flyanto
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giovedì 23 gennaio 2014
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il duro dopo shoah raccontato con poesia
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Film liberamente tratto dal romanzo autobiografico di Edith Bruck "Quanta stella c'è in cielo" in cui si racconta l'esistenza e le vicissitudini vissute da una sedicenne di nome Anita appena rilasciata dai campi di concentramento dove era stata rinchiusa insieme a tutta la propria famiglia. Mentre questa però è stata sterminata, la ragazza si è salvata e trova accoglienza in casa di una giovane zia, in realtà molto fredda nei suoi confronti, che abita in un paesino al confine della Cecoslovacchia con l'Ungheria. Qui, piano piano Anita riesce a ritornare in forze ed a cominciare a vivere una vita sociale con gli esponenti della comunità presso cui vive.
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Film liberamente tratto dal romanzo autobiografico di Edith Bruck "Quanta stella c'è in cielo" in cui si racconta l'esistenza e le vicissitudini vissute da una sedicenne di nome Anita appena rilasciata dai campi di concentramento dove era stata rinchiusa insieme a tutta la propria famiglia. Mentre questa però è stata sterminata, la ragazza si è salvata e trova accoglienza in casa di una giovane zia, in realtà molto fredda nei suoi confronti, che abita in un paesino al confine della Cecoslovacchia con l'Ungheria. Qui, piano piano Anita riesce a ritornare in forze ed a cominciare a vivere una vita sociale con gli esponenti della comunità presso cui vive. Pertanto, trova lavoro presso un laboratorio di sartoria imparando a cucire con la macchina e nel frattempo si innamora, ricambiata, del giovane fratello del marito della zia. Con lui però, per inesperienza e molta buona fede, instaura un rapporto conflittuale di attrazione e respingimento e pertanto poco sereno e dunque poco soggetto a durare nel tempo. Alla fine di tutto ciò ella prenderà la decisione di lasciare il paesino e partire per Gerusalemme al fine di raggiungere un amico ebreo e là rifarsi una vita dedicandosi all'attività che più le piace, e cioè quella di scrivere storie per bambini.
Roberto Faenza qui ha girato un film molto delicato e sentimentale, ma attraverso lo svolgersi della vicenda concernente la situazione di un'adolescente egli coglie l'occasione soprattutto per presentare le condizioni che hanno vissuto ed in cui si sono trovati coloro che erano stati liberati dai campi di sterminio, insomma tutto il periodo dopo la Shoah. Pertanto si viene a conoscenza di quante ancora difficoltà questi individui dovettero affrontare e superare al fine di ottenere finalmente un'esistenza degna di essere vissuta. La giovane protagonista, infatti, nel corso dei primi tempi deve vivere praticamente nascosta nella casa della zia in quanto ancora priva di documenti. L'atmosfera in generale vigente in quel periodo comunque è un'atmosfera intrisa di continui sospetti (anche l'Unione Sovietica non vedeva troppo di buon occhio gli ebrei), di miserie morali e materiali, insomma un periodo di "ricostruzione" molto faticoso e quasi sempre "in salita". Il film termina con la bellissima frase "che l'unico bagaglio in possesso è il futuro" ed è proprio quello che possiede la ragazza, dando così un messaggio di speranza per l'avvenire che poi, nel caso specifico, si è visto non deludere affatto.
Una particolare menzione va rivolta alla giovane Eline Powell, eterea ed elegante in tutta la sua figura, che ben interpreta il personaggio dell'adolescente assegnatole. Ma anche i personaggi di contorno, Andrea Osvart nel ruolo della zia, Antonio Cupo in quello del marito ed il giovane Robert Sheehan in quello del giovane innamorato, non deludono e confermano la sapiente ed accurata scelta di Faenza.
Consigliato vivamente
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gaiart
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martedì 21 gennaio 2014
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anita b. e les femmes fortes non solo di faenza
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ANITA B.
E LES FEMMES FORTES non solo di FAENZA
di
Gaia Serena Simionati
"Lascia Auschwitz fuori da questa casa”
Sappiamo ormai tutti cheShoah(tempesta devastante)è una parola che in ebraico significa "distruzione". Viene preferita a Olocausto, (in quanto non richiama, come quest’ultimo, l’idea di un sacrificio inevitabile), dal greco holos "completo" e kaustos "rogo", cioè lo sterminio compiuto dai nazisti di circa sei milioni di ebrei.
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ANITA B.
E LES FEMMES FORTES non solo di FAENZA
di
Gaia Serena Simionati
"Lascia Auschwitz fuori da questa casa”
Sappiamo ormai tutti cheShoah(tempesta devastante)è una parola che in ebraico significa "distruzione". Viene preferita a Olocausto, (in quanto non richiama, come quest’ultimo, l’idea di un sacrificio inevitabile), dal greco holos "completo" e kaustos "rogo", cioè lo sterminio compiuto dai nazisti di circa sei milioni di ebrei.
A questo numero però vanno aggiunte anche tutte le persone e le etnie ritenute "indesiderabili": omosessuali, oppositori politici, zingari, testimoni di Geova, pentecostali, spesso dimenticati.
Con la giornata della memoria, in arrivo il 27 gennaio, i film sull’argomento proliferano. Roberto Faenza, il regista, precisa alla preview stampa che, Anita B., ispirato al romanzo autobiografico Quanta stella c’è nel cielo diEdith Bruck, non è un film sulla Shoà. Ma sul dopo, Auschwitz. Cioè sul ricordo e la sua gestione. E sulle donne, potremmo aggiungere!
Che fare allora ricordare o dimenticare? Rischio di museificazione della memoria o attenzione per il ricordo?
Secondo alcuni per superare bisogna rimuovere. Da questo assioma, si sviluppa il film, quando Eli (RobertSheehan) raccomanda ad Anita: "Lascia Auschwitz fuori da questa casa".
Anita è interpretata da Eline Powell, la giovane e brava attrice inglese, figlia di un pluripremiato scienziato per gli studi sull’AIDS. Nel film è una sedicenne orfana, di origine ungherese che, sopravvissuta ad Auschwitz, viene accolta in casa della zia Monika, sorella di suo padre, la quale le impone di dimenticare e di non parlare mai di quello che le è successo con nessuno in casa. Essa vive la nipote come un peso, forse quello del passato tenuto vivo.
Al contrario, Anita nutre speranze, vuole capire e ri-generare vita. Nella nuova casa si trova però ad affrontare una realtà inaspettata: nessuno, neppure Eli, con cui scoprirà l’amore, vuole ricordare. Il più grande tabù è proprio l’esperienza del campo. Qualcosa di cui vergognarsi o volontà di evitare di ricordare il passato?
Il dolore dello sterminio genera quindi diverse reazioni o paradossi. Da un lato la tradizione dello Zio Jacob (Moni Ovadia), coscienza critica della comunità ebraica, che sostiene che la Torah si tiene con due mani, la testa e il cuore.
Dall’altro, di spirito sionista, si ritiene invece che si debba vivere con la Torah in una mano e un'arma nell'altra. Chi si fermerà per rimettere radici e chi invece sceglierà di partire per la Terra Promessa. Tutti pronti per una nuova vita.
Purtroppo Anita B. pur aprendo interrogativi interessanti, e sedimentandoli su più livelli, pur essendo elegante nei costumi, nelle ambientazioni, o nella recitazione (gli attori incisivi e convincenti, tra di essi il forte carattere di Moni Ovadia, la maturazione credibile del personaggio di Eline Powell, o l’eleganza silenziosa della pianista Guenda Glori), risulta nel complesso annacquato e fragile.
Faenza sa ben dirigere, sa narrare, ma è come se al racconto mancasse forza, visione e novità. Un po’ come una zuppa tiepida che riscalda, ma non nutre.
Di sicuro, non è uno di quei film indelebili, nelle memorie di tutti, appunto.
Come invece lo è stato il caso dell’eccellente pellicola di Rama Burshtein, Lemale et Ha'Halal (Fill the void) in Italia La sposa promessa, in cui la regista spiega che la religione aiuta a preservare la passione e che essa è uno strumento molto potente in tal senso.
Incentrato su una forma d’integralismo ortodosso haredi, ramo dell’ebraismo e sul misterioso stile di vita della comunità chassidica, il film che è un misto di erotismo, eccitazione, dogma, paura e lutto, narra della storia di Shira, una giovane donna la cui vita assume un peso di grande responsabilità. Simile a quello di Anita, se vogliamo, ma molto più risonante. Forse, nel raccontare eroine e grandi personaggi femminili, le registe donne sanno essere più sensibili e profonde nel traghettarne le emozioni al vasto pubblico.
Purtroppo, per Faenza e per fortuna per gli spettatori, negli stessi giorni è in uscita anche Hannah Arendt, di un'altra regista donna, Margarethe von Trotta, un film geniale, dalla sceneggiatura intensissima sulla controversa filosofa. Qui partendo dal suo libro “La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme" (1963), emerge la controversa teoria per cui la completa inconsapevolezza o responsabilità delle proprie azioni criminali, unite all'assenza di radici e di memoria, renderebbero esseri (non persone) spesso primitivi, agenti del male, come Eichmann stesso e tutti coloro che agirono nella Shoah.
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jacopo b98
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mercoledì 5 febbraio 2014
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film mieloso e buonista!
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Anita (Powell), ragazza ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, dove però ha perso i genitori, arriva in Ungheria dove va a vivere a casa dei suoi zii. La zia (Osvart) in particolare ci tiene a precisare che il passato è passato e i ricordi del campo devono rimanere fuori dalla casa. Anita si confida perciò con l’unica creatura capace di ascoltarla ma non di capirla: il piccolo figliuolo della zia. Intanto intraprende una relazione con il giovane Eli (Sheehan). Dal romanzo Quanta stella c’è nel cielo di Edith Bruck (anche sceneggiatrice con il regista) Faenza ha tratto una melensa storia d’amore inserita nel drammatico contesto del dopoguerra.
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Anita (Powell), ragazza ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, dove però ha perso i genitori, arriva in Ungheria dove va a vivere a casa dei suoi zii. La zia (Osvart) in particolare ci tiene a precisare che il passato è passato e i ricordi del campo devono rimanere fuori dalla casa. Anita si confida perciò con l’unica creatura capace di ascoltarla ma non di capirla: il piccolo figliuolo della zia. Intanto intraprende una relazione con il giovane Eli (Sheehan). Dal romanzo Quanta stella c’è nel cielo di Edith Bruck (anche sceneggiatrice con il regista) Faenza ha tratto una melensa storia d’amore inserita nel drammatico contesto del dopoguerra. Film povero e di valore pressoché nullo che si propone di affrontare l’importante tema del ricordo e finisce per diventare un melò adolescenziale inserito a forza in un contesto drammatico. Gli attori, provenienti in gran parte dalla TV (infatti il film sembra molto più una puntata di un qualche serial televisivo), sono di un’inespressività desolante, a partire dalla protagonista Powell. Film buonista, mieloso e irrealistico! Nel complesso che dire? Dopo il bel (e molto internazionale)Un giorno questo dolore ti sarà utile Faenza inciampa e sbaglia tutto (la regia è povera, la ricostruzione storica insignificante, grazie anche al ridicolo budget di un milione di dollari). Speriamo che riesca a rialzarsi!
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filmguida2014
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domenica 26 gennaio 2014
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una "favola" dalle intenzioni buone e accomodanti
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Faenza, dal romanzo al quale si ispira, tenta di trarne fuori una cornice femminista un po' accomodante e un po' didascalica, rivolta a chi tenta di leggere il dramma dell'esperienza del lager con leggerezza e con poca riflessione politica. Ma se le intenzioni di sceneggiatura non sono deprecabili, altrettanto lo è il risultato filmico con un'insieme abbastanza statico e fumettistico, dove la ripetitività di tale narrazione raggiunge il suo culmine con una serie di trovatine diciamo così cinefile molto scontate ed evitabili (i protagonisti che vedono "Il grande dittatore" con alcuni errori di continuità nelle sequenze, Anita che scrive le sue emozioni e che vive la sua prigionia con emotività dominante un po' come in "Il diario di Anna Frank"), e ancor più irritante il zuccheroso e televisivo lieto fine, offensivo non solo per la storia in se, ma anche per le sue intenzioni un po' truffaldine di voler "rimuovere" le sofferenze psicologiche della protagonista.
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Faenza, dal romanzo al quale si ispira, tenta di trarne fuori una cornice femminista un po' accomodante e un po' didascalica, rivolta a chi tenta di leggere il dramma dell'esperienza del lager con leggerezza e con poca riflessione politica. Ma se le intenzioni di sceneggiatura non sono deprecabili, altrettanto lo è il risultato filmico con un'insieme abbastanza statico e fumettistico, dove la ripetitività di tale narrazione raggiunge il suo culmine con una serie di trovatine diciamo così cinefile molto scontate ed evitabili (i protagonisti che vedono "Il grande dittatore" con alcuni errori di continuità nelle sequenze, Anita che scrive le sue emozioni e che vive la sua prigionia con emotività dominante un po' come in "Il diario di Anna Frank"), e ancor più irritante il zuccheroso e televisivo lieto fine, offensivo non solo per la storia in se, ma anche per le sue intenzioni un po' truffaldine di voler "rimuovere" le sofferenze psicologiche della protagonista. Buona la fotografia, curata la scenografia ma solo nella prima parte, e non molto irritante l'insieme recitativo, un po' classificato come "retro" che strizza l'occhio a certe buone opere filmiche del passato, dove in fin dei conti si celebra proprio la leggerezza e la "gentilezza" di certe impostazioni interpretative. Fiacca colonna sonora. Nonostante tutto meno falso e venduto rispetto al precedente "Un giorno questo dolore ti sarà utile".
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luigi chierico
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mercoledì 28 gennaio 2015
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modesto
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Un film con molte pretese ma decisamente modesto in ogni sua componente, si affida alla dolce e brava Eline Powell, che interpreta la parte della giovane Anita.
I riferimenti alla disumana vita trascorsa dalla giovanissima ebrea Anita ad Auschwitz, campo nazista di concentramento di torture e morte, sono soltanto evocati e respinti da chi vuole dimenticare. Nel film a voler dimenticare è proprio chi ha perso fratello e genitori.
Vuol essere un’accusa al mondo che vuole che oggi non se ne parli più, è storia che non ci appartiene. Ma la vicenda si svolge appena qualche tempo dopo della fine della guerra, quando c’erano ancora morti nelle fosse comuni da seppellire. Anita viene condotta dalla Croce Rossa dall’Ungheria in Cecoslovacchia e affidata a Monika (Andrea Osvart) sorella del padre che vive col marito Aron e suo fratello Eli.
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Un film con molte pretese ma decisamente modesto in ogni sua componente, si affida alla dolce e brava Eline Powell, che interpreta la parte della giovane Anita.
I riferimenti alla disumana vita trascorsa dalla giovanissima ebrea Anita ad Auschwitz, campo nazista di concentramento di torture e morte, sono soltanto evocati e respinti da chi vuole dimenticare. Nel film a voler dimenticare è proprio chi ha perso fratello e genitori.
Vuol essere un’accusa al mondo che vuole che oggi non se ne parli più, è storia che non ci appartiene. Ma la vicenda si svolge appena qualche tempo dopo della fine della guerra, quando c’erano ancora morti nelle fosse comuni da seppellire. Anita viene condotta dalla Croce Rossa dall’Ungheria in Cecoslovacchia e affidata a Monika (Andrea Osvart) sorella del padre che vive col marito Aron e suo fratello Eli.
In un mondo così stravolto la gente si chiede:”Ormai non sappiamo più chi siamo!”.
Eli di un cavallo, che corre sui prati verdi pronto a rispondere al suo richiamo, dice: “Almeno lui è libero”.
E’ finita la guerra ma nel 1948 e nel 1968 (vedi il periodo che va sotto il nome La Primavera di Praga) la nazione conosce ancora gli orrori dell’oppressione, dell’ invasione, ancora non è LIBERA.
La parodia dell’incontro tra Hitler e Mussolini, che non si intendono come devono salutarsi, imitandosi come due marionette, l’ho trovata indovinata.
Non si può dire che il film sia in technicolor perché volutamente il mondo intero sembra ancora coperto della cenere e fumo dei corpi arsi vivi. Ma questa è una mia impressione.
I colori prendono corpo verso la fine del film quando sembra prossima l’alba di un nuovo giorno tanto atteso.
Il giorno in cui non ci sarà più nessuno che si suiciderà per non essere condotto in campi di concentramento, su carri ferroviari persone stipate peggio che bestie.
La vita di Anita è sempre in pericolo e ad aggravare la sua posizione è il rapporto con Eli con cui deve condividere prima la camera da letto e poi il letto.
La tragedia che dalla morte porta alla vita conduce Anita ad una scelta coraggiosa, una decisione che la porterà lontana nella terra promessa, dove però non si trova pace neanche oggi dopo oltre mezzo secolo.chibar22@libero.it
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melania
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giovedì 23 gennaio 2014
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film poetico
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Mi è piaciuto moltissimo,per la trama,l'ottimo cast,per le emozioni che il film ha suscitato in me.Si segue con attenzione dall'inizio alla fine,si va via dalla sala portando un ricordo vivo dei personaggi,con particolare riferimento alla protagonista che è estremamente amabile.Assolutamente consigliabile!
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enzo70
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martedì 3 febbraio 2015
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un occasione perduta
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Un’ennesima prospettiva dalla quale inquadrare il dramma della Shoà. Anita, reduce da Auschwitz dove ha perso entrambi i genitori, torna a casa, accolta dalla zia. Si occuperà del nipote e sbrigherà le vicende di casa, con un unico imput, evitare di ricordare quanto accaduto nei campi, la memoria è vietata, lascia Auschwitz fuori da questa casa, gli dice la zia. Il tema proposto da Faenza è, quindi, di primissimo piano, in quanto abbraccia il problema del negazionismo, partendo proprio dalla vergogna di chi non voleva ricordare le sofferenze del proprio popolo. Ma poi il film si incanala su un binario di banalità, un amore non corrisposto, un aborto imposto ed il sogno di Israele, perdendo di vista lo spunto più interessante che meritava sicuramente maggiore attenzione.
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Un’ennesima prospettiva dalla quale inquadrare il dramma della Shoà. Anita, reduce da Auschwitz dove ha perso entrambi i genitori, torna a casa, accolta dalla zia. Si occuperà del nipote e sbrigherà le vicende di casa, con un unico imput, evitare di ricordare quanto accaduto nei campi, la memoria è vietata, lascia Auschwitz fuori da questa casa, gli dice la zia. Il tema proposto da Faenza è, quindi, di primissimo piano, in quanto abbraccia il problema del negazionismo, partendo proprio dalla vergogna di chi non voleva ricordare le sofferenze del proprio popolo. Ma poi il film si incanala su un binario di banalità, un amore non corrisposto, un aborto imposto ed il sogno di Israele, perdendo di vista lo spunto più interessante che meritava sicuramente maggiore attenzione.
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elgatoloco
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mercoledì 24 gennaio 2018
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doloroso, gioioso remember
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Roberto Faenza, regista e studioso(massmediologo-un testo di Faenza era stato anche mia guida all'ambito specifico)con questo"ANita B."(2014)tratto da"Quanta stella c'è in cielo"da Edith Bruck, grande scrittrice-testimone(endiadi rara: non sempre un testimone è scrittore, ma neppure uno scrittore è sempre testimone...)riesce a darci una storia dolente dell'immediato dopoguerra, con una dolce ragazza ebrea sfuggita ad Auschwitz, rifugiata da parenti in Cecoslovacchia dove è quasi costretta a non dire nulla dell'esecuzione dei suoi genitori nel lager, della tragedia vissuta etc., sedotta da un parente che vorrebbe farla abortire, infine rifugiata a Praga da cui riesce a fuggire"involandosi"per Jerusalem.
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Roberto Faenza, regista e studioso(massmediologo-un testo di Faenza era stato anche mia guida all'ambito specifico)con questo"ANita B."(2014)tratto da"Quanta stella c'è in cielo"da Edith Bruck, grande scrittrice-testimone(endiadi rara: non sempre un testimone è scrittore, ma neppure uno scrittore è sempre testimone...)riesce a darci una storia dolente dell'immediato dopoguerra, con una dolce ragazza ebrea sfuggita ad Auschwitz, rifugiata da parenti in Cecoslovacchia dove è quasi costretta a non dire nulla dell'esecuzione dei suoi genitori nel lager, della tragedia vissuta etc., sedotta da un parente che vorrebbe farla abortire, infine rifugiata a Praga da cui riesce a fuggire"involandosi"per Jerusalem... Tra realtà e speranza, se vogliamo utopia, una vicenda che tocca, tra testimonianza forte e evocazione, tra storie di forte e mai disperata-disperante umanità(nonostante l'orrore vissuto), che ci mostra come sia stato possibile sopravvivere ad Auschiwtz e come, rimanendo tangenti ad Auschwitz(ricordiamo il monito di Theodor Wiesengrund-Adorno), si possa evocare mai dimenticando ma trascendendo, come avviene nel film alla festa di purim, tra musica klezmer(struggente quanto canta il grande Moni Ovadia), riproposizione dello yiddish, scoppi d'amore e di speranze, in specie quella del"promised land". Oltre a Ovadia, benissimo i protagonisti Eline Powell e Robert Sheehan. Un film per non dimenticare, per presentificare quanto alcune forze vorrebbero a forza espungere dalla memoria... El Gato
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angelo umana
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mercoledì 4 febbraio 2015
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equivoco
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Ho visto il film perché Faenza, perché la shoah ... Delusione. E' una semplice storia d'amore, mancato da parte di Anita per Eli e viceversa, futuro per Anita con Davide, che dopo la guerra torna in Israele perché vuole costruire case e scuole. Sono ebrei e non amati o mal accolti ovunque, vanno verso la loro terra promessa. Con quel solo "bagaglio", il futuro, Anita si dirige a Gerusalemme, in fuga dal bello e maledetto Eli, che non le vuole far tenere il bambino concepito assieme. Ad Anita viene detto a inizio film, dalla zia che la accoglie malvolentieri come aiuto in casa e da Eli stesso, di lasciare fuori da quella casa Auschwitz, il passato e il campo di concentramento, da cui è stata liberata per l'arrivo dei russi in gennaio 1945 e dove ha perso i genitori.
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Ho visto il film perché Faenza, perché la shoah ... Delusione. E' una semplice storia d'amore, mancato da parte di Anita per Eli e viceversa, futuro per Anita con Davide, che dopo la guerra torna in Israele perché vuole costruire case e scuole. Sono ebrei e non amati o mal accolti ovunque, vanno verso la loro terra promessa. Con quel solo "bagaglio", il futuro, Anita si dirige a Gerusalemme, in fuga dal bello e maledetto Eli, che non le vuole far tenere il bambino concepito assieme. Ad Anita viene detto a inizio film, dalla zia che la accoglie malvolentieri come aiuto in casa e da Eli stesso, di lasciare fuori da quella casa Auschwitz, il passato e il campo di concentramento, da cui è stata liberata per l'arrivo dei russi in gennaio 1945 e dove ha perso i genitori. Ma in effetti quegli elementi Faenza li ha lasciati lui per primo fuori da una storiella d'amore quasi adolescente, Auschwitz sembra solo incidentale: Anita si meraviglia che nessuno voglia ricordare, che nessuno con lei comparta la memoria, "senza memoria noi non siamo nulla", ma sono solo parole, la ragazza liberata si è immersa subito nella vita ritrovata, insospettabile in una persona prostràta dal lager, le pulsioni erotiche sono molto forti e Eli coi suoi bei riccioli dorme con lei nella stessa stanza. Sono in casa della zia, nei Sudeti in Cecoslovacchia, e la casa è stata liberata dagli occupanti tedeschi rispediti in Germania.
Assomiglia a un film in costume, perché ambientato in quegli anni; è ingentilito dalla passione di Anita per i bambini, per la musica, la pittura e per la scrittura, a cui vuole dedicarsi. E' tratto liberamente dal libro "Quanta stella c'è nel cielo" di Edith Bruck, ma il film, a parte un pochino di storia da conoscere, è deludente.
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