luxlux
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venerdì 10 gennaio 2014
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intelligente e moderno
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Virzì ha fatto centro, invito gli spettatori a non perdersi forse l'unico film italiano degno di attenzione in questo momento e lasciar perdere le critiche uscite sui giornali: la profndità dei temi è l'attualità si mescolano in un film intenso e ben diretto e recitato.
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sergio dal maso
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mercoledì 17 giugno 2015
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il capitale disumano
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“Ci siamo giocati tutto, anche il futuro dei nostri figli... e adesso, finalmente, ci godiamo quello che ci spetta” Dino Ossola
Colline della ricca provincia brianzola, non lontano da Milano. Notte della vigilia di Natale.
Un cameriere stanco e infreddolito torna a casa in bicicletta per le strade strette e deserte. Sopraggiunge un SUV a forte velocità che lo investe e, dopo una breve esitazione, scappa senza soccorrerlo.
L’incidente stradale è il punto di partenza della storia, il cuore “noir” attorno al quale si intrecciano le vicende dei diversi protagonisti, principalmente due famiglie: quella ricchissima di Giovanni Bernaschi, cinico squalo della finanza, senza scrupoli né sentimenti, e quella di Dino Ossola, agente immobiliare in crisi economica, spavaldo e cialtrone.
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“Ci siamo giocati tutto, anche il futuro dei nostri figli... e adesso, finalmente, ci godiamo quello che ci spetta” Dino Ossola
Colline della ricca provincia brianzola, non lontano da Milano. Notte della vigilia di Natale.
Un cameriere stanco e infreddolito torna a casa in bicicletta per le strade strette e deserte. Sopraggiunge un SUV a forte velocità che lo investe e, dopo una breve esitazione, scappa senza soccorrerlo.
L’incidente stradale è il punto di partenza della storia, il cuore “noir” attorno al quale si intrecciano le vicende dei diversi protagonisti, principalmente due famiglie: quella ricchissima di Giovanni Bernaschi, cinico squalo della finanza, senza scrupoli né sentimenti, e quella di Dino Ossola, agente immobiliare in crisi economica, spavaldo e cialtrone. A unire le due famiglie è il fidanzamento, peraltro in crisi, tra Massimiliano, rampollo viziato e immaturo, e Serena, la figlia di Dino. Quella de Il capitale umano è una storia spietata e crudele, dove tutti vivono la propria crisi, interiore o sociale, fingendo e mentendo, prima di tutto a se stessi, incapaci di relazionarsi con gli altri con sincerità e onestà. Se la viscida meschinità di Dino e la glaciale arroganza di Giovanni non ammettono una possibilità di riscatto, non meno malinconiche e problematiche sono le figure delle consorti. Da una parte Carla, ex attrice di provincia, annoiata e frustrata da una vita vuota fatta di antiquariato etnico ed estetista. Dall’altra parte Roberta, compagna di Dino, psicologa nelle strutture pubbliche, incinta di due gemelli, forse per questo incapace di capire i drammi che stanno vivendo i suoi famigliari. Il film è strutturato in quattro capitoli “circolari” che raccontano, cioè, la stessa vicenda da un diverso punto di vista, ripartendo ogni volta dall’arrivo dell’Audi di Dino Ossola alla villa dei Bernaschi. E’ una complessa ma efficacissima struttura a spirale, che ad ogni giro aggiunge particolari e mette a fuoco con maggior precisione la psicologia dei personaggi e le dinamiche con cui si è intrecciata la storia.
Nel primo capitolo il punto di vista è quello Dino, con la sua ridicola ambizione di entrare, speculando nella finanza, nel mondo dei ricchi, dei vincenti. Il secondo il regista Virzì lo affida allo sguardo di Carla, una donna in crisi e fragile, consapevole della banalità della sua vita ma senza la forza di ribellarsi fino in fondo. Tenterà un riscatto cercando di far restaurare e rilanciare un teatro abbandonato ma tornerà mestamente a recitare il ruolo che ha accettato sposando Bernaschi. Il terzo sguardo è quello di Serena, la figlia di Dino, forse l’unica figura positiva del film, l’unica capace di mettere i sentimenti e l’affetto davanti a tutto e di riprendere in mano la sua vita, determinata a cambiarla radicalmente. Nel quarto e ultimo capitolo il regista tira finalmente le fila delle “diverse storie” e racconta i fatti come sono accaduti, rivelando la verità sull’incidente.
Paolo Virzì ha realizzato senza dubbio il suo capolavoro. Il cineasta livornese ha abbandonato la commedia graffiante e finemente popolare che ha caratterizzato tutta la sua filmografia per cimentarsi in un thriller drammatico, dai toni noir. Forse era necessario, raccontare i vizi italici del giorno d’oggi con il sarcasmo e il sorriso è sempre più difficile. Il capitale umanoè un affresco amaro di un paese abbruttito e avvitato su se stesso, stanco e disilluso, incapace di credere in un riscatto, in un futuro migliore. Bloccato non tanto, o non solo, dalla drammatica crisi economica ma anche da una crisi etica e culturale.
Con una lucida capacità introspettiva Virzì accompagna lo spettatore dentro la psicologia dei personaggi, ma non li condanna né li giudica, lasciando a noi questo compito. Forse per questo è un film che ci scuote e ci indigna.
Buona parte del merito del grande successo ottenuto va attribuito a un cast grandioso, che il regista, come sempre, ha saputo far rendere al massimo. Difficile scegliere tra Fabrizio Bentivoglio e Fabrizio Gifuni, o tra Valeria Golino e Valeria Bruni Tedeschi, tutti eccellenti. Notevoli anche gli attori più giovani, per esempio l’esordiente Matilde Gioli che interpreta Serena, una vera sorpresa. Il finale lascia gli spettatori storditi e sgomenti. E’ proprio tutto marcio e irrecuperabile? Forse no. Se da una parte c’è una classe dirigente che “ha scommesso sulla rovina di questa Paese e ha vinto”, scegliendo il successo personale e i soldi facili, senza preoccuparsi del futuro, dall’altra c’è ancora una speranza: le nuove generazioni che non hanno perso la fiducia, come Serena, capace di andare controcorrente con caparbietà.
Persone che, malgrado tutto, sanno ancora distinguere il vero capitale umano da quello economico.
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gerardo monizza
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venerdì 10 gennaio 2014
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mentire per accumulare
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Il capitale umano di Paolo Virzì [Mentire]
Inventare per fingere dunque mentire. È ciò che fanno tutti ne “Il capitale umano” (2013, regia di Paolo Virzì) e – con metodo - ingannano soprattutto se stessi.
In una non detta località italiana (sarebbe Ornate, paese inventato ma collocabile nell’area lombarda, non precisamente briantea) i mentitori rappresentano la loro vita davanti a un pubblico sconcertante (finti amici, colleghi opportunisti, famiglie incasinate, giovani senza speranza, finanzieri d’assalto, investitori creduloni) che conosce i trucchi del mestiere eppure si fa coinvolgere cercando di trarre profitto.
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Il capitale umano di Paolo Virzì [Mentire]
Inventare per fingere dunque mentire. È ciò che fanno tutti ne “Il capitale umano” (2013, regia di Paolo Virzì) e – con metodo - ingannano soprattutto se stessi.
In una non detta località italiana (sarebbe Ornate, paese inventato ma collocabile nell’area lombarda, non precisamente briantea) i mentitori rappresentano la loro vita davanti a un pubblico sconcertante (finti amici, colleghi opportunisti, famiglie incasinate, giovani senza speranza, finanzieri d’assalto, investitori creduloni) che conosce i trucchi del mestiere eppure si fa coinvolgere cercando di trarre profitto. Ecco: il profitto è lo scopo di chi mente.
Giovanni è un finanziere senza scrupoli (Fabrizio Gifuni arrogante ed elegante pirata) specula con un fondo d’investimento di cui conosce benissimo i limiti, ma che finge produttivo. Coinvolge uno sciocco agente immobiliare, Dino, votato al fallimento (Fabrizio Bentivoglio spaccone, arrivista, inconcludente. Personaggio al limite della macchietta dialettal lombarda, esagerato baüscia) e lo porterà alla rovina.
Carla, la moglie del finanziere, è una donna senza passato, senza presente, quasi senza futuro: sofferente e incapace di stare nella realtà del suo finto mondo dorato, ricco, eccessivo (Valeria Bruni Tedeschi nevrotica e dolente, notevole interprete). La donna capita per caso davanti ad un teatro abbandonato (nella realtà è il Politeama di Como, effettivamente chiuso da dieci anni, in attesa di identità) e decide di finanziarne la rinascita (coi soldi del marito che lo compra e glielo regala).
Roberta è la moglie dell’agente immobiliare è una sensibile psicologa che si occupa di drogati (Valeria Golino, deliziosa); la figlia di Dino, Sara (un’esordiente brava e pregevole Matilde Gioli) dirigerà – inconsapevole – l’epilogo della vicenda.
Carlo e Dino fingono un’amicizia sostenuta solo dall’interesse reciproco a concludere affari, ma che presto crolla insieme alle illusioni speculative; Carla mente su presunte sue competenze teatrali, produttive, imprenditoriali (il neo consiglio di gestione del teatro è un piccolo capolavoro di cattiveria e il rappresentante leghista è proprio così…); presto si riveleranno inesistenti. Inoltre, crollando il fondo d’investimento Giovanni toglie il regalo alla moglie e progetta la riconversione del Politeama in edificio multifunzionale (abitazioni, supermercato, parcheggi).
La storia sembra banale (liberamente ispirata al romanzo omonimo di Stephen Amidon; sceneggiatura Paolo Virzì, Francesco Bruni, Francesco Piccolo), ma l’intreccio narrativo ne esalta l’anima grottesca e mette (giustamente) a disagio lo spettatore.
Paolo Virzì (regista di una decina di film) racconta quattro storie viste da altrettante angolature e solo l’insieme permetterà di comprendere la complessità e la crudeltà della vicenda. Tuttavia, mentre l’ambiente è descritto con precisione d’immagine (paesaggi, caseggiati, distruzioni, villoni, piscine, interni…) senza definire i luoghi, i personaggi restano figure di un teatrino tragico: volutamente e correttamente sono caratteri generici, adattabili ad ogni situazione o realtà. Perché tutti mentono.
Le tante vite si intrecciano, si legano e si disfano, quel che si dicono non è mai frutto di sincerità e saranno sconvolte per un accidente casuale: un incidente stradale capitato ad un cameriere la cui morte sarà il motivo dei conflitti e di quel poco di riscatto finale.
Sara, la figlia di Dino, cercherà di mentire per salvare un colpevole senza colpa, ma la sua compassione non servirà a nulla e solo dicendo (o lasciando sfuggire) un poco di verità la sua storia e quella del suo amore vero potrà dirsi conclusa. Dunque finale positivo? Affatto: perché la vittima inconsapevole, il cameriere investito e ucciso, sarà “valutato” al minimo. Il suo “capitale umano” ha il peso e il valore del nulla.
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sebastian13
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venerdì 10 gennaio 2014
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il neo realismo nel terzo millennio
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Paolo Virzi realizza con "Il capitale umano", probabilmente, il suo miglior film. Regista Entre les mures di fatto poliedrico nella rappresentazione del genere umano, passato dai personaggi positivi del "La prima cosa bella", altro film notevole, alla negatività assoluta di questi poveri cristi che hanno deciso di abdicare, coscientemente, alla volontà del grande fratello. Dalla famiglia dei Bernaschi, agli Ossola, nessuno si può dire innocente; per qualunque verso si guardino le diverse posizioni sociali, tra l'altro mentitrici verso gli altri e verso se stessi, non riusciamo a trovare un attimo di lucidità, ciascuno preso dalla sua rappresentazione.
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Paolo Virzi realizza con "Il capitale umano", probabilmente, il suo miglior film. Regista Entre les mures di fatto poliedrico nella rappresentazione del genere umano, passato dai personaggi positivi del "La prima cosa bella", altro film notevole, alla negatività assoluta di questi poveri cristi che hanno deciso di abdicare, coscientemente, alla volontà del grande fratello. Dalla famiglia dei Bernaschi, agli Ossola, nessuno si può dire innocente; per qualunque verso si guardino le diverse posizioni sociali, tra l'altro mentitrici verso gli altri e verso se stessi, non riusciamo a trovare un attimo di lucidità, ciascuno preso dalla sua rappresentazione. Ed è proprio per questa sua centralità, per questa sua negazione assoluta che possiamo oggi dirci innocenti, e quindi coscienti e responsabile di questi tempi decadenti, che il film può dirsi neo-realista: ogni personaggio si muove con una sua convinta autonomia senza sapere di essere un automa. Il film privo di inutili decorazioni (poteva essere in biano e nero), a-psicologico, rinuncia completamente alla morale, non impone pentimenti. Tutti i personaggi nel finale sono soddisfatti del raggiungimento del traguardo prefissato, proprio tutti, anche Luca Ambrosini che si ritrova in galera colpevole eppure innocente, assolto dall'ispettore, altro brutto personaggio, che invece voleva Massimiliano al suo posto. Da vedere assolutamente e pensare se per caso abbiamo giò raggiunto il punto di non ritorno.
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topinetti
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venerdì 10 gennaio 2014
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la verità
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A me è piaciuto. Parla di un'Italia contemporanea e per certi versi molto vera. Se qualcuno si è risentito , mi chiedo...perchè? Non sono veri certi personaggi? Forse è proprio perchè c'è tanta verità che alcuni si sono offesi.....
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maopar
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venerdì 27 marzo 2015
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virzi e il "magico gioco"del raccontare
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IL CAPITALE UMANO di Paolo Virzì Questo bellissimo film parla di una vicenda di cronaca raccontata intrecciando le storie e i profili dei personaggi ,narrate passo passo fino a svelare la realtà dei fatti , sorprendendo lo spettatore per l’inaspettata conclusione affatto scontata. Con la stessa sequenza di movenze di un abile esperto del gioco del “cubo magico” di Rubik,il regista Virzì intreccia con vari passaggi il racconto fino a completarne il “colore” e ,passando dalla storia di un personaggio all’altro ,con efficace tempistica si avvia alla soluzione della vicenda quando i “colori” del cubo sono ormai ben ordinati .
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IL CAPITALE UMANO di Paolo Virzì Questo bellissimo film parla di una vicenda di cronaca raccontata intrecciando le storie e i profili dei personaggi ,narrate passo passo fino a svelare la realtà dei fatti , sorprendendo lo spettatore per l’inaspettata conclusione affatto scontata. Con la stessa sequenza di movenze di un abile esperto del gioco del “cubo magico” di Rubik,il regista Virzì intreccia con vari passaggi il racconto fino a completarne il “colore” e ,passando dalla storia di un personaggio all’altro ,con efficace tempistica si avvia alla soluzione della vicenda quando i “colori” del cubo sono ormai ben ordinati . Durante Tutto questo andare avanti e indietro lo spettatore è portato a considerare e confrontare i comportamenti e le drammatiche decisioni dei vari personaggi che pressati dagli eventi incalzanti , continuamente alle prese con la loro coscienza ,assumono ” colorati” atteggiamenti di una “condotta morale” che costituisce il vero valore che conta nella vita.Un valore che impreziosisce le storie individuali, che nessuno potrà mai monetizzare , un “CAPITALE UMANO” che non ha prezzo ,che nessuna assicurazione potrà mai risarcire né tanto meno limitare un esorbitante richiesta di riscatto .
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michela siccardi
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venerdì 24 gennaio 2014
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la miseria è sempre benvestita
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La pellicola ci mostra con nitore l’homo oeconomicus contemporaneo: un uomo mosso da impulsi economici, guidato dalla ratio del profitto, moralmente desertificato. Avidità, finanza ed economia dettano le leggi del suo comportamento, i sentimenti, la scelta delle amicizie e del consorte.
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La pellicola ci mostra con nitore l’homo oeconomicus contemporaneo: un uomo mosso da impulsi economici, guidato dalla ratio del profitto, moralmente desertificato. Avidità, finanza ed economia dettano le leggi del suo comportamento, i sentimenti, la scelta delle amicizie e del consorte. Ci troviamo di fronte alla granitica rappresentazione di personaggi de-formati, fuori da una qualsivoglia forma umana, finanche immemori di un’era lontana in cui, forse, erano ancora persone. L’innocenza non è contemplata, siamo tutti colpevoli; colpevoli soprattutto gli innocenti, che per questo verranno puniti. Possediamo, ma soprattutto siamo posseduti. Lo squallore dell’apparenza non ha lasciato oasi inviolate, la miseria è pervasiva, la decadenza dilagante. La mediocrità si muove con eleganza, delinque raffinatamente; la bassezza si giova di una efficiente servitù. Le belle case sono dimora della degenerazione più bieca, le auto di lusso trasportano animi depravati e corrotti. L’opulenza camuffa, più o meno efficacemente, la deficienza dell’essere. Gli uomini rappresentati agiscono con la caratteristica autonomia degli automi, infelici attori di un teatro malato, ognuno col proprio ruolo, ognuno con la propria parte di bugie da raccontare al mondo. Nessuna maschera: il mostro mostra fiero il volto, convinto che il trucco sia tutto quello che si vede. La miseria è sempre benvestita, il fallito è un uomo di successo. Il luogo di ambientazione potrebbe essere ovunque, è un non-luogo; l’uomo-mostro potrebbe essere chiunque, è il non-uomo riflesso nel nostro specchio. Poche storie fantasiose, poca immaginazione, il film fornisce il dipinto tragicamente neorealista dell’uomo di oggi, il fermo-immagine di una collettiva depersonalizzazione. L’inclemente effigie (di più) di una generazione. Un vero e proprio horror ontologico. E, sardonico ludibrio, gli attori del dramma sono quelli al di là della pellicola, siamo noi, gli esseri monetizzati.
Nessun disgusto, nessuna condanna morale, solo un fedele ritratto dell’uomo-moneta, una impietosa raffigurazione del capitale umano.
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frontedelcinema
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domenica 12 gennaio 2014
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sublime.
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Sublime. Per sgombrare subito il campo dagli equivoci, non si tratta di “apparenze” come in “American Hustle”. Siamo decisamente fuori pista. Qui tutti i personaggi sono convinti di quello che fanno, eccetto le finzioni di cortesia, cui neanche noi alle volte possiamo sottrarci per non far del male a qualcuno.
L’accento verosimilmente è stato posto in maniera divina sull’incapacità di un’intera classe dirigente. Non si salva nessuno: dai genitori agli imprenditori, dalla polizia alla stampa. E’ questo lo spaccato di una società mal gestita: una fotografia cruda e potente di chi dovrebbe essere in grado di gestire i rapporti sociali, ma non sa neanche cosa siano.
Osserviamo una classe dirigente che genera continuamente errori su errori, al punto da farci scappare un morto.
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Sublime. Per sgombrare subito il campo dagli equivoci, non si tratta di “apparenze” come in “American Hustle”. Siamo decisamente fuori pista. Qui tutti i personaggi sono convinti di quello che fanno, eccetto le finzioni di cortesia, cui neanche noi alle volte possiamo sottrarci per non far del male a qualcuno.
L’accento verosimilmente è stato posto in maniera divina sull’incapacità di un’intera classe dirigente. Non si salva nessuno: dai genitori agli imprenditori, dalla polizia alla stampa. E’ questo lo spaccato di una società mal gestita: una fotografia cruda e potente di chi dovrebbe essere in grado di gestire i rapporti sociali, ma non sa neanche cosa siano.
Osserviamo una classe dirigente che genera continuamente errori su errori, al punto da farci scappare un morto. Chi osa sostenere che il morto è dipeso da un errore di gioventù, gli dico di vedere bene nei dettagli il film, perché, a parte l’assenza delle figure genitoriali nella cura del proprio figlio, se la madre fosse intervenuta in tempo, il morto non ci sarebbe scappato.
Analizzando tutti i dettagli del film, si ha la conferma dell’esistenza di un’intera generazione che fa ricadere i suoi errori più clamorosi sui figli. Ma forse questa è la vita, nella quale gli adulti creano inconsapevolmente il destino dei loro figli con i suoi difetti, ma anche con i suoi pregi, perché un vero amore è sbocciato, autentico e contro ogni logica, contro i genitori che non sanno fare i genitori, contro una polizia incapace di fare indagini, contro una stampa già pronta a condannare, contro ogni prigione, ogni sbarra.
Grandi gli attori nei loro ruoli: non sembrano recitare, sembrano i protagonisti di quell’ultimo filone di documentari che si fanno sulla strada. Per un attimo ho avuto la sensazione di assistere ad un documentario. Troppo vero, troppo bello.
Maurizio Torelli
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andyzerosettesette
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lunedì 13 gennaio 2014
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la rovina di questo paese secondo virzì
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Con Il capitale umano, Virzì conferma di essere a suo agio anche quando esce dal genere della commedia che finora gli è stato più congeniale. Già nel 2008 con Tutta la vita davanti, in quel caso puntando anche sul grottesco, si era spinto a una critica piuttosto decisa di alcuni meccanismi perversi della società contemporanea, nello specifico la precarietà del lavoro giovanile e la progressiva svalutazione sociale del lavoro intellettuale. In questo caso, confezionando un vero e proprio dramma a tinte noir di ambientazione alto-borghese, il regista livornese punta deciso il dito contro il cinismo e il vuoto di valori che caratterizzano alcuni tipi umani tutt'altro che infrequenti nell'Italia contemporanea, e in particolare nel mondo della finanza e in un contesto sociale upper class.
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Con Il capitale umano, Virzì conferma di essere a suo agio anche quando esce dal genere della commedia che finora gli è stato più congeniale. Già nel 2008 con Tutta la vita davanti, in quel caso puntando anche sul grottesco, si era spinto a una critica piuttosto decisa di alcuni meccanismi perversi della società contemporanea, nello specifico la precarietà del lavoro giovanile e la progressiva svalutazione sociale del lavoro intellettuale. In questo caso, confezionando un vero e proprio dramma a tinte noir di ambientazione alto-borghese, il regista livornese punta deciso il dito contro il cinismo e il vuoto di valori che caratterizzano alcuni tipi umani tutt'altro che infrequenti nell'Italia contemporanea, e in particolare nel mondo della finanza e in un contesto sociale upper class.
Nell'ambito di una sceneggiatura convincente e mai banale il cui punto forte è la scelta di mostrare la stessa storia vista dal punto di vista di tre diversi personaggi, e di un cast complessivamente di ottimo livello, Fabrizio Bentivoglio conferma il suo versatile talento interpretando Dino Ossola, un personaggio tragicomico che riassume in sè una gran quantità di stereotipi negativi spesso attirbuiti alla versione più cafona dell'italiano medio, in questo caso nella variante milanese: arrivista, ambizioso, parvenu, insensibile, mai autocritico, privo di scrupoli e soprattutto inconsapevolmente ridicolo, con una sorta di beffardo sorriso stampato sempre fuori luogo. Anche se con uno spazio decisamente minore, il personaggio femminile di Roberta, compagna di Ossola, ne è il contraltare essendo l'unico adulto "positivo" della storia.
Piace anche Fabrizio Gifuni, capace di usare anche una certa fisicità per costruire il carattere freddo e cinico di Giovanni Bernaschi, che mette il denaro, l'ambizione (e la difesa della reputazione familiare) in cima alla propria scala di valori, e lo fa con la naturalezza di chi si sta semplicemente adeguando alla posizione che ricopre nella società . A Valeria Bruni Tedeschi, abituata a interpretare donne borghesi fragili e instabili, il ruolo della tormentata Carla Bernaschi sembra decisamente cucito addosso: colta, sensibile, idealista e per questo in parte fuori posto nel mondo materialista dominato dalle logiche della finanza e del capitale in cui sguazza invece senza problemi il marito, a conti fatti però non riesce a rinunciare alla prigione dorata che si è costruita barattando i proprio ideali e le proprie aspirazioni con la sicurezza di far parte di una famiglia e di una classe sociale di successo. Non è un caso che venga messa in bocca al suo personaggio la frase, amara e in parte autocritica, che forse riassume il senso complessivo della storia, o almeno il suo collegamento con l'attualità dell'Italia al tempo della crisi: "Avete scommesso sulla rovina di questo paese, e avete vinto".
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gingerefred
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sabato 11 gennaio 2014
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l'uomo economico al tempo della crisi
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Il cinema senza autori come Virzì sarebbe destinato ad inaridirsi definitivamente come fonte di analisi e di rappresentazione della società contemporanea. A "Il capitale umano" bisogna riconoscere prima di tutto il merito di sapere emozionare senza privare lo spettatore di stimoli critici. Operazione da sempre acrobatica quella di avere "la botte piena e la moglie ubriaca" che il regista affronta con bravura e realismo. L'utilizzo del flsh-back viene ironicamente utilizzato come semplice espediente narrativo per raccontare a fondo i personaggi invece che al fine di rendere la trama più avvincente. Lo svolgimento della narrazione vera e propria sembra essere rimandato all'ultimo dei quattro capitoli in cui è diviso il film.
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Il cinema senza autori come Virzì sarebbe destinato ad inaridirsi definitivamente come fonte di analisi e di rappresentazione della società contemporanea. A "Il capitale umano" bisogna riconoscere prima di tutto il merito di sapere emozionare senza privare lo spettatore di stimoli critici. Operazione da sempre acrobatica quella di avere "la botte piena e la moglie ubriaca" che il regista affronta con bravura e realismo. L'utilizzo del flsh-back viene ironicamente utilizzato come semplice espediente narrativo per raccontare a fondo i personaggi invece che al fine di rendere la trama più avvincente. Lo svolgimento della narrazione vera e propria sembra essere rimandato all'ultimo dei quattro capitoli in cui è diviso il film. Prima di questo abbiamo assistito alla descrizione difficile, contradditoria e sofferta di tre protagonisti della vicenda. Virzì non ne fà delle macchiette (pur dovendo per ovvie ragioni espositive calcare oltremisura su degli aspetti che vanno a tipizzare i personaggi) ma ne rivela le spinte ideali, gli impulsi economici e i limiti umani così come si vanno affermando nell'attuale congiuntura economica. La bellezza del film sta tutta in questa disperata, sentita e raffinata descrizione degli umani impulsi come vanno o potrebbero diffondersi al tempo della crisi.
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