Anno | 2014 |
Genere | Thriller |
Produzione | Gran Bretagna |
Durata | 103 minuti |
Regia di | Duane Hopkins |
Attori | George MacKay, Benjamin Dilloway, Charlotte Spencer, Donald Sumpter, Barry Ward Chanel Cresswell, Felicity Gilbert, Matt Cross, Anton Saunders, Arabella Arnott, Barbara French, Lara Peake, Jason Bytheway, Alan Billingham, Ben Dilloway, Nicola Stapleton, Andre Squire, Adam Astill, David Hopper (II), Melanie Tate, Jason Michael West. |
MYmonetro | 2,84 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento mercoledì 3 settembre 2014
La storia di Tim, delle sue responsabilità e delle sue speranze. In pericolo, decide di fuggire mentre suo figlio sta per nascere. Ma ha fatto bene?
CONSIGLIATO SÌ
|
Inghilterra, oggi. Il giovane Tim non ha una vita facile. La madre è appena morta e l'ha lasciato da solo a proteggere la sorella Helen, che rifiuta la scuola e ogni altra responsabilità. Anche la fidanzata Lilly ha in serbo per lui un sorpresa che lo coglierà alla sprovvista, e il fratello maggiore, anagraficamente preposto a prendere in mano le redini della situazione, pensa soprattutto per sé. Tim è malato, molto malato, anche se fa finta di niente perché è lui, ora, il capofamiglia, e perché per mantenere se stesso e la sorella traffica roba rubata per un boss locale.
Bypass è il secondo lungometraggio del regista, sceneggiatore e artista contemporaneo Duane Hopkins, componente della cosiddetta New Wave del cinema inglese che ha come suo elemento di spicco Steve McQueen. Il lungometraggio d'esordio di Hopkins, Better Things, in concorso a Cannes 2008 alla Semaine de la Critique, aveva fatto gridare alla rinascita del cinema inglese. E Bypass, come Better Things, è prodotto da Sam Haillay, che con la sua Third Film sta creando un piccolo terremoto nel panorama britannico.
Hopkins condivide con McQueen un'estrema attenzione all'immagine, fatta soprattutto di primissimi piani e dettagli ingigantiti. La sua abilità registica è evidente, così come la capacità di raccontare una storia attraverso la fisicità dei suoi interpreti, soprattutto quel protagonista cui la malattia minaccia l'unica merce in suo possesso: il corpo, appunto, scandagliato nella sua intimità da una cinepresa invasiva e spietata. Parte della costruzione artistica è anche il rapporto fra l'immagine e un sonoro dilatato e insistente.
Tanta concentrazione sull'elemento estetico, però, rischia l'autocompiacimento e va a scapito della narrazione, che invece rimane eccessivamente scarna. Manca anche un percorso evolutivo nella parabola del protagonista, sballottato dagli eventi senza apparente reazione. Nemmeno gli accenni di realismo sociale alla Ken Loach nel configurare l'odissea di Tim come una conseguenza della crisi economica prendono mai la forma di una narrazione coesa. Bypass tracima dunque magnifica forma, ma viene meno in tangibile sostanza.
Efficace, invece, George MacKay, European Shooting Star all'ultima Berlinale e apparso in Pride di Matthew Warchus, in concorso a Cannes alla Quinzaine des Réalizateurs. Il suo volto livido, la sua espressione da animale accecato dai fari di un'auto in procinto di schiacciarlo, restano nella coscienza più delle immagini ipercurate della regia.
Tim è un bravo ragazzo. Tim è un criminale. La storia di Tim, un giovane uomo della classe proletaria inglese. Tim è un bravo ragazzo che deve occuparsi di un numero spropositato di questioni e cerca di trovare i mezzi per farlo. Ha bisogno di guadagnare, ha una fidanzata da cui sta per avere un figlio, non sa scrivere né leggere, ha recentemente perso sua madre. Tim è anche un piccolo ricettatore che vende oggetti rubati. Tim è malato, ma non capisce quanto malato. Quando le pressioni e le difficoltà crescono, anche la sua malattia peggiora e un giorno si sveglia in un letto d'ospedale, attaccato a fili e macchinari. È stanco, ma suo figlio nasce: un momento di profonda incertezza, una nuova speranza o la continuazione di un processo drammatico che si ripete?