Solo Dio perdona - Only God Forgives

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Un film di Nicolas Winding Refn. Con Ryan Gosling, Kristin Scott Thomas, Tom Burke, Vithaya Pansringarm, Yaya Ying.
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Titolo originale Only God Forgives. Thriller, durata 90 min. - Francia, Danimarca 2013. - 01 Distribution uscita giovedì 30 maggio 2013. - VM 14 - MYMONETRO Solo Dio perdona - Only God Forgives * * 1/2 - - valutazione media: 2,95 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Solo Dio perdona di Nicolas Winding Refn Valutazione 4 stelle su cinque

di MiroForti


Feedback: 2700 | altri commenti e recensioni di MiroForti
venerdì 7 giugno 2013

«Vado a incontrare il diavolo»; queste sono le ultime parole di Billy al fratello Julian (Ryan Gosling), in una palestra di thai-box, a Bangkok, gestita dai due per coprire la loro attività più redditizia, lo spaccio di droga. Nonostante l’inferno di disperazione nel quale è calato, Billy non incontrerà il diavolo, ma un Dio punitore che non è incline al perdonare, come invece il titolo sembrerebbe suggerire. Il Far East di Refn si fa anche Far West nell’affrontare la tematica della vendetta e del regolamento dei conti e in questa fusione di atmosfere e suoni, di orgoglio e di machismo, il gangster movie orientale si accosta al western. La vicenda è raccontata e mostrata in un film prosciugato, che esprime l’essenziale e forse anche meno: lunghe e penetranti sacche di silenzio sono interrotte da guizzi di sangue o da brevi dialoghi evanescenti. La narrazione procede attraverso intrecci di sguardi e di espressioni, con movimenti e gesti pesati e attenti; in Solo Dio perdona non si parla inutilmente come non ci si muove inutilmente, e ciò che viene mostrato merita attenzione, la macchina da presa ci lascia assaporare le inquadrature, ci fa indagare i volti dei personaggi e si sofferma naturalmente sulle numerose violenze messe in atto. È proprio la violenza, qui sotto forma di vendetta, a fare da leitmotiv dell’intera opera; fa parte di quasi ogni uomo o donna nella pellicola ma come si accennava prima c’è un Dio della violenza che coagula il tutto, un poliziotto in pensione, dalle movenze asciutte e dallo sguardo severo e inespressivo, protagonista di alcune bellissime sequenze canore che sottolineano per contrasto il suo modo di elargire la giustizia agli uomini, sempre rigorosamente fisico e carnale. Il contatto e il corpo sono altri due elementi fondamentali della poetica di Refn, che esibisce una prosa mimica e gestuale molto suggestiva; in questo muto fraseggiare si distingue il ruolo predominante delle mani, attraverso le quali l’uomo (anche se a ragion del vero, l’uomo in questione sembra essere declinato al maschile) esprime al meglio la sua essenza. Con le mani un uomo lotta, si difende e aggredisce; strumento di vendetta la mano si fa anche organo sessuale, che tocca e assapora il proprio e l’altrui corpo. Con esse Julian tenterà di ritornare a – o di (ri)trovare – un’origine perduta o strappata via, penetrando nel ventre della madre. In questa dialettica l’ultima “punizione” di Chang ai danni del protagonista acquista un significato aggiunto; è il tentativo di privare la vittima di tutto ciò che è o che potrà essere, di privarla della sua stessa umanità perché, per usare le parole dello stesso Refn, «Togli a un uomo le mani e gli porti via tutto».
In conclusione però, c’è da dire che a monte di tutte le speculazioni interpretative che si possono fare, il film conquista grazie ad atmosfere molto evocative e a un elevata dose di ricerca estetica, che comprende musiche, scenografie, inquadrature e luci, che spesso immergono la pellicola in un rosso sanguigno che domina incontrastato. L’estetizzazione pervade anche le scene più cruente e nella lotta che è danza della violenza, coreografata a ritmo di musica elettronica, sotto il feroce sguardo di un dragone rosso e nero, si consuma il confronto disperato tra un uomo e un Dio giustiziere; e sappiamo già come andrà a finire, ma non distogliamo lo sguardo, rapiti da questa bellezza.

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