filippo catani
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domenica 16 febbraio 2014
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un'occasione gettata al vento
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Su diretta autorizzazione del presidente Roosvelt, un manipolo di uomini che si occupano a vario titolo di arte viene spedito in Europa per cercare di evitare che Hitler possa razziare tutte le più importanti opere d'arte dando poi fuoco a quelle considerate "degenerate". Tratto da una storia vera.
Mettiamo subito i puntini sulle i: tra il bellissimo e omonimo libro e questo film c'è la stessa distanza che separa l'Europa dall'America; ed è proprio questo il peccato più grave di cui si macchia l'ultimo film targato Clooney. Il libro è infatti appasionante ed emozionante e sa alternare con grande gusto momenti romanzeschi a precise ricostruzioni storiche.
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Su diretta autorizzazione del presidente Roosvelt, un manipolo di uomini che si occupano a vario titolo di arte viene spedito in Europa per cercare di evitare che Hitler possa razziare tutte le più importanti opere d'arte dando poi fuoco a quelle considerate "degenerate". Tratto da una storia vera.
Mettiamo subito i puntini sulle i: tra il bellissimo e omonimo libro e questo film c'è la stessa distanza che separa l'Europa dall'America; ed è proprio questo il peccato più grave di cui si macchia l'ultimo film targato Clooney. Il libro è infatti appasionante ed emozionante e sa alternare con grande gusto momenti romanzeschi a precise ricostruzioni storiche. Lo stesso Clooney prova un po' anche lui a giocare su vari registri ma l'operazione non riesce; il passaggio dai momenti di farsa a quelli più drammatici risulta decisamente di cattivo gusto. In generale comunque è proprio il film in se che non riesce mai a decollare nonostante un grande ma sprecato cast. Lo spettatore non riesce ad appassionarsi alle avventure di questo manipolo di uomini che entrano nell'esercito con una nobilissima missione e cioè quella di salvare i grandi capolavori dell'arte. Il fatto è che il ritmo è soporifero, la narrazione banale e alcune situazioni stanno al film come il cacio a merenda. Insomma duole dirlo ma questa riproposizione del cinema di guerra a tratti più leggero con il leit motive fischiato che richiama quello del fiume Kwai non ci ha proprio convinto. Un vero peccato perchè Clooney alla sua peggiore performance da regista trascina con se un gruppo di ottimi attori che appaiono o fuori posto (Dujardin) o mal sfruttati (Murray e Goodman) o anonimi (Damon). Insomma duole dirlo ma il film risulta essere un monumento alla delusione.
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pisa93
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domenica 16 febbraio 2014
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un film che ha ben poco di monumentale
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Durante la Seconda Guerra Mondiale, un manipolo di uomini chiamati Monuments Men viene incaricato di recuperare la maggior parte delle opere d'arte trafugate dai Tedeschi. Tratto da una storia vera.
Giunto alla sua quinta regia George Clooney vorrebbe stupire con un film alla Spielberg, ma non riesce ad essere incisivo. Si ispira alle ambientazioni di "Salvate il soldato Ryan" ed all'introspezione di "La sottile linea rossa", ma tutto ciò che ottiene è un involucro vuoto, senz'anima. Monumets Men è un film che fatica a trovare una sua identità, alternando commedia e dramma con la stessa semplicità con cui una ragazza si cambia d'abito. Manca proprio di quella profondità di cui un film del genere dovrebbe essere permeato.
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Durante la Seconda Guerra Mondiale, un manipolo di uomini chiamati Monuments Men viene incaricato di recuperare la maggior parte delle opere d'arte trafugate dai Tedeschi. Tratto da una storia vera.
Giunto alla sua quinta regia George Clooney vorrebbe stupire con un film alla Spielberg, ma non riesce ad essere incisivo. Si ispira alle ambientazioni di "Salvate il soldato Ryan" ed all'introspezione di "La sottile linea rossa", ma tutto ciò che ottiene è un involucro vuoto, senz'anima. Monumets Men è un film che fatica a trovare una sua identità, alternando commedia e dramma con la stessa semplicità con cui una ragazza si cambia d'abito. Manca proprio di quella profondità di cui un film del genere dovrebbe essere permeato. Il risultato è uno spettatore dubbioso, che non sa come rapportarsi con ciò che sta guardando. Gli attori, peraltro, non contribuiscono a risolvere il mistero, comportandosi come una scolaresca in gita. L'orrore della guerra non viene minimamente percepito ed anche nei momenti più drammatici Clooney non rinuncia a strappare qualche risata. Questa superficialità di base non rende, quindi, onore a quegli uomini che hanno veramente combattuto per la salvezza dell'identità di un popolo. Loro hanno sofferto per le pene della guerra, mentre il caro George ed il suo cast stellare si divertono come se fossero in vacanza. Come ormai tristemente sappiamo, tanti attori famosi non sono una sicurezza sulla riuscita della pellicola, ma di sicuro garantiscono un ottimo incasso.
Monuments Men è, quindi, un film basato più sul marketing che sulla qualità di ciò che offre. Anche la colonna sonora è ridente e farsesca e non aggiunge niente ad una pellicola fin troppo piatta. Nonostante ciò il film non annoia e se lo si affronta con animo leggero potrebbe anche piacere. Peccato, però, per il passo falso del regista de "Le Idi di Marzo", che speriamo torni presto ai vecchi fasti,
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stelio
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sabato 15 febbraio 2014
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we are americans...
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George Clooney torna alla regia con l'adattamento cinematografico di un romanzo di Robert M. Edsel sull'epica impresa dei Monuments Men, uomini di cultura scelti da Roosevelt, che cercheranno di salvare le opere d'arte depredate da Hitler durante la 2° Guerra Mondiale. I presupposti del regista di trattare un argomento importante come questo con la leggerezza di una commedia d'autore sono del tutto apprezzabili, ma il risultato finale ci lascia confusi e disorientati. L'equilibrio della narrazione, da qualunque punto di vista osserviamo il racconto, è precario: se guardiamo alla storia in ottica comica e ironica, quello che risulta così disturbante e fuori luogo sono le riflessioni di Clooney(che interpreta uno dei Monuments) sull'intera missione, cariche di belle parole ma che, inserite tra una risata e l'altra, perdono così tutta la drammaticità e l'importanza del loro significato; se guardiamo alla storia invece sotto il profilo dell'epicità e dell'eroismo di questi uomini, disturbano al contrario quei continui siparietti comici degli attori, che rendono il racconto poco credibile e coerente con i presupposti dell'impresa.
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George Clooney torna alla regia con l'adattamento cinematografico di un romanzo di Robert M. Edsel sull'epica impresa dei Monuments Men, uomini di cultura scelti da Roosevelt, che cercheranno di salvare le opere d'arte depredate da Hitler durante la 2° Guerra Mondiale. I presupposti del regista di trattare un argomento importante come questo con la leggerezza di una commedia d'autore sono del tutto apprezzabili, ma il risultato finale ci lascia confusi e disorientati. L'equilibrio della narrazione, da qualunque punto di vista osserviamo il racconto, è precario: se guardiamo alla storia in ottica comica e ironica, quello che risulta così disturbante e fuori luogo sono le riflessioni di Clooney(che interpreta uno dei Monuments) sull'intera missione, cariche di belle parole ma che, inserite tra una risata e l'altra, perdono così tutta la drammaticità e l'importanza del loro significato; se guardiamo alla storia invece sotto il profilo dell'epicità e dell'eroismo di questi uomini, disturbano al contrario quei continui siparietti comici degli attori, che rendono il racconto poco credibile e coerente con i presupposti dell'impresa. Questa mancanza di coerenza, emozionale e narrativa allo stesso tempo, é incrementata dalla pessima performance di Clooney, che purtroppo anche quando cerca di essere serio e drammatico, per la morte di un compagno, per spiegare ai Monuments l'importanza della loro impresa, per umiliare un soldato nazista, ci appare veramente poco credibile. La narrazione oltre ad essere poco convincente è anche mal distribuita nel tempo: il ritmo narrativo infatti è veramente troppo stanco nella prima metà del film e prende un'impennata considerevole negli ultimi 20 minuti per essere nuovamente interrotto da un finale molto sbrigativo. Osservando le ultime sequenze, infatti, lo spettatore ha come la percezione che Clooney avesse finito i soldi per la pellicola e dovesse chiudere in fretta il film: proprio nel momento di maggior suspense, tensione e incertezza nell'esito della missione, il regista ci mostra i visi sorridenti dei Monuments per la riuscita dell'operazione. Non c'è dubbio poi sul fatto che tutto il racconto sia costruito per esaltare l'America e i soldati americani, quando il fatto, seppur certamente menzionato, che fossero anche gli Alleati a distruggere i più importanti monumenti dell'umanità, rimane assolutamente marginale. Il simbolo più evidente di questa palese auto-celebrazione rimane sicuramente la bandiera americana appesa all'entrata della miniera di proprietà russa. Della serie: "non solo abbiamo fregato Hitler e abbiamo boicottato i suoi piani perversi di distruggere la storia e la cultura di un popolo, ma in fondo ve l'abbiamo fatta anche a voi Russi". In questo marasma di elementi negativi bisogna riconoscere una cosa però: gli attori, ad esclusione di Clooney, sono eccellenti. In particolare è molto apprezzabile la performance di Bill Murray, l'unico forse che riesce, tra tutte quelle risate, a trasmettere il vero sentimento di questi uomini: abbandonate le mogli a casa, i Monuments Men combattevano per un ideale molto più nobile di qualsiasi altro e probabilmente l'unico per cui ne valeva veramente la pena. Se intendiamo il cinema come puro intrattenimento allora questo sarà il film perfetto per voi, altrimenti se cercate qualcos'altro, una riflessione profonda e matura sull'impresa di questi uomini, lasciate perdere. Andare a vedere questo film è come andare in un ristorante di lusso dove, una volta seduti al tavolo, degli eleganti camerieri in giacca e cravatta vi servono hamburger e patatine in piatti d'argento: una grande presa in giro.
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andrea giostra
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sabato 22 febbraio 2014
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il valore dell'arte e della cultura.
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George Clooney si conferma, ancora una volta!, regista e sceneggiatore raffinato e di grande talento nel saper trattare cinematograficamente temi di grande interesse culturale e sociale, trasformandoli in prodotti “commerciali” e di “cassetta” appetibili anche al grande pubblico di cinefili per diletto. Il brillante risultato del botteghino è sotto gli occhi di tutti, e non è certamente solo il frutto del grandissimo cast di amici che Clooney ha “arruolato” per realizzare un film bellissimo e mai eccessivo nella narrazione e nella fluidità del racconto che pone la salvaguardia dell’arte e della cultura occidentale al centro dell’essenza dell’uomo: rubare l’arte e la cultura di un intero popolo vuol dire rubargli l’anima e la sua stessa natura.
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George Clooney si conferma, ancora una volta!, regista e sceneggiatore raffinato e di grande talento nel saper trattare cinematograficamente temi di grande interesse culturale e sociale, trasformandoli in prodotti “commerciali” e di “cassetta” appetibili anche al grande pubblico di cinefili per diletto. Il brillante risultato del botteghino è sotto gli occhi di tutti, e non è certamente solo il frutto del grandissimo cast di amici che Clooney ha “arruolato” per realizzare un film bellissimo e mai eccessivo nella narrazione e nella fluidità del racconto che pone la salvaguardia dell’arte e della cultura occidentale al centro dell’essenza dell’uomo: rubare l’arte e la cultura di un intero popolo vuol dire rubargli l’anima e la sua stessa natura. E’ questo il messaggio che Clooney lancia con questo bel film; un messaggio che attraversa inesorabile e implacabile lo spettatore che si lascia trasportare facilmente all'interno di questa storia vera e che viene costretto a riflettere sull'immenso valore delle radici della nostra storia e della nostra cultura.
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fight.club
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domenica 16 febbraio 2014
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la guerra che ti ruba l'anima
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un film di grandi pretese con un grande cast ma che una sceneggiatura flebile accoppiata a una regia debole non mostra correttamente quello che la guerra danneggia veramente, una guerra che ruba l'anima oltre che la vita, che ti cancella la storia fatta di grandi opere e di vite comuni messe insieme nei secoli e spazzate via da dittature dove il super ego di pochi uomini tende a erodere e a rimodellare quello costruito in precedenza. una occasione mancata da Clooney che svolge il suo compitino molto modestamente senza approfondire i molti spunti che il racconto reale poteva dare , manca proprio la mano del regista di alto livello, di uno Spielberg,ad esempio, che, nel suo "salvate il soldato Ryan", ci mostra cosa voglia dire sacrificare la vita di molti per salvarne solo uno mentre qui la domanda che aleggia, se sacrificare qualcuno per delle opere d'arte, è trattata con estrema leggerezza senza dare una risposta esatta nel quadro generale della guerra.
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un film di grandi pretese con un grande cast ma che una sceneggiatura flebile accoppiata a una regia debole non mostra correttamente quello che la guerra danneggia veramente, una guerra che ruba l'anima oltre che la vita, che ti cancella la storia fatta di grandi opere e di vite comuni messe insieme nei secoli e spazzate via da dittature dove il super ego di pochi uomini tende a erodere e a rimodellare quello costruito in precedenza. una occasione mancata da Clooney che svolge il suo compitino molto modestamente senza approfondire i molti spunti che il racconto reale poteva dare , manca proprio la mano del regista di alto livello, di uno Spielberg,ad esempio, che, nel suo "salvate il soldato Ryan", ci mostra cosa voglia dire sacrificare la vita di molti per salvarne solo uno mentre qui la domanda che aleggia, se sacrificare qualcuno per delle opere d'arte, è trattata con estrema leggerezza senza dare una risposta esatta nel quadro generale della guerra.
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pincenzo
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domenica 16 febbraio 2014
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arte, guerra e retorica
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In un film d'azione è fondamentale che lo spettatore identifichi i paladini del bene e i cattivi da sconfiggere. La tensione narrativa scaturisce dalla battaglia tra il bene e il male, con tutte le diverse sfumature che rendono questo stereotipo ancora attuale e capace di sorprenderci. I cattivi nazisti, e sullo sfondo gli incombenti cattivi comunisti, sono mostrati nella poco conosciuta attività di razzia di opere d'arte, effettuata su larga scala in un territorio tra i più ricchi del mondo di cultura, memoria storica, arte. I buoni americani, oltre che a dedicarsi alla liberazione dell'Europa, si preoccupano di salvaguardare e di recuperare un patrimonio dell'umanità il cui valore è almeno pari a quello della vita dei soldati coinvolti in questa impresa.
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In un film d'azione è fondamentale che lo spettatore identifichi i paladini del bene e i cattivi da sconfiggere. La tensione narrativa scaturisce dalla battaglia tra il bene e il male, con tutte le diverse sfumature che rendono questo stereotipo ancora attuale e capace di sorprenderci. I cattivi nazisti, e sullo sfondo gli incombenti cattivi comunisti, sono mostrati nella poco conosciuta attività di razzia di opere d'arte, effettuata su larga scala in un territorio tra i più ricchi del mondo di cultura, memoria storica, arte. I buoni americani, oltre che a dedicarsi alla liberazione dell'Europa, si preoccupano di salvaguardare e di recuperare un patrimonio dell'umanità il cui valore è almeno pari a quello della vita dei soldati coinvolti in questa impresa. Con queste premesse, George Clooney aveva l'opportunità di imbastire una trama tradizionale e avventurosa su un tema poco frequentato, per rilanciare il dibattito dei danni collaterali delle guerre, sugli uomini ma anche sulle cose. Purtroppo il risultato non è all'altezza delle aspettative: una piatta sequenza di piccoli episodi scollegati tra loro; una carenza di approfondimento dei personaggi, sovente abbozzati e poco incisivi; dialoghi banali e privi di mordente; una musica dai toni epici ma piatta e monocorde. Su tutto incombe un profondo e convinto alone di retorica che richiama i documentari Luce, un senso di noia e di leggero imbarazzo per una rappresentazione che dovrebbe, invece, suscitare nello spettatore sentimenti forti e nobili. Alla fine una domanda: come ha fatto Clooney a trovare tutti i soldi ( e ne devono essere serviti tanti) necessari per produrre questo film?
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catcarlo
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martedì 18 febbraio 2014
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monuments men
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Allora, riassumendo: i sovietici non sembrano particolarmente svegli, i tedeschi si rivelano delle perfide carogne e gli alleati sono tutti bravi e buoni nonchè dediti al sacrificio. Fra le fila di questi ultimi, poi, gli statunitensi sono spesso belli e sempre integerrimi (anche se davanti c'è Cate Blanchett che fa le moine, a Parigi è primavera e la città è appena stata liberata), mentre con gli altri la sorte è meno benevola - e comunque il primo a defungere è quello che più ha da farsi perdonare. Se, a questo punto, qualcuno sta pensando a un film di cinquant'anni fa, non ha tutti i torti: il nuovo lavoro firmato da Clooney sembra ispirarsi direttamente alle pellicole di guerra corali (tra 'Il giorno più lungo' e 'Il ponte di Remagen') che sono stati girate, celebrando la liberazione d'Europa dalla barbarie nazista, fino alla metà degli anni Sessanta e all'irrompere del conflitto vietnamita.
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Allora, riassumendo: i sovietici non sembrano particolarmente svegli, i tedeschi si rivelano delle perfide carogne e gli alleati sono tutti bravi e buoni nonchè dediti al sacrificio. Fra le fila di questi ultimi, poi, gli statunitensi sono spesso belli e sempre integerrimi (anche se davanti c'è Cate Blanchett che fa le moine, a Parigi è primavera e la città è appena stata liberata), mentre con gli altri la sorte è meno benevola - e comunque il primo a defungere è quello che più ha da farsi perdonare. Se, a questo punto, qualcuno sta pensando a un film di cinquant'anni fa, non ha tutti i torti: il nuovo lavoro firmato da Clooney sembra ispirarsi direttamente alle pellicole di guerra corali (tra 'Il giorno più lungo' e 'Il ponte di Remagen') che sono stati girate, celebrando la liberazione d'Europa dalla barbarie nazista, fino alla metà degli anni Sessanta e all'irrompere del conflitto vietnamita. L’impressione è rafforzata dalla partitura classicheggiante di Alexandre Desplat (che ha anche una piccola parte) e persino dai titoli di coda, così che l'unica, vera differenza può essere cercata nei combattimenti che restano sullo sfondo, o forse sarebbe più corretto dire di lato: ispirato al libro di Robert Edsel che ne narra le gesta, il film racconta infatti la storia di un piccolo gruppo di intellettuali che si dedicò al recupero delle opere d'arte rubate dai tedeschi mentre le truppe alleate avanzavano nel cuore del continente. Il fatto che i protagonisti non siano più giovanissimi (e, viste le loro professioni, non abbiano mai tenuto un'arma in mano) ma vengano comunque inquadrati nell'esercito favorisce il tono di commedia che, diffuso nella prima parte, si mantiene, malgrado lo sfondo tragico, lungo tutta la pellicola, favorito dalla capacità degli attori di affrontare ruoli in cui il registro brillante prevale su quello drammatico. Ben presto, i Monuments Men si dividono in coppie, fra le quali il regista tiene per sè quella che meno si fa notare (anche se la sua parte è quella del loro capo, Fred Stokes): in ordine crescente di efficacia, Damon va nella capitale francese a cercare informazioni presso la diffidente Blanchett, Dujardin e il sempre ottimo Goodman hanno la tendenza a ficcarsi tra i guai (cioè tra le pallottole), gli irresistibili Bill Murray e Bob Balaban iniziano da cane e gatto e finiscono per apprezzarsi a vicenda (e, anche in questo caso, non si può dire che uno non se l'aspetti). Il cast ben assortito e fatto di solidi professionisti è uno dei pregi della pellicola che, in fondo, fa trascorrere due ore senza troppi pensieri celebrando comunque uomini che hanno rischiato in proprio perchè gli strascichi della seconda guerra mondiale fossero anche solo un po' meno dolorosi. Il buon intrattenimento, però, non fa per forza il bel film e bisogna dire che, con 'Monuments men', Clooney dà vita alla sua regia meno convincente: non è un fatto di vecchio stile o di sviluppo più che prevedibile, ma di uno svolgimento a volte un po' didascalico e lento (specie nella prima parte) che non sempre sa sfruttare appieno anche i momenti più interessanti. Questo vale sia per gli spunti umoristici - il pessimo francese del personaggio di Damon parte bene, ma poi lasciato cadere troppo presto - sia per quelli seri, come l'incontro della coppia Murray/Balaban con lo spaurito soldato tedesco o l'improbabile situazione che porta alla morte di Clermont/Dujardin. A parte qualche bello sprazzo – la notte di Natale nelle Ardenne, la morte di Jeffries/Hugh Bonneville - la conseguenza è una certa piattezza emotiva, con lo spettatore che, malgrado i frequenti pistolotti sparsi lungo le due ore di durata, fatica a farsi coinvolgere dalla narrazione persino nei momenti che dovrebbero essere clou, come, ad esempio, il ritrovamento della ‘Madonna di Bruges’ di Michelangelo: malgrado il budget non indifferente, ‘Monuments men’, pur non facendo rimpiangere i soldi spesi per il biglietto, si rivela così un’occasione sprecata.
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wounded knee
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giovedì 20 febbraio 2014
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molte star e poca sostanza
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Da un insieme di star ci si aspetta sempre un prodotto di levatura assoluta; molte volte però si resta disillusi. Questo è uno di quei casi. La storia di per se è particolare, se poi ci mettiamo che è tratta da una storia vera, gli ingredienti ci sarebbero tutti, per una buona riuscita. In realtà il film è quasi caotico a livello di montaggio, non mi rendevo conto dei passaggi temporali, se non dopo un po che cambiava location. I fatti scorrono con una superficialità descrittiva a dir poco disarmante. C'è un tentativo di introdurre un minimo di storia più umana, a Parigi; ma anche lì, la cosa si risolve con pochi fotogrammi, senza un minimo di introspezione. Il coinvolgimento empatico risulta essere nell'insieme mediocre.
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Da un insieme di star ci si aspetta sempre un prodotto di levatura assoluta; molte volte però si resta disillusi. Questo è uno di quei casi. La storia di per se è particolare, se poi ci mettiamo che è tratta da una storia vera, gli ingredienti ci sarebbero tutti, per una buona riuscita. In realtà il film è quasi caotico a livello di montaggio, non mi rendevo conto dei passaggi temporali, se non dopo un po che cambiava location. I fatti scorrono con una superficialità descrittiva a dir poco disarmante. C'è un tentativo di introdurre un minimo di storia più umana, a Parigi; ma anche lì, la cosa si risolve con pochi fotogrammi, senza un minimo di introspezione. Il coinvolgimento empatico risulta essere nell'insieme mediocre. L'unico momento più coinvolgente, dal punto di vista umano, è nella scena dello smascheramento dell'ufficiale nazista in "incognito". In occasione dell'uccisione del primo componente la squadra, sembra quasi che non sia successo, in quanto l'ufficiale nazista (colpito), se ne va senza che nessun altro ritorni a vedere chi abbia sparato. Buona l'interpretazione dei personaggi e buona la fotografia, per il resto però è un film da "archiviare" senza che possa lasciare tante tracce. Ottimo il battage pubblicitario...
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vezzali
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lunedì 24 febbraio 2014
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il parto della montagna
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"Monuments Men" aveva tutti gli ingredienti per diventare uno dei classici hollywoodiani nel miglior senso della parola, di quelli che intrattengono senza dimenticare di trasmettere valori o almeno un pensiero: aveva un'idea brillante iniziale (uomini al fronte una volta tanto non per distruggere, ma per tramandare il meglio della creatività umana ai posteri), aveva un grande cast (ma c'era proprio bisogno di scomodare Cate Blanchett??), aveva un budget sontuoso. Però la produzione si è dimenticata di un piccolo particolare: serviva un regista (che magari desse qualche piccola scossa anche all'encefalogramma dello sceneggiatore). Come nelle "Idi di marzo", ancora una volta Clooney è non solo piatto e incapace di trasmettere una sola emozione (neppure con le canzoncine di Natale incise dai familiari per i cari eroici e lontani), ma anche ambiguo ideologicamente, perché con tutti i suoi sbandieramenti "di sinistra" ci riesce a regalare il suo guizzo più "spiritoso" facendo una pernacchia ai russi barbari e cattivi in piena tradizione better dead than red.
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"Monuments Men" aveva tutti gli ingredienti per diventare uno dei classici hollywoodiani nel miglior senso della parola, di quelli che intrattengono senza dimenticare di trasmettere valori o almeno un pensiero: aveva un'idea brillante iniziale (uomini al fronte una volta tanto non per distruggere, ma per tramandare il meglio della creatività umana ai posteri), aveva un grande cast (ma c'era proprio bisogno di scomodare Cate Blanchett??), aveva un budget sontuoso. Però la produzione si è dimenticata di un piccolo particolare: serviva un regista (che magari desse qualche piccola scossa anche all'encefalogramma dello sceneggiatore). Come nelle "Idi di marzo", ancora una volta Clooney è non solo piatto e incapace di trasmettere una sola emozione (neppure con le canzoncine di Natale incise dai familiari per i cari eroici e lontani), ma anche ambiguo ideologicamente, perché con tutti i suoi sbandieramenti "di sinistra" ci riesce a regalare il suo guizzo più "spiritoso" facendo una pernacchia ai russi barbari e cattivi in piena tradizione better dead than red. Se il parto delle cave tedesche è stato nientepopodimeno che una madonna di Michelangelo, il parto di questa pellicola è il classico topolino del motto.
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jaylee
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domenica 2 marzo 2014
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la battaglia più importante
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George Clooney, uno degli artisti di Hollywood più influenti degli ultimi dieci anni, ci propone la storia di una corpo speciale nell'Esercito USA che, negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, ebbe il compito di recuperare le opere d'arte trafugate dai Nazisti (ed evitare che se successivamente se le portassero via i Sovietici).
Frank Stokes (Clooney) metterà insieme dunque un improbabile team di curatori di museo (M. Damon), architetti (B. Murray e J. Goodman), critici e professori d'arte (B. Balaban, J. Dujardin e H. Bonneville), tutti piuttosto attempati e con virtualmente zero esperienza in ambito militare; ma con una missione per la quale più di uno di loro pagherà con la vita: salvare la memoria della nostra civiltà attraverso le espressioni di arte che ne rappresentano il punto più alto.
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George Clooney, uno degli artisti di Hollywood più influenti degli ultimi dieci anni, ci propone la storia di una corpo speciale nell'Esercito USA che, negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, ebbe il compito di recuperare le opere d'arte trafugate dai Nazisti (ed evitare che se successivamente se le portassero via i Sovietici).
Frank Stokes (Clooney) metterà insieme dunque un improbabile team di curatori di museo (M. Damon), architetti (B. Murray e J. Goodman), critici e professori d'arte (B. Balaban, J. Dujardin e H. Bonneville), tutti piuttosto attempati e con virtualmente zero esperienza in ambito militare; ma con una missione per la quale più di uno di loro pagherà con la vita: salvare la memoria della nostra civiltà attraverso le espressioni di arte che ne rappresentano il punto più alto. E quando il Presidente Truman, che erediterà dal suo predecessore Roosevelt la missione, chiederà a Stokes se un'opera d'arte vale una vita umana, lo stesso Stokes cambierà idea rispetto a quanto diceva lui stesso: l'arte è il riscatto di una civiltá umana che rischia continuamente di sprofondare nella barbarie (e mai come in quel momento) e se qualcosa rimarrà degno di essere ricordato da chiunque verrà dopo di noi, allora vale la pena combattere ad ogni costo la battaglia per assicurarci che quel qualcosa di veramente eterno sopravviva alla nostra mortalità.
Facile immaginare come il buon George sia rimiasto affascinato da questa storia, per di più abbinato ad un periodo storico a lui sicuramente congeniale (Intrigo a Berlino, La Sottile Linea Rossa, per non tacere di Good Night and Good, inizio anni '50), e dove gli USA combatterono una delle ultime guerre "romantiche" della storia. Peraltro, per mood e stile visivo, The Monuments Men, potrebbe benissimo essere un film dell'epoca d'oro di Hollywood, come Il Ponte sul Fiume Kwai, La Grande Fuga, Operazione Sottoveste... Non a caso i momenti migliori sono alcuni siparietti (in particolare il duo Murray-Balaban, che convincono un nazista a ritirarsi grazie a John Wayne (!), e smascherano Il gerarca Stahl con la sua collezione di Renoir e Cezanne appesi nel salotto...), tesi a sdrammatizzare una guerra che fu, in realtà, estremamente cruenta. Da questo punto di vista, ambientazioni, musica, immagini, tutto impeccabile.
Purtroppo, proprio questo stile retro, a volte propagandistico e pieno di troppi clichè, come i nazisti bidimensionali, la bandiera USA in barba ai sovietici, la quasi parentesi romantica tra la francese e l'americano, le musiche di Bing Crosby durante il natale al fronte,i costanti e a volte un pò stucchevoli riferimenti alla tragedia ebraica finiscono con indebolire parecchio un film, che sembra più alla fine un divertissment pieno di stelle (e non abbiamo citato Cate Blanchett, pure lei curiosamente un pò fuori parte) presenti per fare un favore al regista. Piccola curiosità: The Monuments Men sarebbe dovuto uscire per le festività natalizie, e in effetti il target sembrerebbe quello di un pubblico in cerca di buoni sentimenti e con poca voglia di qualcosa di realisticamente violento.
Mezzo passo falso per il Clooney regista che conferma (vedi In Amore Niente Regole) essere più a suo agio con sfumature più cupe e impegnate (Good Night and Good Luck, Le Idi di Marzo). Se volessimo fare un paragone in linea col film, più Vermeer e meno Monet, George... (www.versionekowalski.it)
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