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Zach Snyder è un visionario da sempre abituato alle sfide impossibili o perlomeno è uno che non ama le cose facili, scontate e banali. Rivisita il più celebre dei supereroi rinnovandolo e ricominciando tutto da capo con un reboot che vede, dietro le quinte, le presenze autorevolissime di Christopher Nolan e David Goyer e un protagonista, Henry Cavill, non propriamente convincente. Il film elimina ogni forma di umorismo per intraprendere un viaggio di introspezione psicologica, passando attraverso dramma e mitologia, l'uomo perfetto nel quale era difficile immedesimarsi viene trasformato in un'anima in pena alla ricerca delle proprie radici e di se stesso. E un ruolo importante, nello svolgimento della storia, è stato trovato per i personaggi femminili, dall'ottima Amy Adams a Diane Lane, da Antje Trave ad Ayelet Zurer: il fatto che Emma e Debbie, rispettivamente mogli di Nolan e Snyder, siano tra i produttori, forse può aver inciso. Snyder umanizza Superman, lo rende un emarginato con un'immensa sofferenza interiore, lo fa più camminare che volare ma è proprio l'elemento umano a renderlo super. A non essere super però è il film, nonostante una discreta prima parte che lasciava ben sperare. Il trio delle meraviglie Nolan-Goyer-Snyder si rivela il limite della pellicola col primo che impone una struttura tipo quella di "Batman begins" che finisce per rendere statico a livello emotivo il già rigido personaggio di Superman, il secondo non riesce a dare spessore al protagonista rendendolo incoerente e mai emozionante (nonostante l'umanizzazione sia stata una genialata) e il terzo, l'esecutore di lusso, gli toglie l'anima con effetti speciali mai speciali, battaglie piatte e monotone per un carrozzone superbo ma superato e spesso lento e noioso. Molto, troppo vicino al Cavaliere Oscuro, bandito come lui ma senza quel fascino e quell'appeal che trasuda Bale, britannico come Cavill (e come Garfield/Spider-Man).
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