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Perché riscrivere oggi un classico del cinema giapponese uscito nel 1959 (anche se Tsukamoto ha detto in un'intervista di aver fatto il film sulla spinta del testo letterario fonte del film di Kon Ichikawa, non sul film di quest'ultimo)? Risponde lo stesso regista, con disarmante semplicità: si agitano in questi ultimi tempi pericolosi e inquietanti cenni di guerre imminenti, forse qualcuno ha dimenticato quale grado di follia terrificante porti con sé una guerra! Da questa motivazione, nuda ed essenziale, nasce il film. E qui trova la sua piena ragione di vivere. Che poi Tsukamoto ci mostri il lato horror della guerra, ce lo aspettavamo, vista la sua filmografia. Ma va detto che lo fa benissimo, con agghiaccianti e movimentatissime scene di combattimento, con l'esibizione della disumanità progressiva di soldati immersi in una natura bellissima (volutamente sottolineata più volte con immagini quasi cartolinesche) capace di liberare all'improvviso colpi mortali per tutti. Il nemico non esiste, non si vede quasi mai. Ovvia conclusione: homo homini lupus, il nemico dell'uomo è l'uomo stesso, e il fatto che si arrivi al cannibalismo non può stupire, sembra consequenziale.
La differenza maggiore con il film di Ichikawa (e in film come questi svelare il finale non ha, crediamo, nessun effetto spoiler) è che lì il soldatino Tamura viene falciato da una scarica di mitra, mentre qui sopravvive all'orrore e se lo porta dentro. E come finale, è decisamente più horror!
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