mauro lanari
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lunedì 13 ottobre 2014
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l'aliena che venne dalla terra.
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Nel 1992 Gray pubblicò il bestseller "Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere", il libro di terapia coniugale e di coppia più venduto nella storia (oltre 50 milioni di copie). Glazer ne riprende l'assunto, in gran parte vero, della guerra dei sessi alieni l'uno all'altro, e non lo fa in stile black comedy alla Danny DeVito (1989), bensì inscenando la metafora alla lettera come una "Guerra dei mondi" fantascientifica.
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Nel 1992 Gray pubblicò il bestseller "Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere", il libro di terapia coniugale e di coppia più venduto nella storia (oltre 50 milioni di copie). Glazer ne riprende l'assunto, in gran parte vero, della guerra dei sessi alieni l'uno all'altro, e non lo fa in stile black comedy alla Danny DeVito (1989), bensì inscenando la metafora alla lettera come una "Guerra dei mondi" fantascientifica. La forma espressiva da lui adottata è quella a noi già nota per la sua attività da filmaker dei videoclip di Radiohead, UNKLE, Massive Attack: suggestioni impressionistiche ed evocative al posto di narrazione fluida e lineare, tempi rarefatti, approccio fra il cerbrale e il cervellotico. In "Under the Skin" la Johansson più si spoglia e più è inguardabile, però ha il pregio di Schwarzy nella saga di "Terminator": qui la sua inespressività è funzionale al ruolo. E il lungometraggio, come riporta Rotten Tomatoes, è "un'inquietante esperienza visiva [e sonora]", ipnotico per chi non cede all'ipnoinduzione. L'atmosfera allucinata, un po' primo Lynch e un po' primo Cronenberg, con cui Glazer materializza il proprio simbolismo è indimenticabile: la mantide religiosa che cattura le prede sprofondandole e segregandole nel liquame della seduzione carnale, il loro svuotamento organico con la pelle che alla fine implode, la vulnerabilità di lei all'emozioni umane, la sua prima stilla di sangue causata dalle spine d'una rosa donatale, la pietas per un giovane affetto da neurofibromatosi sino all'inevitabile ribaltamento dei rapporti di forza tra vittima e carnefice, e la purezza della neve che diventa utopia. Misantropo, misogino e misandrico quanto l'ultima opera di Vinterberg "Il sospetto" (2012), ideologicamente un po' superficiale, filmicamente a sprazzi fascinoso.
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leamovie
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sabato 30 agosto 2014
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sotto la pelle, niente
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Under the skin. Sotto la pelle. Sotto la pelle, niente. Verrebbe da commentare parafrasando un vecchio film dei Vanzina. Non date retta a quanto potrete trovare in rete, giochi dialettici, interpretazioni e motivazioni del film che Jonathan Glazer ha tratto dal romanzo di Michel Faber. Under the skin è uno di quei film irritanti, inconsistenti, che vanno contro lo spettatore. Si capisce fin da titoli di testa, dai primi cinque minuti di questa specie di opera cinematografica. Ci si sente in trappola nella sala buia, mai quanto il nero dello schermo disturbato da una luce che non si accenderà.
Un film pretenzioso e presuntuoso, che se ne infischia del pubblico, la cui unica via di fuga sarebbe andarsene dalla sala.
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Under the skin. Sotto la pelle. Sotto la pelle, niente. Verrebbe da commentare parafrasando un vecchio film dei Vanzina. Non date retta a quanto potrete trovare in rete, giochi dialettici, interpretazioni e motivazioni del film che Jonathan Glazer ha tratto dal romanzo di Michel Faber. Under the skin è uno di quei film irritanti, inconsistenti, che vanno contro lo spettatore. Si capisce fin da titoli di testa, dai primi cinque minuti di questa specie di opera cinematografica. Ci si sente in trappola nella sala buia, mai quanto il nero dello schermo disturbato da una luce che non si accenderà.
Un film pretenzioso e presuntuoso, che se ne infischia del pubblico, la cui unica via di fuga sarebbe andarsene dalla sala.
Non c'è mistero, perchè si intuisce in fretta chi o cosa è Scarlett Johansson. Se viene in mente L'uomo che cadde sulla terra di Nicolas Roeg, interpretato nel 1976 da David Bowie, è solo per rimarcare l'abissale differenza di spessore tra due tematiche aliene.
Non parte, non decolla e non arriva da nessuna parte Under the skin, che nella sua pochezza non risparmia nemmeno lacune narrative, razionali e logiche di una trama sviluppata senza sentimenti, senza raziocinio, cercando l'effetto visivo, ripetitivo e privo di senso, apparente e sostanziale. Un vuoto totale con l'unico pregio, estraneo al film, dei suggestivi paesaggi della Scozia, del dialetto scottish così diverso dalla lingua inglese abitualmente frequentata al cinema. E l'unica traccia di umana tenerezza, riservata all'elephant man che Scarlett carica a bordo, nella scena che indiscutibilmente rivela anche ai più tardi, la gelida, robotica, mancanza di umanità della protagonista.
Non si spiega come, ma ad un certo punto, nella scoperta della sua diversità (toh, l'alieno che si rende conto di non essere umano e scopre frammenti di umanità) fa i conti con la crudeltà umana, peraltro non difforme dalla sua, se non più passionale e coinvolta. Serial killer dell'altro mondo senza uno scopo, vittima della violenza umana.
Se anche c'è messaggio, non vale il film. E ci si chiede perchè mai un pasticcio simile abbia potuto trovare un distributore italiano, quando tante opere faticano ad arrivare sullo schermo. Certo, qui c'è la bella Scarlett (ed è lo specchietto per le allodole) . Peccato manchi il film.
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(di zroberta)
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(di franco44)
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ilquercia
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giovedì 4 settembre 2014
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quando l'estetica diventa etica
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Under the Skin è una di quelle pellicole con un destino al bivio: o la strada del capolavoro, o la via, molto più battuta, dell'oblio. Dovessi personalmente scegliere dove dirigerlo, non esiteri a montare i binari sulla prima, la strada del capolavoro - malgrado il termine sia improprio, ed un tantino esagerato. Under the Skin è un film "difficile", a tratti imperscrutabile, in cui si rischia di essere inghiottiti da un'estetica con reminescenze kubrickiane tanto quanto le vittime della storia sono inghiottite dalla "bellezza" dell'affascinante "aliena"- ma anche qui il termine è improprio, stavolta riduttivamente - interpretata da una magistrale, enigmatica, prima gelida e poi fragile Scarlett Johansson.
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Under the Skin è una di quelle pellicole con un destino al bivio: o la strada del capolavoro, o la via, molto più battuta, dell'oblio. Dovessi personalmente scegliere dove dirigerlo, non esiteri a montare i binari sulla prima, la strada del capolavoro - malgrado il termine sia improprio, ed un tantino esagerato. Under the Skin è un film "difficile", a tratti imperscrutabile, in cui si rischia di essere inghiottiti da un'estetica con reminescenze kubrickiane tanto quanto le vittime della storia sono inghiottite dalla "bellezza" dell'affascinante "aliena"- ma anche qui il termine è improprio, stavolta riduttivamente - interpretata da una magistrale, enigmatica, prima gelida e poi fragile Scarlett Johansson. E, proprio per questo, una gran parte dei giudizi è stata impietosa, giudicando il film lento, non adatto ai canoni del genere, ripetitivo e, infine, incosistente. Sotto la pelle, nulla, si è detto. Eppure, malgrado l'effettiva lentezza e la dose elevata, ma mai eccessiva, di pennellate kubrickiane e forzatamente oniriche, Under the Skin necessita di una chiave di lettura difficile da trovare, soprattutto se si fa l'errore, banale, di considerarlo un film di fantascienza: Under the Skin non è un film di fantascienza. Bisogna trascenderne sia il piano narrativo, che a dispetto di quanto se ne dica è di buon livello, sia quello estetico, che Glazer valorizza con una fotografia fosca e a tratti "dark", schizofrenica ma solenne, per coglierne non un messaggio, ma un'etica: l'etica della Bellezza. L'estetica di Glazer si risolve in un'etica della bellezza, coadiuvata da un plot essenziale ed efficace (mai noioso). Così, dimenticando che Scarlett Johansson è un'aliena, ed al contempo trascendendo questo aspetto nel suo valore più alto, cioè il concetto di diversità, si può notare come la sua ricerca di nutrimento, e quindi di Vita, tramite la Bellezza, diventi Ricerca della Bellezza tramite la Vita. Non comprendo come si sia parlato di film "carente di sentimento". L'etimologia di sentimento è il latino "sentire", cioè percepire con i sensi, ed è proprio questo che Glazer ci fa fare (e fa fare alla bella Scarlett): vedere, ascoltare (e la sillabazione iniziale in cui sembra s'impari a parlare non è un caso), toccare il Mondo. E i paesaggi non sono "sfondo", come ci si è limitato a dire per salvare del film l'ambientazione: la Scozia di Glazer è l'immensità, la pericolosità, la vastità del mondo in cui ci perdiamo. La scena finale è emblema di questa polarizzazione tra Bellezza e Vita: la loro coincidenza ,la Bellezza di una diversità che cerca, ri-cerca la Vita, è al contempo inevitabile frattura, la Vita che ri-cerca la Bellezza ed è annientata dalla diversità, dalla paura che essa genera. Ed ecco che le geniali trovate estetiche della prima parte si riescono anche a "dimenticare", facendo dormire sonni tranquilli a chi si è spaventato per il confronto con Kubrick - e che pure non è così blasfemo.
Under the Skin non è un capolavoro, ma attenzione a leggerlo con la chiave giusta, nei piani giusti: è un film che lascia vedere molto meno di quello che alla fine si vede, è un film che nel suo essere un pugno allo "stomaco" (all'occhio) dello spettatore in parte lo acceca stordendolo e distraendolo, ma che alla fine risulta essere un profondo testamento di Valori Universali come Vita, Bellezza, Diversità, Morte, Paura.
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fabrizio dividi
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mercoledì 3 settembre 2014
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la bella e le bestie
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Ci sono due modi per valutare “Under the skin” di Jonatan Glazer. Se lo si considerasse un film autoriale, come il trailer allude, accostando il nome del giovane regista di “Io sono Sean” a quello di Stanley K. (per non reiterarne la blasfemia non ne nomineremo il cognome), il giudizio sarebbe impietoso. Lento, ripetitivo e –soprattutto- pretenzioso e affetto da una sindrome da citazione al limite del patologico.
Le potenzialità registiche sono senz’altro notevoli, figlie della dimestichezza di Glazer con gli spot girati a inizio carriera: è apprezzabile l’uso di una fotografia plumbea e di un montaggio schizofrenico accompagnati da un tappeto sonoro sincopato e da inquadrature mobili sospese che inquietano.
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Ci sono due modi per valutare “Under the skin” di Jonatan Glazer. Se lo si considerasse un film autoriale, come il trailer allude, accostando il nome del giovane regista di “Io sono Sean” a quello di Stanley K. (per non reiterarne la blasfemia non ne nomineremo il cognome), il giudizio sarebbe impietoso. Lento, ripetitivo e –soprattutto- pretenzioso e affetto da una sindrome da citazione al limite del patologico.
Le potenzialità registiche sono senz’altro notevoli, figlie della dimestichezza di Glazer con gli spot girati a inizio carriera: è apprezzabile l’uso di una fotografia plumbea e di un montaggio schizofrenico accompagnati da un tappeto sonoro sincopato e da inquadrature mobili sospese che inquietano. Anche i temi toccati sono interessanti e coinvolgono seppur solo in superficie: come alcune riflessioni sulla bellezza, mera maschera esteriore, e su una banalità del male che sembra pervadere inesorabilmente il genere umano. Il film purtroppo si trascina con lentezza esasperante per tutta la sua parte centrale, e non bastano le inquadrature furbissime e una Scarlett Johansson in versione dark che contribuiscono comunque a tenere alta la tensione narrativa.
Ma è considerandolo un piccolo film di genere che “Under the skin” guadagna posizioni e pregio. Fantascienza e horror, si sa, sono materia di cultori, talvolta di bocca buona (anche troppo): appassionati capaci di digerire di tutto a partire da quei mitici Anni ’50 che hanno portato migliaia di spettatori al cinema con film meravigliosamente bizzarri popolati di mostri, alieni, tarantole e aragoste giganti. Una produzione sterminata, di un genere spesso sottovalutato, che ha saputo però formare registi di pregio come Robert Wise, George Lucas, Peter Jackson, Sam Raimi, Steven Spielberg e tanti altri.
“Under the skin” va commisurato per quel che è: un discreto b-movie, senza pretese e qualitativamente ben oltre la media del genere. Gli stilemi lo dimostrano e ci sono tutti. Il mostro, il tema della bella e la bestia, gli specchi, le ombre, la mutazione e quel tocco di indeterminato che fece la fortuna del cinema horror grottesco spagnolo e italiano degli Anni ’60 (da Franco a Bava).
Un sano bagno di umiltà non farebbe che valorizzare un buon prodotto ma per favore, lasciamo che i maestri riposino in pace. @fabdividi
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(di kondor17)
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gianleo67
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sabato 12 luglio 2014
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la donna che cadde sulla terra
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Sconosciuto e camaleontico essere alieno assume le sembianze di una bella ragazza che, scorazzando su di un furgoncino per le strade di una cittadina scozzese, adesca e rapisce ignari esemplari di sesso maschile per un misterioso progetto di conoscenza o di conquista.
Turbata e scossa dai risvolti emotivi delle proprie sembianze umane, decide di abbandonare i suoi propositi ostili e fuggire dagli spietati emissari della propria razza decisi a catturala. Ma il più grande pericolo per lei è rappresentato proprio dall'istinto predatorio della specie cui aveva inizialmente dato la caccia.
Più dalle parti di una fantascienza straniante e metaforica ('Lontano da Dio e dagli uomini' - 1996 - Sharunas Bartas) che dalle paranoie apocalittiche di una incombente minaccia per l'umanità e della teoria del sospetto in tempi di guerra fredda ('L'Invasione degli ultracorpi' - 1956 - Don Siegel), piuttosto che agli effetti tragicomici di uno shock culturale con risvolti sentimentali ('Starman' - 1984 - John Carpenter), il film del londinese Jonathan Glazer (Birth - Io sono Sean - 2004) cala questa storia di adduzione aliena e predazione umana nel 'climax' uggioso e nelle atmosfere cupe di un paesaggio scozzese la cui gelida bellezza sembra fare da contraltare a quella di una protagonista femminile che da sinuosa e conturbante mantide religiosa venuta da un altro mondo si trasforma in un essere indifeso e solitario costretto a fare i conti con la debolezza di una sorprendente e sconosciuta natura umana.
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Sconosciuto e camaleontico essere alieno assume le sembianze di una bella ragazza che, scorazzando su di un furgoncino per le strade di una cittadina scozzese, adesca e rapisce ignari esemplari di sesso maschile per un misterioso progetto di conoscenza o di conquista.
Turbata e scossa dai risvolti emotivi delle proprie sembianze umane, decide di abbandonare i suoi propositi ostili e fuggire dagli spietati emissari della propria razza decisi a catturala. Ma il più grande pericolo per lei è rappresentato proprio dall'istinto predatorio della specie cui aveva inizialmente dato la caccia.
Più dalle parti di una fantascienza straniante e metaforica ('Lontano da Dio e dagli uomini' - 1996 - Sharunas Bartas) che dalle paranoie apocalittiche di una incombente minaccia per l'umanità e della teoria del sospetto in tempi di guerra fredda ('L'Invasione degli ultracorpi' - 1956 - Don Siegel), piuttosto che agli effetti tragicomici di uno shock culturale con risvolti sentimentali ('Starman' - 1984 - John Carpenter), il film del londinese Jonathan Glazer (Birth - Io sono Sean - 2004) cala questa storia di adduzione aliena e predazione umana nel 'climax' uggioso e nelle atmosfere cupe di un paesaggio scozzese la cui gelida bellezza sembra fare da contraltare a quella di una protagonista femminile che da sinuosa e conturbante mantide religiosa venuta da un altro mondo si trasforma in un essere indifeso e solitario costretto a fare i conti con la debolezza di una sorprendente e sconosciuta natura umana. Storia di conoscenza prima che di conquista, quella tratta dall'omonimo romanzo di Michel Faber viene tradotta nel rigore di una messa in scena che alla ridondanza dei dialoghi sostituisce il resoconto scarno e quasi intimista di una missione di morte scadita tanto dal lirismo teso delle immagini (talora alla ricerca di una simmetria quasi pittorica dell'inquadratura nei meravigliosi esterni del paesaggio scozzese) quanto in quello ossessivo e ipnotico delle musiche originali di Mica Levi. Il risultato è un film teso e magmatico che traduce nel linguaggio del corpo (quello procace e ferino di una sensuale Scarlett Johansson e quello squallido e gracile delle sue inconsapevoli vittime) un rapporto di forze che rimanda alla natura predatoria dell'istinto animale (umano o alieno che sia) ma anche alla debolezza di una sfera emotiva che sembra riecheggiare con laceranti squarci e imprevedibili sussulti (lo straziante pianto di un bambino, la vista del sangue sulla mano, la commovente dolcezza di un essere indifeso, la spiazzante bellezza di un'immagine allo specchio) nella mente di una protagonista femminile fulminata come San Paolo sulla via di Damasco (o di Glasgow, fa lo stesso). Più che l'inevitabile simbolismo che fa capolino nella matrice onirica del film di Glazer (le sequenze iniziali di un'apprendistato linguistico e morfologico, l'angoscioso rituale predatorio di una viscida carta moschicida a misura d'uomo, l'ammiccante stratagemma di una irresistibile esca sessuale) la chiave del film sta nella sua misura tragica, nell'ineluttabile caduta, parabola cristologica di un essere fragile che soccombe di fronte alla struggente debolezza della propria umanità. Homo omini lupus, ma qui anche gli alieni non scherzano. Proiettato in concorso al Festival di Venezia 2013 e distribuito in questi giorni nelle sale italiane.
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[+] pur tuttavia....
(di orco66)
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pear�
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martedì 2 settembre 2014
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e stasera, foie gras (di) scozzese!!
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E' necessario un minimo di attenzione per notare, prima, e accettare, poi, che - per quanto distante dal libro - questo film rimane un'opera sullo Specismo.
Glazer è molto chiaro e onesto nel comunicarcelo sia per la scelta di una colonna sonora originale, particolarmente azzeccata, che per la presenza - minima - di linee di testo comprensibili allo spettatore. Lo spettatore deve accettare la propria condizione di animale da laboratorio, che può solo vedere l'operatore/ricercatore/macellaio al di là della finestra. Non ne può udire, e men che meno comprendere, i dialoghi e neppure può realizzare di essere all'interno di una struttura: solo la parete oltre il vetro di un corridoio (nero in questo caso) è visibile.
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E' necessario un minimo di attenzione per notare, prima, e accettare, poi, che - per quanto distante dal libro - questo film rimane un'opera sullo Specismo.
Glazer è molto chiaro e onesto nel comunicarcelo sia per la scelta di una colonna sonora originale, particolarmente azzeccata, che per la presenza - minima - di linee di testo comprensibili allo spettatore. Lo spettatore deve accettare la propria condizione di animale da laboratorio, che può solo vedere l'operatore/ricercatore/macellaio al di là della finestra. Non ne può udire, e men che meno comprendere, i dialoghi e neppure può realizzare di essere all'interno di una struttura: solo la parete oltre il vetro di un corridoio (nero in questo caso) è visibile.
La fotografia, così ispirata ed essenziale (chirurgica), comunica quasi di più dell'oggetto stesso rappresentato, che poco più può dirci in sé in quanto la maggior parte delle volte si tratta di situazioni di quotidianità o poco al limite della stessa. Il punto di osservazione del narratore è il fulcro, la chiave di lettura del film.
Chi vede, chi narra, non lo fa a nostro beneficio; il messaggio ci raggiunge grazie alla amalgama (una melma oscura e lucida) di suoni, luci e forme, che esce dallo schermo per avvolgerci.
Magari il messaggio non ci appare subito lineare o intelleggibile. Ma, come quando si impara a comunicare con il proprio gatto, la prima reazione è di totale fascinazione, una muta empatia inspiegabile e impronunciabile ma pienamente trasparente; poi, gradualmente e in modo impercettibile, il nuovo linguaggio è assimilato e, d'un tratto, comprensibile.
Chi preferisce i cani, comunque, non si disperi: in uscita il 18 settembre 2014 lo aspettano le Tartarughe Ninja.
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fedes 9 3
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martedì 9 settembre 2014
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sotto la pelle, oltre la morale.
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Al di là del bene e del male.
Nel caos quotidiano del banale, le striature del bene si intersecano con quelle de male, dando vita a l'a-morale. L'imperante volontà di potenza assume i connotati dell'alieno(a) umano, "troppo umano". Scarlet jhoannsonn è spettatrice e partecipante, osservatrice e agente. Si riflette nei suoi occhi la tragedia umana, si estrinseca nella sua volontà la naturale brama del nutrimento. C'è vita e vita. C'è lo schiavo, e c'è il padrone. C'è una "dialettica" che nel suo apparente oltre-determinismo, si scopre esser tutt'altro che determinata. La perfezione amorale del padrone cede il passo ad uno sguardo riflessivo che trascende il superficiale, ricercandone il vero senso.
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Al di là del bene e del male.
Nel caos quotidiano del banale, le striature del bene si intersecano con quelle de male, dando vita a l'a-morale. L'imperante volontà di potenza assume i connotati dell'alieno(a) umano, "troppo umano". Scarlet jhoannsonn è spettatrice e partecipante, osservatrice e agente. Si riflette nei suoi occhi la tragedia umana, si estrinseca nella sua volontà la naturale brama del nutrimento. C'è vita e vita. C'è lo schiavo, e c'è il padrone. C'è una "dialettica" che nel suo apparente oltre-determinismo, si scopre esser tutt'altro che determinata. La perfezione amorale del padrone cede il passo ad uno sguardo riflessivo che trascende il superficiale, ricercandone il vero senso. L'alieno diventa superficie, il costume umano diventa il senso. Il padrone diventa schiavo.
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cristina t. chiochia
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mercoledì 1 ottobre 2014
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un film letterario alla kerouac
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Un film molto ben construito dai colori freddi e tinte ghiacciate dove una stupenda scarlett johansson, spesso nuda, percorre la storia con una bravura ed una intensità soprendente. Non sembrano essere passati questi dieci anni da quando questo regista ha cominciato a sviluppare sperimentazioni e stili del tutto nuovi con il genere fantastico. In Sotto la pelle,tratto dal romanzo diMichel Faber tutto ruota attorno alla protagonista, una superba Scarlett Johansson,vittima della trasformazione di alieno che vuole fare esperienza di sè attraverso il corpo umano che viene spogliato, violato, accolto, rifiutato e corrotto.Un film poetico dove la poesia sta però nel suo trattare la storia con poche parole ma gesti ed atteggiamenti attoriali bellissimi.
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Un film molto ben construito dai colori freddi e tinte ghiacciate dove una stupenda scarlett johansson, spesso nuda, percorre la storia con una bravura ed una intensità soprendente. Non sembrano essere passati questi dieci anni da quando questo regista ha cominciato a sviluppare sperimentazioni e stili del tutto nuovi con il genere fantastico. In Sotto la pelle,tratto dal romanzo diMichel Faber tutto ruota attorno alla protagonista, una superba Scarlett Johansson,vittima della trasformazione di alieno che vuole fare esperienza di sè attraverso il corpo umano che viene spogliato, violato, accolto, rifiutato e corrotto.Un film poetico dove la poesia sta però nel suo trattare la storia con poche parole ma gesti ed atteggiamenti attoriali bellissimi. Dove la realtà diventa diventa un viaggio di conoscenza alla Kerouac, facendone esperienza. Un “on the road” visionario, è vero, ma sicuramente con un taglio letterario-estetico affascinante. Puo' piacere o non piacere il genere. Ma è da vedere.
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taniamarina
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mercoledì 10 ottobre 2018
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talento un po' sprecato
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Blasfemie ed improperi a parte, fanno sorridere i lanci pubblicitari che inneggiano al nuovo Kubrick. Bisogna comunque concedere al film la capacità di "rubare" con stile dal capolavoro 2001 Odissea nell spazio senza imitarlo goffamente. l'atmosfera iniziale è potente, i personaggi per nulla cinematografici contrastano volutamente con la bellezza surreale della protagonista, e la computer grafica vanta una rara eleganza. Il fallimento del film si nasconde aimé nel tentativo di lasciare a tutti i costi un pensiero filosofico, profondamente diverso dall'intuizione dello scrittore Faber ispiratore della pellicola. Tutto si fa confuso, macchinoso, e la solidità dei personaggi diventa disorentante.
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Blasfemie ed improperi a parte, fanno sorridere i lanci pubblicitari che inneggiano al nuovo Kubrick. Bisogna comunque concedere al film la capacità di "rubare" con stile dal capolavoro 2001 Odissea nell spazio senza imitarlo goffamente. l'atmosfera iniziale è potente, i personaggi per nulla cinematografici contrastano volutamente con la bellezza surreale della protagonista, e la computer grafica vanta una rara eleganza. Il fallimento del film si nasconde aimé nel tentativo di lasciare a tutti i costi un pensiero filosofico, profondamente diverso dall'intuizione dello scrittore Faber ispiratore della pellicola. Tutto si fa confuso, macchinoso, e la solidità dei personaggi diventa disorentante. L'ipnotismo del film ed i suoi colori bellissimi, sono i fattori a suo favore. Purtroppo la storia è un po' sfuggita di mano. Peccato.
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howlingfantod
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lunedì 12 giugno 2017
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parlare, vedere..capire
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“Under the skin” è un film diretto da un regista che viene dal mondo pubblicitario e dei videoclip, il quale ha adattato sul grande schermo il romanzo omonimo di uno scrittore olandese e pubblicato nell’anno 2000.
Il film ha dei tratti psichedelici che ne accrescono il già denso ed inquietante fascino e mistero.
Un uomo senza volto alla guida di una moto nel buio catapulta sulla terra un bellissimo alieno che prende possesso del corpo di una donna.
L’alieno è piombato sulla terra da non si sa dove, la navicella spaziale, le cui luci occhieggiano nel cielo grigio e denso di nubi della città, suggerisce che sia arrivata da lì, da quella creatura metallica sospesa in aria.
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“Under the skin” è un film diretto da un regista che viene dal mondo pubblicitario e dei videoclip, il quale ha adattato sul grande schermo il romanzo omonimo di uno scrittore olandese e pubblicato nell’anno 2000.
Il film ha dei tratti psichedelici che ne accrescono il già denso ed inquietante fascino e mistero.
Un uomo senza volto alla guida di una moto nel buio catapulta sulla terra un bellissimo alieno che prende possesso del corpo di una donna.
L’alieno è piombato sulla terra da non si sa dove, la navicella spaziale, le cui luci occhieggiano nel cielo grigio e denso di nubi della città, suggerisce che sia arrivata da lì, da quella creatura metallica sospesa in aria. L’alieno nelle sequenze iniziali comincia a prendere forma con sembianze umane, a formarsi elettronicamente, a parlare come appare all’ inizio del film in scene da piccola “2001 Odissea nello spazio”. Non si capisce cosa rappresenti e cosa ci stia a fare, progressivamente si mostra per quello che è il suo ruolo e quella che sembra essere la sua missione: adescare gli uomini invitandoli a salire sul suo furgone per poi portarli nella sua casa per farli sprofondare in una densa melma nera dove letteralmente si disintegreranno.
Un barlume di umanità sembra far breccia nei circuiti dell’alieno, sembra cercare un contatto, intanto il misterioso uomo senza volto continua a seguirla sfrecciando con la sua moto nera nella notte.
Nel momento del contatto più vero, forte, reale, quello sessuale, la bellissima donna alieno, che nel film ha il volto di Scarlett Johansson, si ritrae, fugge, cerca riparo in un rifugio nella foresta dove viene stanata da un guardaboschi che cerca di violentarla. La tentata violenza incide la pelle umana, la maschera dell’alieno e questo appare per quello che è, una creatura nera ed estranea agli umani. L’umano, il guardaboschi, forse pensando che potesse servire anche solo per dimenticare quell’ incontro bestiale, le dà fuoco ed il fumo nero che si innalza in aria mentre nevica, un iconica e potente immagine di nero su bianco è l’immagine finale di un film che lascia sbalorditi ed inquietati.
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