Rush

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Un film di Ron Howard. Con Chris Hemsworth, Daniel Brühl, Olivia Wilde, Alexandra Maria Lara, Pierfrancesco Favino.
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Titolo originale Rush. Sportivo, durata 123 min. - USA, Gran Bretagna, Germania 2013. - 01 Distribution uscita giovedì 19 settembre 2013. MYMONETRO Rush * * * * - valutazione media: 4,02 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Ripercorsa su due ruote una leggendaria rivalità. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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giovedì 17 dicembre 2015

RUSH (USA, 2013) diretto da RON HOWARD. Interpretato da CHRIS HEMSWORTH, DANIEL BRUHL, OLIVIA WILDE, ALEXANDRA MARIA LARA, PIERFRANCESCO FAVINO, DAVID CALDER, NATALIE DORMER, STEPHEN MANGAN, CHRISTIAN MCKAY, ALISTAR PETRIE, JULIAN RHIND-TUTT, VINCENT RIOTTA
Leggendaria fu la rivalità che imperversò nelle vite professionali del britannico James Hunt (1947-1993) e dell’austriaco Niki Lauda (1949), piloti dapprima in Formula Tre e poi abbordati rocambolescamente alla Formula Uno, e così diversi l’uno dall’altro per stile di vita e prestanza sul campo. Hunt, donnaiolo, vivace, grande bevitore e dai principi morali tutt’altro che ferrei, si approccia al campionato più importante dell’automobilismo agonistico con l’intenzione di vincere soltanto un torneo e poi ritirarsi. Al contrario il metodico, rigoroso, geniale e paziente Lauda punta a trionfare in più competizioni e ad intascare uno dopo l’altro un mucchio di titoli internazionali, riuscendo nel suo intento. In mezzo c’è posto anche per le sofferenze private che flagellarono l’esistenza dei due atleti, entrambi determinati e testardi ma conservanti comunque un rispetto reciproco nel quale faceva capolino anche una certa fiducia e un’ammirazione al limite dell’invidia: James è piantato in asso dalla compagna, sciacquetta presuntuosa e inconsistente, per un compagno più abbiente e con meno grilli per la testa, mentre Lauda, dopo il terribile incidente occorsogli nel 1976 sul circuito di Nürburgring, deve in ogni caso farsi accettare non tanto dalla moglie fedele quanto piuttosto dal suo team che non lo riconosce più col volto sfigurato e con la tremenda sfortuna che gli ha fatto rischiare la vita in un inferno di fuoco, fra l’altro in una giornata piovosa nella quale lo stesso pilota d’oltralpe aveva consigliato ai suoi sfidanti e agli organizzatori della gara di rinunciare a scendere in pista per le condizioni disagevoli e inadeguate dell’asfalto. R. Howard approda per la seconda volta nella sua carriera al mondo dello sport professionistico (la prima era stata con la storia del pugile James Braddock di Cinderella Man – Una ragione per lottare, con uno straordinario Russell Crowe nei panni del protagonista), e l’esperimento riesce anche questa volta, consentendo all’autore una guida accorta e prudente ma anche estremamente vincente su un formidabile bolide a due ruote che, cinematograficamente parlando, si traduce in un’opera sensibile, malleabile e plurisfaccettata che sa analizzare in profondità due uomini così differenti e totalmente agli antipodi per modo di intendere lo sport e la vita stessa, ma in un certo senso complementari e, in fondo, anche due facce della stessa medaglia: l’esuberanza sessuale e il libertinismo autocompiacente di Hunt si incastra alla perfezione col rigore moralistico e la precisione maniacale di Lauda, e quello che manca all’uno è presente in abbondanza nell’altro, così come avviene anche quando i due rivali, che col tempo imparano a rispettarsi e soprattutto a conoscere meglio le rispettive debolezze e punti di forza, si spartiscono in maniera equa le corse più importanti disputate ai quattro angoli del mondo. Il merito dell’ottima riuscita di questo apologo avventuroso e avvincente sul bisogno di fraternità nell’ambiente sportivo, nonché sulla leva da utilizzare per avere sempre accanto un avversario valido per apprendere i propri limiti ed esercitarsi a superarli con una costanza incrollabile, va anche ai due attori protagonisti, i quali fisicamente assomigliano pure molto da vicino agli originali: Hemsworth dà il meglio nell’interpretare un ruolo costruito su misura per il suo viso e il suo fisico statuario da macho che gli permette di esprimere un ampio corredo di battute scoppiettanti ma anche di scendere negli anfratti più deludenti e inquietanti di una personalità tutto sommato sofferente e colpita, mentre Brühl si cala nella parte di un campione puntiglioso al limite dell’ossessività prediligendo le parti più dolorose e accese di un carattere ugualmente complesso e variegato nel quale predominano una ricerca opprimente dell’esattezza e una doviziosa attenzione per quei piccoli dettagli che rendono vincente sia un’autovettura che una persona. Accanto a loro, un cast di prim’ordine si muove fuori e dentro dalla scuderia con l’agilità, la spigliatezza e la bravura che ci si aspetterebbe tanto da un consumato veterano delle quattro ruote quanto da un teatrante che conosce il palcoscenico e la macchina da presa come le sue tasche. Soprattutto il nostro Favino si distingue gagliardamente nella parte del pilota italoamericano Clay Regazzoni, punto di riferimento fondamentale per Lauda che approda nell’universo della Formula Uno pagando la retta di tasca propria e convincendo il proprio team che è possibile migliorare le vetture adottando accorgimenti a prima vista insignificanti ma che in verità possono fare la differenza, in pista. Howard conosce benissimo la maniera da lui trattata, e ne parla senza applicare alla sua stratosferica storia nessun tipo di agiografia o di panegirico incondizionato, preferendo invece uno stile secco e intelligente che getta luce su una diatriba sportiva decennale assurta a leggenda nel corso del tempo, ma che merita piuttosto un epiteto più pragmatico e adatto se osservata dalla prospettiva che esamina i motivi che condussero la coppia Hunt-Lauda a fare vicendevole conoscenza e a comprendere come funziona realmente la vita di un pilota di Formula Uno che, come sostiene Hunt in una delle prime sequenze, è perennemente di fronte alla morte, perché la sperimenta con frequenza quotidiana e non sa mai se uscirà vivo dall’abitacolo del suo bolide. In conclusione, un bersaglio preso proprio al centro, senza incespicare da nessuna parte né forzare la trama indirizzandola verso la scelta di realizzare un bio-pic troppo elementare atto solamente a celebrare due vecchie glorie che non verranno mai dimenticate. La questione, anche per quanto riguarda questa pellicola, rimane aperta anche per chi non è solito masticare di automobilismo. 

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