Titolo originale | Gitanistan |
Anno | 2014 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Italia |
Durata | 60 minuti |
Regia di | Pierluigi De Donno, Claudio Giagnotti, Gigi de Donno |
Tag | Da vedere 2014 |
Distribuzione | I Wonder Pictures |
MYmonetro | 3,19 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 9 giugno 2015
La storia familiare, quella di una società e quella di un territorio si intrecciano in un film sulla magia delle radici.
CONSIGLIATO SÌ
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Claudio Giagnotti, detto "Cavallo", è il cantante e leader della formazione salentina Mascarimirì, fondata col fratello Cosimo nel '98. Nella volontà di aprire la musica tradizionale della zona a sonorità più internazionali, Claudio - figlio di padre italiano e madre rom - intraprende una ricerca nelle sue origini familiari.
È quindi un'indagine prima di tutto autobiografica questo Gitanistan, che già dal titolo lancia il paradosso di dare una collocazione geografica precisa a gruppi di origine nomade. Ne ricostruisce l'insediamento nel territorio della provincia di Lecce, intersecando musica, lingua, storia e antropologia. Al tempo stesso è un progetto legato a un disco omonimo del 2011 dei Mascarimirì (in gitano è l'esclamazione "Oh Madonna mia"), concepito anche come mostra itinerante, sorretto da foto e video che riguardano le famiglie Giagnotti e Rinaldi: o meglio, gli antenati, arrivati nel leccese dalla fine dell'Ottocento, e gli attuali discendenti. Conosciamo così, tramite Cavallo - che già di per sé ha un carisma e un physique du role da attore, e non sfigurerebbe in una serie come i Soprano - lo zio Oronzo Rinaldi, figlio di Giuseppe "U Seppu", detto anche lo zingaro. Come molti suoi parenti, Oronzo si è reinventato macellaio equino, dopo il declino del commercio dei cavalli da lavoro e poi da macello. Attività che passava dal porto di Gallipoli, cui i rom erano impegnati fin dal loro arrivo nella zona, e che ancora oggi si svolge parlando la loro lingua. Insieme a loro, emergono piano piano anche altri membri delle famiglie, soprattutto il capostipite dei Rinaldi, Giuseppe, ricordato per la sua benevolenza e le ustioni riportate combattendo per l'Italia nella guerra coloniale in Africa. Ma anche una schiera di donne meno eclatanti, più esposte alla discriminazione rispetto agli uomini, eppure fondamentali nella gestione familiare nonché depositarie di una dignità antica.
Gitanistan è un accesso inedito, intimo, privilegiato nelle case e nelle vite di una comunità che rivendica orgogliosamente un passato di lavoro, indipendenza economica e socialità: oltre a questo, il dato più significativo è la sensazione di non appartenenza a nessuna delle due culture - né quella rom né quella italiana - delle generazioni più recenti, come quella di Claudio, alle quali è data la scelta di ereditare la tradizione o cercare un'altra professione.
Se l'elitarietà e la segretezza della lingua rom è voluta e dichiarata (anche Claudio la conosce superficialmente), avrebbero certo giovato al film i sottotitoli almeno nelle scene parlate in salentino. E anche se il montaggio lascia molto spazio al commercio dei cavalli e molto meno alle note storiche evidenziate dal press kit (per esempio, la questione dei cognomi italiani "concessi" ai rom dai nobili napoletani), Gitanistan incuriosisce e fa riflettere per l'approccio biografico, accorato e fiero con cui testimonia il pregiudizio subito nel nostro Paese: molto significativa a tal proposito la secca definizione data dalla moglie di Oronzo: "italiani core de cani", a cui segue, non commentato, un servizio di telegiornale sull'incendio doloso in un campo nomade.
Come ben esemplifica a livello musicale il singolo Balkanika Pizzicata (del cui videoclip il film riporta un estratto) ciò che preme comunicare a De Donno e Giagnotti è il valore della compresenza, di più culture nel rispetto reciproco, considerando l'appartenenza etnica come qualcosa che arricchisce, e non penalizza nessuno. Come quando, nei video amatoriali riportati in coda, alla festa tradizionale di San Rocco vediamo i ballerini e suonatori di pizzica convivere con le celebrazioni ecclesiastiche. Un'inclusione che può avvenire, nel piccolo paese del leccese come nel complesso sistema Europa e oltre i suoi confini, solo nella conoscenza delle diversità, e che film come questo aiutano a favorire.