Un'estate in Provenza

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Visitate la Provenza, magari piacete alla gelataia Valutazione 1 stelle su cinque

di no_data


Feedback: 1518 | altri commenti e recensioni di no_data
domenica 24 aprile 2016

E' proprio un brutto tonfo UN'ESTATE IN PROVENZA, il nuovo film della regista francese Rose Bosh, che aveva così ben diretto nel 2011, sempre con Jean Reno, l''intenso VENTO DI PRIMAVERA. E sì che nei titoli di testa, gli occhioni del piccolo Théo, che scopriremo poi essere sordomuto (bella ma un po' banale la scelta di “Sound of Silence” in sottofondo), erano ricchi di promesse, mentre guardavano assonnati la campagna francese dal finestrino del treno. Théo ha due fratelli: Léa e Adrien. Papà li ha lasciati, e la mamma è partita per uno stage a Montreal. Da Parigi dove vivono, nonna Irène (Anna Galiena) li sta portando a casa sua, in Provenza, per trascorrervi l'estate. Là troveranno Paul, un nonno scorbutico (Jean Reno, bravo come sempre) che non li ha mai visti e non si aspetta di vederli. A diciassette anni sua figlia, la madre dei ragazzi, se n'è andata di casa e non ha più avuto rapporti con lui, né gli ha mai fatto vedere i nipoti.
C'erano tutti i presupposti per un onesto film di buoni sentimenti, basato sulle diversità. Un incontro scontro tra nonno e nipoti, tra modernità e tradizione, tra città e campagna. E per un po' la cosa funziona. C'è anche qualche battuta efficace. Come quando Adrien dice che “con la play station non si è mai veramente soli”. O Paul, che alle obiezioni sugli acquisti effettuati, ribatte: “Equo e solidale è quando non ci costa una fortuna”. O ancora Léa, che nel rimpiangere le comodità di Parigi dice: “Io la natura la difendo, non ho mai detto che ci voglio vivere”. Ben presto però il contesto si fa: da un lato sempre più scontato, e dall'altro sempre meno credibile, per le reazioni spesso esagerate dei protagonisti. I personaggi collaterali poi (la gelataia o l'amico chitarrista di Paul, per esempio) sono troppo poco approfonditi, quando non addirittura “tagliati con l'accetta”. Per non parlare della banalità delle scene di folclore locale che sembrano sponsorizzate dall'agenzia turistica della Provenza. L'unica cosa da salvare, e semmai da approfondire, avrebbe potuto essere il rapporto tra il nonno e il piccolo Théo, forse perché non avrebbe avuto bisogno di parole, ma la Bosh non ha saputo o voluto farvi affidamento. Una buona intuizione però l'ha avuta per la scena finale dell'incontro di Paul con la figlia, prima che scorrano i titoli di coda sponsorizzati dalla Samsung, troppo poco: un film che si può tranquillamente perdere.

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