Babadook

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Un film di Jennifer Kent. Con Essie Davis, Noah Wiseman, Daniel Henshall, Hayley McElhinney, Barbara West (II), Benjamin Winspear, Cathy Adamek, Craig Behenna.
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Titolo originale Babadook. Horror, durata 95 min. - Australia 2014. - Koch Media uscita mercoledì 15 luglio 2015. - VM 14 - MYMONETRO Babadook * * * - - valutazione media: 3,45 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Chi ha paura di Babadook? Valutazione 4 stelle su cinque

di Pio Antonio Romano


Feedback: 209 | altri commenti e recensioni di Pio Antonio Romano
sabato 25 luglio 2015

La vita di Amelia consiste in una triste e stancante routine: lavorare all’ospizio con gli anziani – ormai abbandonate le ambizioni da scrittrice – e occuparsi del problematico figlio di sette anni Sam, che non le permette di vivere un attimo di tranquillità. Vedova a causa di un incidente stradale avvenuto in concomitanza alla nascita del bambino, la donna sembra non avere la forza per reagire e continua a trascinarsi nell’oblio; fin quando, un giorno, il piccolo Sam trova un libro intitolato “Mr. Babadook”…
 
Chiunque si dichiari appassionato di cinema horror non può negare di aver sentito nominare almeno una volta in questi mesi il nome “Babadook”, la creatura nata dalla penna dell’australiana Jennifer Kent alla sua opera prima. E’ tanto il rumore attorno a questo mostro e capirne il motivo non è per nulla difficile: l’atipicità.
 Babadook è un film horror bello perché atipico. E’ un film horror che, finalmente, dopo anni di pellicole eccessivamente (e inutilmente) violente con storia tutte simili fra loro, propone qualcosa di diverso in modo diverso; e così si prediligono non gli effetti speciali, non le impennate sonore improvvise o le urla più forti, ma la storia, i personaggi, le loro caratterizzazioni sono il vero cuore pulsante dell’orrore. A Jennifer Kent non interessa mostrarci il mostro più terrificante, non le interessa farci sobbalzare dalla sedia con qualche repentina apparizione studiata a tavolino, ciò che vuole la talentuosa regista è ben altro, cioè raccontare una favola nera e vera.
Ci riesce? Assolutamente sì.
Babadook non è un film che mette paura, ma è un film che scuote, che impressiona. Ancora una volta il disturbo non è ricercato nelle immagini più raccapriccianti o negli scenari più sanguinosi, bensì nelle parole, nelle atmosfere, nei gesti, nella realtà. Si potrebbe azzardare nel dire che l’obiettivo prefissato sia un terrore psicologico alla Shining. E, ovviamente, seppur non consegua gli stessi risultati, riesce comunque a lasciare il suo segno.

Il Babadook, infatti, è una metafora del non-superamento della morte del marito da parte di Amelia, ostinata a restare ferma. Tutto quello che le succede, ciò in cui si trasforma, è una conseguenza del non riuscire a elaborare il lutto. E non a caso il film si apre proprio con la scena dell’incidente in macchina con il coniuge.
Sono passati sette anni, ormai, eppure Amelia non riesce ancora a relazionarsi con gli oggetti dell’uomo lasciati nel seminterrato, non riesce ancora a considerare la possibilità di un nuovo compagno – nonostante l’interesse di Robbie –, limitandosi nei suoi confini mentali e nei piaceri nascosti della masturbazione, come se questi fossero l’unico piacere che le è permesso provare.
E così il Babadook ha campo libero e può nutrirsi di lei, della sua debolezza umana, della sua paura di voltare pagina. Comincia, quindi, il lungo delirio della donna attraverso le allucinazioni in cui cerca di uccidere il figlio, le visioni di scarafaggi che pullulano ovunque (prima nella sua cucina, poi su lei stessa), i comportamenti inspiegabilmente crudeli e violenti (quando maltratta Sam o gli brandisce il coltello contro). Ma il Babadook non è soltanto allucinazioni e astrazione, al contrario è soprattutto realtà e concretezza: ecco, allora, comparire gli assistenti sociali o ancora l’allontanarsi da parte di chiunque nella sua vita (Claire su tutti).
Tuttavia, la cosa peggiore, ciò che realmente turba e scuote, resta che in fondo Amelia sa che il Babadook non sta inventando nulla: se il mostro è nato, l’ha fatto dal suo subconscio, dai suoi pensieri, da quel disprezzo malcelato per Sam nutrito già da qualche tempo, da quando è stata costretta a dire addio al marito. Eccolo, l’orrore vero, manifestatosi in una tetra esplosione di scomode verità e desideri repressi.
Non tutto, però, è perduto.

Quasi al termine del film, Amelia riesce a rigurgitare fuori (letteralmente) la presenza infima del mostro e ad aprire gli occhi; così, quando in teoria riesce a “sconfiggere” Babadook, intimandogli di uscire dalla sua casa, in realtà sta sconfiggendo il suo mostro interiore, cioè sta avviando pian piano quel processo di accettazione della perdita. Quella che potrebbe sembrare una scena priva d’inventiva (scaccia via il mostro semplicemente urlandogli contro), va vista, in realtà, da un punto di vista più intimo, personale, in altre parole da quello di una donna che si riappropria della sua vita. Lei stessa urla decisa: “Stai violando la mia casa”, volta a indicare un qualcosa, un ricordo che le sta logorando la vita – il ricordo di suo marito.
Il finale è stato spesso reputato parte debole del film, ma in realtà si dovrebbe considerare come il punto più alto: il mostro nel seminterrato è un parallelismo perfetto per rappresentare il dolore della perdita, perché un dolore come questo non può essere semplicemente eliminato o “sconfitto” dalla nostra vita, ma bisogna imparare a conviverci e a “domarlo” giorno per giorno. Proprio come fa Amelia con il Babadook, con il suo Babadook. (Lo dice la stessa tagline del film: “You can’t get rid of the Babadook”, mai come in questo caso perfetta!).
In uno dei momenti finali, Sam chiede alla madre se un giorno potrà mai vederlo e lei gli risponde che potrà farlo solo quando sarà più grande. Se non altro i bambini non affrontano la morte come gli adulti, è qualcosa che s’impara a fare soltanto quando si cresce. E’ qualcosa che Amelia impara a fare prima che sia troppo tardi, riprendendosi la sua vittoria dopo un’infinita serie di rinnegazioni e sconfitte.
 
Alla domanda, dunque, “chi ha paura di Babadook?”, la risposta dovrebbe essere “tutti”, perché in ognuno di noi si nasconde, in profondità, qualcosa con cui non riusciamo a venire a patti, qualcosa che non abbiamo ancora risolto, magari perché ne abbiamo troppa paura. Ed è quello il nostro intimo e raccapricciante Babadook.

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rustin mercoledì 20 luglio 2016
colto il segno.
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Sono pienamente d'accordo con la recensione , anch'io ho dato all'opera questa chiave di lettura. Credo sia la più ragionevole e quella che rende questo film non un banale horror ma qualcosa di più complesso e di qualitativamente superiore alla media.

[+] :) (di pio antonio romano )
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