Sono un grande estimatore di Diritti. Ritengo i primi suoi due film "Il vento fa il suo giro" e "L'uomo che verrà" dei capolavori.
Per cui ero prevenuto positivamente per la visione di "Un giorno devi andare", film che invece mi ha francamente deluso.
La sceneggiatura è scritta bene, le location sono molto belle, lo sguardo sull'Amazzonia è antropologico senza inutili esotismi. La fotografia è coinvolgente nella sua alternanza tra colori caldi (in America Latina) e glaciali (in Trentino). Nonostante ciò il film non funziona.
Anzitutto per la scelta di incentrare tutto sulla protagonista Jasmine Trinca, che funziona solo nelle scene corali nelle palafitte di Manaus. In tutto il resto della narrazione non riesce a reggere il ruolo di protagonista. Non basta avere un bel viso, degli occhi profondi e condividere gli ideali di un film per far immedesimare lo spettatore. La Trinca non riesce a emozionare, a cominciare dalla prima scena, un lungo primo piano di un pianto fintissimo, che dovrebbe farci iniziare a immergere nel cammino di redenzione della protagonista e che invece appesantisce il film ancor prima dei titoli.
Non funzionano le letture di riflessioni perchè suonano recitate e non sussurrate, non funziona la parte "italiana" del film: perchè farci perdere tempo con la sofferenza della madre e della nonna in Alto Adige? Cosa hanno di particolare? Cosa ci vogliono comunicare? La tristezza e l'immobilismo di un mondo che Augusta non vuole più rivedere perchè vuole "essere terra"? Troppo poco per giustificare un montaggio alternato. La storia deve restare in Amazzonia. E funziona un pò solo all'inizio, con la azzeccata descrizione del "colonialismo religioso" della suora, da cui Augusta, pur apprezzando la sua caparbietà, si stacca per entrare realmente nella comunità, "dimenticare Dio per essere terra", come afferma prima di cominciare la sua avventura in mezzo alla gente delle palafitte.
Una descrizione, quella della comunità periferica minacciata dalla delocalizzazione voluta dal governo, molto credibile, semplice, diretta, anche quando il regista si concede qualche ritratto grottesco o felliniano (la danza nel campo da calcio). La descrizione della donna di frontiera, che si immerge e entra a fare parte di una comunità, senza però mai riuscire (come dimostra la fuga finale) a superare del tutto la condizione sociale di partenza è sicuramente la "tappa" più riuscita del viaggio.
La fuga dunque. Fuga da tutto e da tutti. Da sè stessa. Dal passato. L'arrivo metaforico nella spiaggia bianca dopo aver remato lungo il fiume. Qui dovrebbe arrivare il punto più alto, la descrizione senza dialoghi di un arrivo, un approdo per una ripartenza, o anche un punto di non ritorno. Ma proprio sul più bello, tutto viene rovinato dalla monoespressività della protagonista e dalla discutibile e sicuramente banale scena del gioco con il bambino, per chiudere il cerchio da dove Augusta era partita (la perdita di un bambino, appunto). Una scena davvero brutta, forzata, dove la fine di un cammino arriva in contemporanea con la fine del film, lasciando alla maggior parte degli spettatori che erano in sala un senso di non appagamento. E non so perchè, in quel momento mi è venuto in mente Kinski in "Aguirre furore di dio" che finisce mangiato dai topi. Quello era un finale.
Insomma, un grande maestro del cinema antropologico come Diritti, che ha realizzato degli affreschi incredibili di piccole comunità di villaggio nei primi due film, qui alza troppo il tiro e stecca un film nobile negli intenti, ma troppo debole e disgregato nella messa in scena.
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aldot
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lunedì 1 aprile 2013
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:)
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Devo ammettere non conoscevo Diritti e sicuramente andrò a vedere i suoi passati. Trovo la tua descrizione azzeccatissima.
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bollina
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mercoledì 3 aprile 2013
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non all'altezza degli altri film
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Enrico sono totalmente d'accordo con te. La Trinca non trasmette emozioni, il film è debole e il finale assolutamente inutile. Ho amato gli altri film di Giorgio Diritti, poche parole ma tanta sostanza. Questo è decisamente inferiore e la scelta della protagonista totalmente errata
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gigiobill
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martedì 9 aprile 2013
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iphone5
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Totalmente d'accordo con Enrico, poi mi sembra inverosimile che ad Augusta non accada nulla, che il suo telefonino non faccia gola a nessuno...
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epidemic
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martedì 9 aprile 2013
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ecco...
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mi stavo appunto chiedendo come mai la scelta sia ricaduta su un'attrice mediocre con Jasmine Trinca
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francobi
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sabato 29 giugno 2013
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un'analisi perfetta!
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Faccio tutti i miei complimenti a Sale per la sua anlisi brillante e profonda del film, che condivido in ogni dettaglio, e anzi mi ha aiutato a capire meglio i motivi della mia delusione per questo film dopo l'entusiasmo per i precedenti di Diritti. Se mi concede un gioco di parole banale, ha dimostrato di avere molto "sale" in zucca!
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ombra46
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mercoledì 24 luglio 2013
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ma sei sicuro ?
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analisi di critica cinematografica che considera sostanziale la forma, a prescindere quindi da una forma " commercialmente " poco adeguata e molto meno il messaggio. anch'io sono uscito dalla sala poco convinto, anch'io durante la proiezione non mi sono sentito coinvolto pienamente, anch'io ho " faticato " a costruire il nesso profondo dei tre grandi momenti della storia, degli intercalari in alto adige e sorattutto della " preghiera " che la ragazza dell'amazzonia ha dedicato alla donna morta in ospedale, ringrazandola per essere vissuta ed aver " consumato " la propria fisicità perchè altri esseri postessero vivere, .... ma proprio per questo, mi sono chiesto: possibile che una storia di tal genere risulti così evanescente dal punto di vista emotivo ? la risposta sta nel film, dove ogni qualvolta che ad augusta sembrava di aver ritrovato il proprio equilibrio e la propria serenità, fondendosi, per così dire, in quel mondo, i soliti protagonisti indiscussi del vivere " civile " ( religione, speculazione, amministrazioni pubbliche )l'hanno spinta all'isolamento.
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analisi di critica cinematografica che considera sostanziale la forma, a prescindere quindi da una forma " commercialmente " poco adeguata e molto meno il messaggio. anch'io sono uscito dalla sala poco convinto, anch'io durante la proiezione non mi sono sentito coinvolto pienamente, anch'io ho " faticato " a costruire il nesso profondo dei tre grandi momenti della storia, degli intercalari in alto adige e sorattutto della " preghiera " che la ragazza dell'amazzonia ha dedicato alla donna morta in ospedale, ringrazandola per essere vissuta ed aver " consumato " la propria fisicità perchè altri esseri postessero vivere, .... ma proprio per questo, mi sono chiesto: possibile che una storia di tal genere risulti così evanescente dal punto di vista emotivo ? la risposta sta nel film, dove ogni qualvolta che ad augusta sembrava di aver ritrovato il proprio equilibrio e la propria serenità, fondendosi, per così dire, in quel mondo, i soliti protagonisti indiscussi del vivere " civile " ( religione, speculazione, amministrazioni pubbliche )l'hanno spinta all'isolamento.l'apparizione del bimbo, sulla bianca, desolata spiaggia,riporta augusta al significato più semplice della vita, il suo continuo rinnovarsi, cui non ci si può sottrarre, condivido, però, che la soluzione filmica è un pò banale.
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lamiaopinione
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mercoledì 14 dicembre 2016
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tutta da sottoscrivere
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Non mi capita spesso di aderire perfettamente al pensiero di un'altro, ma questa volta è successo. Hai descritto le mie stesse reazioni, le mie stesse perplessità, il fastidio di fronte a questa protagonista bella ma come bambola senz'anima, a parte pochissimi attimi. Più una un'adolescente imbronciata che una donna passata attraverso la tragedia. D'accordo anche sulle scelte registiche, causate forse dall'intento di mostrare come la vita, nel ricco e ordinato mondo "sviluppato", sia altrettanto drammatica di quella vissuta nello slum del terzo mondo, seppure per ragioni e con modalità diverse.
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