Lettere da Berlino

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Si muore soli Valutazione 4 stelle su cinque

di ninoraffa


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sabato 17 giugno 2017

Hitler nel marzo 1933 incassa 17 milioni di voti (pari al 44%), nel ‘40 con la guerra che sembra quasi vinta è scontato che la maggioranza dei tedeschi stia dalla sua parte. In quello stesso anno due coniugi di modesta classe sociale, a seguito della morte del figlio al fronte, iniziano a distribuire per Berlino delle cartoline in cui smascherano le più evidenti menzogne naziste, invitando alla ribellione e al sabotaggio. Contro di loro la Gestapo mobilita il metodico ispettore Escherich, presto vittima egli stesso dei suoi brutali superiori impazienti di risolvere un caso imbarazzante. Sullo sfondo di questa partita a scacchi tra due improbabili criminali e un poliziotto sempre più dubbioso, i valori fondamentali di verità e libertà che lo stato totalitario vorrebbe dissolvere. 
Lettere da Berlino riprende felicemente il romanzo Ognuno muore solo di Hans Fallada, già basato sui verbali della Gestapo riguardanti un processo capitale tenutosi a Berlino nel 1942. Fallada nella sua prefazione ammette molte licenze rispetto alla vera storia dei coniugi Hampel (Anna e Otto Quangel nella finzione) sottolineando però la verità interiore del suo scritto, qualità senz’altro riconoscibile  anche nel buon film di Vincent Perez.
Otto ripete ad Anna: “la libertà solo nella verità”. Sbaglia – ma in fondo lo sa e non gl'interessa – nel credere che si possano bloccare con la sabbia della coscienza gl'ingranaggi della macchina della paura e della menzogna (o post-verità come diciamo adesso). In due anni, marito e moglie seminano per strade, piazze o condomini 285 cartoline, di cui solo 18 non vengono subito consegnate alla Gestapo. Tenere la cartolina in tasca ed essere scoperti significa morte crudele e certa: diciotto disposti al rischio, in fondo per nullanon sono pochi.
L’attenta sceneggiatura del film non trascura i simboli. La ribellione, la non-complicità, il riacquisto della libertà su un piano più alto, passano attraverso le cartoline ma anche dalle finestre. Nella sua prima scena, Escherich libera un uccellino dalla gabbia e lo lascia volare dalla finestra; nell'ultima, libera le cartoline in mano alla polizia lanciandole in strada dalla finestra del suo ufficio e l'attraversa metaforicamente insieme a loro, premendo contro di sé il grilletto. E ancora la finestra trovata dalla signora Rosenthal, una vecchia ebrea, anche lei creatura fragilissima, volata via dalla stanza-gabbia in cui un vicino pietoso cerca di nasconderla ai persecutori. E infine la finestra a ghigliottina che Anna e Otto cercano sin dalla morte del figlio, e che alla fine, al di la della fatalità, faranno in modo di trovare.
Lettere da Berlino, come il romanzo cui è ispirato, è comunque abitato da uno spirito di vittoria. Di forza nella debolezza. Eliot osservò che l’uomo sogna sistemi così perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono. I nostri sistemi sociali reali sono così lontani dalla perfezione (e più la pretendono, più ne sono distanti) che rimane un gran bisogno di donne e uomini buoni. Un bisogno incarnato dalla suggestiva leggenda ebraica dei 36 segreti giusti alla cui vita retta e anonima Dio ha affidato il destino del mondo. Si tratta di gente comune: ciabattini, falegnami, barbieri, becchini...   Anna e Otto (che fabbricava bare) sono tra questi, e il film di Perez, anche attraverso l’ottima interpretazione dei due protagonisti, testimonia il loro solitario sacrificio di resistenza al male fattosi potere costituito. Missione a cui tutti siamo chiamati – e pochissimi rispondono – in ogni tempo.
 

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