Solo Dio perdona - Only God Forgives |
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Un film di Nicolas Winding Refn.
Con Ryan Gosling, Kristin Scott Thomas, Tom Burke, Vithaya Pansringarm, Yaya Ying.
continua»
Titolo originale Only God Forgives.
Thriller,
durata 90 min.
- Francia, Danimarca 2013.
- 01 Distribution
uscita giovedì 30 maggio 2013.
- VM 14 -
MYMONETRO
Solo Dio perdona - Only God Forgives
valutazione media:
2,95
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Maestoso Refn!di DanyLTFeedback: 1485 | altri commenti e recensioni di DanyLT |
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martedì 11 giugno 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
La violenza come istinto primordiale…è questa la tematica che risalta subito all’occhio di chi si ritrova a guardare l’ultimo film di Nicolas Winding Refn. La violenza sembrava essere anche la prima e unica critica fatta sia quando è stato presentato a Cannes che tra le persone e amici che dopo averlo visto mi hanno consigliato di non andare a vedere perché “non vale la pena”. La violenza in effetti viene descritta come intrinseca in ogni personaggio, è da essa che scaturisce tutto quando il fratello di Julian (un Ryan Gosling un po’ sottotono ma comunque efficace) violenta ed uccide una minorenne in un quartiere di Bangkok dove i due fratelli gestiscono una palestra di thai boxe che nasconde la loro illecita attività di spaccio di droga. La violenza scatena altra violenza e da qui scaturisce la vendetta. Una vendetta che Julian è costretto a consumare da una madre vessatrice e maligna (una Kristin Scott Thomas in forma e convincente) che lo umilia e con cui ha un rapporto allo stesso tempo ambiguo e morboso che porta Julian a seguire e acconsentire a tutto quello che gli viene chiesto. Ed è proprio nel labirinto delle frustrazioni, paure, violenze e tentazioni di Julian che veniamo trasportati attraverso i suoi passi lenti e incerti stanze illuminate e tinte di rosso, dove ogni mossa e pensiero vengono accompagnati da una musica tetra e ridondante che ti lascia affascinato. Ma c’è una figura che viene vista come qualcosa di mistico e da sconfiggere allo stesso tempo, l’angelo della morte che ha il volto impassibile e agghiacciante di Vithaya Pansringarm, è lui che tira veramente le redini del film, perché è lui che decide chi e come deve morire e lo fa nascondendo la sua vera natura di giustiziere dietro il lavoro di poliziotto, seguito dai suoi scagnozzi come se fossero completamente asserviti al suo comando. Poche le parole, tanti gli sguardi e le mosse che riescono comunque a riempire un film lento ma che riesce a farti uscire dalla sala con un vuoto dentro che piano piano colmi rispondendo da solo a tutte le domande che il film ti lascia, non solo fini al film, ma anche personalmente. Ti cattura Refn e lo fa usando una regia non perfetta ma raccontando una storia piena di simboli e di significato. Usa una simbologia che forse alla prima visione non viene completamente notata e capita, ma che prima o poi riesce a catturare e a farti assaporare l’essenza di un film che assolutamente “vale la pena” vedere.
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