L'arte della fuga |
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Un film di Brice Cauvin.
Con Laurent Lafitte, Agnès Jaoui, Benjamin Biolay, Nicolas Bedos.
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Titolo originale L'art de la fugue.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 100 min.
- Francia 2014.
- Kitchen Film
uscita giovedì 31 maggio 2018.
MYMONETRO
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di cardclauFeedback: 10993 | altri commenti e recensioni di cardclau |
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martedì 12 giugno 2018 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
All'inizio del film, graziosamente, l'impavido regista Brice Cauvin ci informa che la storia è liberamente derivata da un libro, l'arte della fuga, di un autore "non mi ricordo più come si chiama". Ma durante il film, e nel suo proseguo, non sono riuscito a liberarmi dal pensiero che "L'arte della fuga" è il capolavoro della maturità di Johann Sebastian Bach, Die Kunst der Fuge BWV 1080, costituito da quattordici fughe, indicate come “contrapunctus”, sovrapposizioni di melodie diverse, tra le più complesse che siano mai state composte. Forse è rimasta incompiuta per il sopraggiungere della morte dell'inarrivabile, e ormai cieco, compositore. Ma per dirla alla Di Pietro, cosa ci azzecca il film di Brice Cauvin col capolavoro bachiano? Certo il nome non può essere stato scelto con approssimativa e discordante superficialità. Ci deve essere un nesso … e il nesso si trova (forse solo qui) nella complessità dell’articolazione della polifonia del racconto, dove la nevrosi familiare, per quanto una dissonanza a molte voci, in un mirabile, ma sofferente e reiterato equilibrio, sconvolge la famiglia attempata, che resiste imperterrita alla necessaria separazione, le relazioni che i genitori hanno con i figli, e i figli col mondo. Il tutto in una estrema modernità. Per dirla come l’incipit di Anna Karenina di Lev Tolsoj: Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice é infelice a suo modo. O per riprendere uno degli assiomi della scuola di Palo Alto in California (Gregory Bateson, Paul Watzlavick. …): la regola prima è il principio dell’omeostasi, il sistema c’è la mette tutta per rimanere quello che è, per non cambiare mai. Il film ci aiuta a riflettere potentemente sulla via del non ritorno quando si esprime, come spesso succede nella nostra società civile ed evoluta, una patologia familiare, apparentemente compensata. La coppia genitoriale appare indistruttibile, anche se la moglie in un raro momento di lucidità argomenta tra rimpianto e rimorso, ma non è certo l’amore che li ha tenuti legati (come ammette). La madre scarica sui figli, specie sul maggiore Gérard (disoccupato, con un divorzio all’orizzonte) una serie di potenti insoddisfazioni, con un andamento dal ritmo costantemente ripetuto. Il secondo Antoine è un omosessuale inquieto: una relazione stabile sembra atterrirlo. Il terzo Louis, tanto belloccio quanto narcisista, non vede ovviamente che sé stesso. E il padre? Il padre è un padre assente, capace solo di sbraitare reiterando le sue povere ma inattaccabili fantasie, e lascia i figli in pasto alla madre senza neanche il tentativo di arginarla, di contenerla. Probabilmente non conosce assolutamente cosa sia essere virile, e non conoscendolo, non può cercare di insegnarlo ai suoi figli.
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