Un giorno devi andare

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Un film di Giorgio Diritti. Con Jasmine Trinca, Pia Engleberth, Anne Alvaro, Sonia Gessner, Amanda Fonseca Galvao, Paulo De Souza, Eder Frota Dos Santos, Manuela Mendonça Marinho Drammatico, durata 110 min. - Italia, Francia 2013. - Bim Distribuzione uscita giovedì 28 marzo 2013. MYMONETRO Un giorno devi andare * * * - - valutazione media: 3,10 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

A tratti amatoriale, noioso e grossolano Valutazione 2 stelle su cinque

di Aranciadarte


Feedback: 3
venerdì 5 aprile 2013

Barcone sul Rio delle Amazzoni e mistici silenzi di una ragazza che ha la faccia più adatta per la pubblicità di una crema che per una pellicola d'autore. La protagonista ha un bel visetto pulito, ma è praticamente mono espressiva e mono tona. A questo si contrappone la fissità silenziosa delle scene ambientate in Italia, comprendiamo che il silenzio serve per costruire un’aura mistica e spirituale, ma in confronto l’Ora di religione di Bellocchio sembrava un film d’azione. Lo spettatore accanto a me dormiva il sonno dei giusti, mentre io facevo di tutto per cercare di restare sveglia. Ma non è stato facile, e poi, silenzi a parte, nemmeno la storia era delle migliori. Il film inizia con il supposto “enorme” dolore nel visino monocorde della protagonista, dolore che deve essere raccontato a parole, altrimenti lei sembrerebbe solo una ragazzetta che tiene il broncio alla zia. E quale è questo grande dolore del suo passato? Un aborto spontaneo e un marito che la molla perché non può più avere figli. E già qui siamo alle prime pecche di sceneggiatura. Ma perché un giovane uomo nel 2012 dovrebbe lasciare una giovane e bella donna perché non può avere figli??? Siamo forse nel medioevo? E’ lui forse l’erede di una monarchia dinastica? Soprassediamo, e accontentiamoci della spiegazione che i due piccioncini sognavano di esibire una bella famigliola borghese in ambiente di provincia, la cosa non riesce, la coppia salta. Diciamo che la leva del matrimonio, più che l’ amour fou, sia stato il contratto per la produzione di prole legittima e naturale. Visto che la ragazza smaritata, si vergogna a farsi vedere dai vicini di casa, disponendo non si sa come di solide basi economiche che la affrancano da ogni problema di sopravvivenza, decide di andarsi a rifugiare nella foresta amazzonica, ben attenta a non parlare con nessuno e a tenere sempre il visino imbronciato sui maestosi paesaggi di una natura “imponente e violenta”, raccontata con voce fuoricampo. A questo aggiungiamo la scomparsa prematura di un padre, sul quale lo spettatore nutre forti dubbi di suicidio, vista la noiosità incredibile di moglie e suocera del defunto. La critica ai missionari che fanno il lavaggio religioso al cervello dei nativi è superata dagli anni 70, casomai adesso la si dovrebbe rivolgere alle ONG, che invece fanno il lavaggio morale. La parte di film che si svolge nella favelas è forse la più interessante, con i suoi accenti sulla comunità, ma non è priva di pecche e di ingenuità come la corsa con i bambini nella favelas allo sbattere dei piatti del papà morto. Oltre che facile e forzata, è una scena super telefonata. Ma il peggio deve ancora arrivare. Dopo il fallimento del progetto comunitario, e il modo in cui questo avviene, unico elemento narrativo di un qualche interesse, dopo la preghiera della donna indios sul corpo dell’anziana signora morta in ospizio, altro momento da salvare, ecco che si arriva alla celebrazione del banale che aspira a essere poetico: l’approdo della ragazza sulla spiaggia bianca. Ma che originale espediente creativo, mettere una ragazza sola su una spiaggia bianca che fa il girotondo con un bambino spuntato dal nulla, che poesia! Io e il mio amico, sfiniti dopo tanti silenzi mistici e tante trovate originali, siamo usciti ridacchiando, mentre una parte del pubblico era in lacrime (!) Sì, certo, costruiamo così il nuovo cinema italiano, proponiamo queste grossolanità a un pubblico emotivo e gridiamo al capolavoro.

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