gordiano
|
martedì 22 luglio 2014
|
un grande film d'autore
|
|
|
|
Il seminarista è un film d'autore in senso pieno, non solo perché il regista è autore di soggetto, sceneggiatura (con la collaborazione di Ugo Chiti) e montaggio, ma soprattutto perché la materia narrata è intensa, realistica, filologicamente corretta e storicamente ben documentata. Romanzo di formazione - ché di questo si tratta - di un prete mancato, racconto commosso di un'infanzia e di un'adolescenza passata in seminario, insieme a un gruppo di amici che hanno condiviso la sua vita.
Guido, professore in un liceo di Prato, un bel giorno si sofferma a guardare la sua infanzia da una fessura che dà sul cortile del seminario. Apprezzabile l'escamotage della fotografia a colori che diventa bianco e nero non appena si racconta il passato, come è interessante la dissolvenza stemperata che riporta il protagonista ai giorni di bambino.
[+]
Il seminarista è un film d'autore in senso pieno, non solo perché il regista è autore di soggetto, sceneggiatura (con la collaborazione di Ugo Chiti) e montaggio, ma soprattutto perché la materia narrata è intensa, realistica, filologicamente corretta e storicamente ben documentata. Romanzo di formazione - ché di questo si tratta - di un prete mancato, racconto commosso di un'infanzia e di un'adolescenza passata in seminario, insieme a un gruppo di amici che hanno condiviso la sua vita.
Guido, professore in un liceo di Prato, un bel giorno si sofferma a guardare la sua infanzia da una fessura che dà sul cortile del seminario. Apprezzabile l'escamotage della fotografia a colori che diventa bianco e nero non appena si racconta il passato, come è interessante la dissolvenza stemperata che riporta il protagonista ai giorni di bambino. Bravo Andrea Locatelli che realizza una fotografia esente da pecche, dai toni cangianti, a tratti caldi e avvolgenti, ma in certe situazioni freddi e cupi. Il film procede come un lungo flashback bergmaniano nel quale Guido ritorna bambino di dieci anni per mano a sua madre che l'accompagna in seminario mentre in sottofondo scorrono le note di Ciao ciao bambina. Il regista descrive la vita in seminario con dovizia di particolari, l'amicizia cameratesca tra i ragazzi, gli sfottò al pugliese (chiamato marocchino per il colore scuro della pelle), il più povero di tutti, la bontà di Sandro, destinato a morire, la ribellione di Guido (detto ritrosa). I bambini sono molto bravi, così come lo sono gli attori adolescenti e adulti - per niente noti ma ben calati nella parte - recitano in un fiorentino spontaneo, comprensibile e privo di eccessi. Vediamo la ricorrenza del due novembre, i racconti dei morti, la mensa dove se non si mangia si viene puniti, i castighi imposti per inezie, i preti retrogradi e i sacerdoti progressisti, persino gli insegnanti pedofili. La ricostruzione d'epoca anni Sessanta è straordinaria: auto, biciclette, moto, abbigliamento, persino paste, figurine dei calciatori; il tono è malinconico, persino triste, toccante quando muore uno dei ragazzi. Proustiano nella ricerca del tempo perduto, molto Giovane Holden in tante sequenze, con una spruzzatina de Il posto delle fragole, che ci sta sempre bene. Un film che parla di solidarietà tra ragazzi, di scoperta dell'amore, di cinema che cambia con il passare degli anni, di una Chiesa che si macchia di assurdi peccati ma poi li nasconde, di una speranza riposta in chi mette l'amore al primo posto. Notevole la scena della proiezione in seminario de La magnifica preda (1954) di Otto Preminger, con il preside che cerca in ogni modo di nascondere le grazie procaci di Marilyne Monroe. La dolce vita è un film immorale e il cinema un pericolo, per la Chiesa oscurantista, al punto che i ragazzi sono obbligati a chinare la testa davanti al Politeama di Prato quando in cartellone c'è Non perdiamo la testa con Ugo Tognazzi. Il regista racconta la formazione umana di Guido, che fuma e s'innamora come tutti gli adolescenti, fino a quando - deluso dai superiori e sconcertato per la morte dell'amico - si abbandona al sentimento terreno per Giulia e decide di uscire dal seminario. In definitiva il regista lancia un messaggio religioso molto coraggioso: "Ci sono modi diversi e opposti d'intendere il Vangelo. Bisogna pensare con la propria testa e non farsi mettere il lucchetto ai propri pensieri", come dice il bibliotecario ribelle vicino alle idee di Don Milani.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a gordiano »
[ - ] lascia un commento a gordiano »
|
|
d'accordo? |
|
angelo umana
|
martedì 2 settembre 2014
|
sinite parvulos venire ad me
|
|
|
|
Film di ricordi ben ritenuti, scolpiti nella memoria data l’età in cui l’educazione in seminario si compie, tra i 10 e i 18 anni presumibilmente. Scolpiti così bene che il regista Gabriele Cecconi, sceneggiatore insieme con Ugo Chiti, sembra aver vissuto quell’età ed esperienza e ha scritto questo suo primo lungometraggio con un certo rigore storico, concedendo qualcosa all’amarcord e alla critica della struttura del seminario insieme. Guido, oggi professore, rivede da una fessura tra il cancello e il muro – e dal colore dell’attualità passa al bianco e nero dei ricordi anni 50 – il cortile che riecheggia le voci dei suoi compagni di seminario, ragazzi adolescenti per i quali quella scelta aveva le motivazioni più diverse: il prete della parrocchia che aveva “visto” in loro la vocazione o “la chiamata del Signore”, il ragazzo a cui il prete sull’altare sembrava l’uomo più importante del mondo e, forse la più importante e diffusa, il poter studiare senza spese per la famiglia.
[+]
Film di ricordi ben ritenuti, scolpiti nella memoria data l’età in cui l’educazione in seminario si compie, tra i 10 e i 18 anni presumibilmente. Scolpiti così bene che il regista Gabriele Cecconi, sceneggiatore insieme con Ugo Chiti, sembra aver vissuto quell’età ed esperienza e ha scritto questo suo primo lungometraggio con un certo rigore storico, concedendo qualcosa all’amarcord e alla critica della struttura del seminario insieme. Guido, oggi professore, rivede da una fessura tra il cancello e il muro – e dal colore dell’attualità passa al bianco e nero dei ricordi anni 50 – il cortile che riecheggia le voci dei suoi compagni di seminario, ragazzi adolescenti per i quali quella scelta aveva le motivazioni più diverse: il prete della parrocchia che aveva “visto” in loro la vocazione o “la chiamata del Signore”, il ragazzo a cui il prete sull’altare sembrava l’uomo più importante del mondo e, forse la più importante e diffusa, il poter studiare senza spese per la famiglia.
E’ abnorme la distanza tra la vita di quei ragazzini e la disciplina che quell’educazione imponeva. Essi erano naturalmente dediti ai giochi della loro età: il calcio e il gioco delle biglie in cortile, il commercio di figurine di calciatori o di santini, presto soppiantate da quelle dei calendarietti profumati dei parrucchieri, con donne discinte. In camerata i pantaloni si potevano abbassare per mettersi a letto solo dopo che le luci venivano spente, col prefetto che sentinellava ancora un po’, via i calzettoni contro il freddo a letto perché un seminarista doveva saper sopportare quel sacrificio, evitare di toccare certe parti del corpo facendosi la doccia, usare come antidoto ai “pensieri cattivi” l’idea che quei corpi femminili visti sulle locandine del cinema sarebbero poi marciti, non idealizzare la vita di fuori – molte sono parole del padre spirituale o direttore del seminario, nel film – perché la vera felicità era solo là dentro, la virtù che consisteva nella rinuncia, il latino da studiare in quinta elementare perché quella era la lingua ufficiale in Vaticano, i 100 Pater Ave Gloria di penitenza alla confessione. Ancora più lontano dalla concezione dei ragazzi era che le verità della Chiesa sono per sempre, proprio perciò essa non cambia(-va) opinione da 2000 anni e che uno dei suoi scopi era la conversione della Russia, perché mai s’erano date persecuzioni così crudeli come quella comunista (… fatte salve le Crociate di “Dio lo vuole”, forse, ndr). Don Milani che affrontava questioni vitali per la gente comune passò per un sovversivo, da allontanare (e chissà se don Andrea Gallo verrà presto dimenticato dalla Chiesa oggi o se invece verrà fatto santo, insieme a tanti altri preti di strada attuali, “con su le maniche”, ndr).
La fessura tra il cancello e il muro di cinta e le occhiate in chiesa diventarono però per Guido la strada per arrivare a Giulia: sarebbe stato un peccato che i desideri di quei ragazzi venissero mortificati al punto di negarsi la conoscenza del mondo fuori o liberarsi "dai peccati e da ogni turbamento”. Quando i ragazzi uscivano in passeggiata, sorvegliati dal prefetto, le locandine del cinema erano fonte di tentazione, si dava “Non perdiamo la testa” con Ugo Tognazzi e “La dolce vita” allora, ma il padre spirituale la correggeva in vita dissoluta, e lui stesso copriva con la mano davanti al proiettore il corpo in giarrettiere di Marilyn Monroe ne “La magnifica preda” del 1954. In fondo si può affermare che quelle discipline, gli “ordini superiori”, il silenzio sui fatti, il nascondere, sopire, celare erano intrisi di violenza, di negazione di normali ragionamenti che i ragazzi crescendo potevano farsi (Guido non riusciva a spiegarsi ad esempio perché, comunque lui avesse deciso, se per Giulia o per proseguire gli studi teologici, avrebbe dovuto tradire qualcuno). Quando Guido dall’esterno del muro vede il cortile alla fine del film vi sono due preti giovani in bianco e nero che gli sorridono, forse due ex compagni, erano queste le percentuali di riuscita di queste vocazioni, due su tante decine. Giovanni Papini 100 anni fa scriveva: “Diffidiamo de' casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme, Manicomi, Scuole, Ministeri, Conventi”.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a angelo umana »
[ - ] lascia un commento a angelo umana »
|
|
d'accordo? |
|
|