto fra la banalità e la poesia sia al contempo minimo e abissale.
Uno splendido film, ad oggi fra i più belli, poetici ed intensi di questa stagione (peccato solo per il titolo italiano, stupido e fuorviante come troppo spesso accade).
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zarar
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mercoledì 6 aprile 2016
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mistero buffo (e dolce)
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Favola delicata, un po’ tenera, un po’ comica, un po’ disperata, ambientata in un grigio e degradato condominio in una grigia degradata periferia. Su uno sfondo di colori spenti e gessati, di asfalto corroso, di cieli nuvolosi e lividi, di graffiti rabbiosi, di bandoni di latta che sbattono al vento in modo sinistro, il condominio è quel che può essere, luogo di un’umanità mortificata e dimessa. All’improvviso, in questo posto dove nulla di buono sembra poter succedere, alcune cose incredibili e surreali si manifestano davanti ai nostri occhi increduli ma subito conquistati. Una vecchia e dolce marocchina si vede piovere in casa un astronauta della NASA disperso, atterrato per errore sul tetto del condominio (!), e lo ospita come un figlio; si crea un sottile feeling tra un adolescente abbandonato a se stesso e un’attrice avviata verso un nevrotico tramonto a cui il ragazzo restituisce, incredibilmente, un po’ di autenticità e di speranza; un poveraccio meschino finito su una sedia a rotelle, costretto a ‘rubare’ di notte l’uso dell’ascensore a cui non ha diritto, incontra l’amore nelle sue fughe notturne per procurarsi cibo e si rimette miracolosamente in piedi pur di non perderlo.
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Favola delicata, un po’ tenera, un po’ comica, un po’ disperata, ambientata in un grigio e degradato condominio in una grigia degradata periferia. Su uno sfondo di colori spenti e gessati, di asfalto corroso, di cieli nuvolosi e lividi, di graffiti rabbiosi, di bandoni di latta che sbattono al vento in modo sinistro, il condominio è quel che può essere, luogo di un’umanità mortificata e dimessa. All’improvviso, in questo posto dove nulla di buono sembra poter succedere, alcune cose incredibili e surreali si manifestano davanti ai nostri occhi increduli ma subito conquistati. Una vecchia e dolce marocchina si vede piovere in casa un astronauta della NASA disperso, atterrato per errore sul tetto del condominio (!), e lo ospita come un figlio; si crea un sottile feeling tra un adolescente abbandonato a se stesso e un’attrice avviata verso un nevrotico tramonto a cui il ragazzo restituisce, incredibilmente, un po’ di autenticità e di speranza; un poveraccio meschino finito su una sedia a rotelle, costretto a ‘rubare’ di notte l’uso dell’ascensore a cui non ha diritto, incontra l’amore nelle sue fughe notturne per procurarsi cibo e si rimette miracolosamente in piedi pur di non perderlo... L’impossibile diventa possibile, e lo squallore si dimentica (anche se è sempre lì, insidioso, come un’irrimediabile perdita d’acqua del lavandino), quando degli essere umani, contro ogni previsione e ogni logica, si vengono incontro, sull’onda di un sentimento che li porta l’uno verso l’altro per capirsi, aiutarsi, amarsi. In una continua discontinuità di scene che sottolinea la disintegrazione dello sfondo, accentuata dal funambolico giustapporsi di banale quotidiano e surreale, di comico e tragico, il regista punta la sua camera fissa sui visi e i movimenti scomposti dei suoi personaggi e lentamente li porta a svelare il filo di umanità che dà coerenza e senso alle loro vite e li riscatta dalla loro condizione di reietti. Tutti molto bravi gli attori. Una citazione speciale merita la fotografia.
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maurizio meres
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domenica 27 marzo 2016
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la riscoperta della vita
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Tre copie,una è amore materno,un'altra è la scoperta dell'amore è l'ultima diventa un amore tra un giovane una donna matura dell'amicizia,sei personaggi,tre storie,sei stati d'animo,tre differenti situazioni,sei personaggi in cerca d'amore,tutti differenti l'uno dall'altro,il tutti ambientato nella più assoluta desolazione,in una città grigia,squallida,senza vita in una atmosfera surreale della Francia del nord est.
In un palazzo fatiscente dove un semplice cigolio amplificato dal vento,di uno sportello di un cassone suscita in loro storie fantastiche.
Nelle tre situazioni ognuno esprime sia amore che solitudine,la ricerca o meglio la scoperta che la vita può dare qualcosa d'importante,diventa meraviglioso.
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Tre copie,una è amore materno,un'altra è la scoperta dell'amore è l'ultima diventa un amore tra un giovane una donna matura dell'amicizia,sei personaggi,tre storie,sei stati d'animo,tre differenti situazioni,sei personaggi in cerca d'amore,tutti differenti l'uno dall'altro,il tutti ambientato nella più assoluta desolazione,in una città grigia,squallida,senza vita in una atmosfera surreale della Francia del nord est.
In un palazzo fatiscente dove un semplice cigolio amplificato dal vento,di uno sportello di un cassone suscita in loro storie fantastiche.
Nelle tre situazioni ognuno esprime sia amore che solitudine,la ricerca o meglio la scoperta che la vita può dare qualcosa d'importante,diventa meraviglioso.
Bravissimo il regista nel riprendere in ognuno di loro il proprio stato emotivo,con espressioni che parlavano,con gesti lenti voluti,dove la cinepresa si ferma per dare maggior risalto alla loro personalità.
Film d'avanguardia,dove la sperimentazione cinematografica suscita allo spettatore,curiosità voglia di diverso,ben vengano questi film,come al solito di difficile interpretazione per chi non vuole aprirsi ad un mondo non nuovo perché in questo film si riscoprono dei valori dimenticati.
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giajr
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giovedì 14 aprile 2016
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delicato, da leggere con molta attenzione.
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Si tratta di un film da vedere e leggere con molta attenzione. Incentrato su pochi personaggi chiave ricchi di peculiarità, sfumature e valenze caratteriali di spicco.
Particolare valore è assunto dalla "persona" intesa come individuo, nulla di scontato e, all'apparenza, potrebbe essere classificato come un film "fuori dagli schemi"; in realtà da considerarsi semplicemente studiato con dovizia. Scengrafie reali e doverosamente crude, per un film come questo.
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enrico danelli
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sabato 4 giugno 2016
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sei piccioni seduti su un ramo ...
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... cercano di riflettere sull'esistenza, ma non ci riescono. Ottime recitazioni (Huppert e Bruni Tedeschi), moltissime allegorie e simbolismi, un significato vero e profondo che si capisce solo in extremis: dispiace ancora di più perchè questo ben di Dio è tutto rovinato da una spavalda sceneggiatura che richiama quella dell'ingiustamente pluripremiato "Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza". Che modo leggero e urtante di scrivere il cinema cercando di catturare lo spettatore con alcune scenette gustose, rifilandogli perle di saggezza mescolate a banalità e tentativi mal riusciti di ricreare atmosfere surreali alla Fellini.
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... cercano di riflettere sull'esistenza, ma non ci riescono. Ottime recitazioni (Huppert e Bruni Tedeschi), moltissime allegorie e simbolismi, un significato vero e profondo che si capisce solo in extremis: dispiace ancora di più perchè questo ben di Dio è tutto rovinato da una spavalda sceneggiatura che richiama quella dell'ingiustamente pluripremiato "Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza". Che modo leggero e urtante di scrivere il cinema cercando di catturare lo spettatore con alcune scenette gustose, rifilandogli perle di saggezza mescolate a banalità e tentativi mal riusciti di ricreare atmosfere surreali alla Fellini. Fin troppo semplice individuare nel problema della solitudine condominiale (ossimoro) il cavallo di battaglia di questo film e nell'ovvietà di avere almeno un compagno la sua soluzione. Per fortuna il regista sceneggiatore ci regala alla fine la chiave di lettura del film: l'ossessivo, angoscioso e ripetuto rumore che pervade gli ambienti non è che una porta di ferro che cigola al vento. Le fantasiose e irreali spiegazioni che invece ne danno i sei personaggi non sono che illusioni, come la loro stessa esistenza.
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alex2044
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lunedì 28 marzo 2016
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il cuore oltre l'ostacolo
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In un paesaggio che più desolato non si può dove tutto è brutto e degradato e perfino il tempo è sempre grigio , sei solitudini si incontrano , si conoscono , si apprezzano .Sono diverse , per vita , cultura , atteggiamenti ma li unisce l'umanità che è in loro . Questo film , fatto di nulla sorprende per la sua profondità e malgrado la sua apparente staticità mette in moto il cuore dello spettatore ma anche la mente . Facendolo pensare , sorridere ma anche ridere con spontaneità . Insomma il meccanismo che Samuel Benchetrit ha messo in moto funziona e passati i primi momenti di sconcerto per un film singolare non solo per i temi ma anche per la tecnica , si entra con piacere in un mondo positivo che ti avvolge e riscalda con la sua voglia di vivere .
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In un paesaggio che più desolato non si può dove tutto è brutto e degradato e perfino il tempo è sempre grigio , sei solitudini si incontrano , si conoscono , si apprezzano .Sono diverse , per vita , cultura , atteggiamenti ma li unisce l'umanità che è in loro . Questo film , fatto di nulla sorprende per la sua profondità e malgrado la sua apparente staticità mette in moto il cuore dello spettatore ma anche la mente . Facendolo pensare , sorridere ma anche ridere con spontaneità . Insomma il meccanismo che Samuel Benchetrit ha messo in moto funziona e passati i primi momenti di sconcerto per un film singolare non solo per i temi ma anche per la tecnica , si entra con piacere in un mondo positivo che ti avvolge e riscalda con la sua voglia di vivere . Gli attori sono tutti bravi ed anche le due primedonne , Isabelle Huppert e Valeria Bruni Tedeschi , evitano di prevaricare con il loro carisma gli altri coprotagonisti meno noti , segno di una notevole intelligenza . Si esce felici , sorridenti e con l'animo lieve da un film così che sarà piccolo ma ha un cuore grandissimo .
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