Molière in bicicletta

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Un film di Philippe Le Guay. Con Fabrice Luchini, Lambert Wilson, Maya Sansa, Laurie Bordesoules, Camille Japy.
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Titolo originale Alceste à bicyclette. Commedia, durata 104 min. - Francia 2013. - Teodora Film uscita giovedì 12 dicembre 2013. MYMONETRO Molière in bicicletta * * * - - valutazione media: 3,27 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

2 vecchi attori pensano di inscenare Il misantropo Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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giovedì 30 giugno 2016

MOLIèRE IN BICICLETTA (FR, 2013) diretto da PHILIPPE LE GUAY.
Interpretato da FABRICE LUCHINI, LAMBERT WILSON, MAYA SANSA, CAMILLE JAPY
Serge è un ex attore teatrale ritiratosi a vita privata presso una scalcinata casetta sull’île de Ré. La sua esistenza monotona viene un giorno turbata dall’arrivo di un amico di vecchia data, Gauthier, anch’egli attore ma di televisione (è divenuto celebre grazie ad una fiction dove interpreta un neurochirurgo dalle parvenze eroiche). Il progetto di Gauthier, divorziato e con una nuova storia già avviata, è quello di mettere in scena Il misantropo di Molière. Sono tre anni che Serge non mette piede su un palcoscenico, e l’idea non lo entusiasma affatto, sulle prime, ma l’insistenza di Gauthier e il ricordo delle vivide esperienze cinematografiche trascorse insieme alla fine lo persuade. Ma chi interpreterà Alceste, il burbero e antipatico protagonista della commedia, e chi Filinto, il suo compagno/rivale col quale disquisisce con mirabolante dialettica? I due uomini decidono che alterneranno i ruoli, facendo le prove in base a quanto determina la sorte. Nel frattempo fanno la conoscenza di Francesca, un’italiana in rotta col marito, inizialmente maldisposta e scorbutica ma poi sempre più affezionata ai due nuovi amici. Tutto sembra procedere per il meglio: Serge riassapora i fasti della gioventù e riscopre il piacere di recitare, Gauthier porta avanti un progetto sul quale meditava da tempo e Francesca è contentissima di sbarazzarsi della casa, messa in vendita, nella quale aveva coabitato col marito. Ma… le cose prendono una cattiva piega del tutto imprevista quando le ragioni d’amicizia iniziano a scemare e a far posto ai piccoli egoismi personali: Serge si intestardisce di recitare la parte di Alceste e non vuol sentir ragioni, i rapporti di Francesca col coniuge peggiorano e lei finisce per soddisfarsi sessualmente con Gauthier, il quale non vorrebbe tradire la nuova compagna, peggiorare il rapporto ormai rifiorito con Serge e attenuare la popolarità presso la gente del villaggio a cui il ruolo della serie TV l’ha ormai consacrato… finisce dunque che Gauthier farà la parte di Filinto nello spettacolo e Alceste sarà affidato ad un altro attore. Francesca se ne torna in Italia. Ma il tentativo di riavvicinarsi al palcoscenico non sarà stato, per Serge, un fiasco completo. Di film sul mondo della recitazione in senso stretto, il cinema internazionale, ultimamente, ne ha prodotti un buon numero: in ordine cronologico, basti citare Quartet, Birdman o Ave, Cesare!, tutti piuttosto diversi fra loro ma incentrati, in una cornice temporalmente recente, sui pregi e difetti di questo mestiere che mette a nudo l’anima utilizzando il corpo come veicolo. Alceste à bicyclette non ha da proporre metodi narrativi nuovi, ma la sua grazia, la sua leggiadria e il suo sistema di connettere l’ironia dell’amicizia con i cavilli della professione attoriale, sono straordinari. Nuovo non è nemmeno l’incipit di due uomini ormai avanti con gli anni che si rincontrano dopo parecchio tempo, e non per una semplice rimpatriata a puntino, ma per allestire insieme uno spettacolo tête-à-tête nel quale riversare decenni di esperienza notevolmente rodata. Sul palcoscenico, sul piccolo schermo o dietro una macchina da presa, che importa? Recitare, e il film lo testimonia meravigliosamente, è il mezzo espressivo che più ci mette a contatto con l’ambiente esterno e ci consente di aprire uno spiraglio dentro la nostra interiorità, mostrandoci atteggiamenti e valori che forse prima ignoravamo. Adottare un registro simile e veicolare significati del genere mediante una commedia non era impresa facile, e nemmeno priva di rischi, ma Le Guay ha portato a termine un incarico sublime permettendosi anche il lusso (che tanto lusso non è, in fondo) di spiegare una grande verità che sovente ai cineasti sfugge: la settima arte non sarebbe stata possibile senza il teatro. Funzionale a questo incontrovertibile messaggio artistico di profonda umanità è pure la scelta del commediografo europeo più analizzabile, scomponibile, eclettico e discusso: Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière. E in effetti c’è un pizzico di misantropia in entrambi i protagonisti: Serge ha voluto abbandonare la recitazione per diatribe coi registi e, in generale, per scopi che l’avrebbero costretto a fingere ciò che non era, e quando gli viene offerta l’occasione per riverberare un sogno ormai sepolto, non fatica ad esporre le sue remore, mentre Gauthier, già forte di una rinomanza televisiva e da tempo sulla cresta dell’onda, non desidera altro che riallacciare una relazione sopita dalla lontananza e dallo scorrere inesorabile del tempo, con l’obiettivo elementare e insieme mastodontico di recitare una commedia per il gusto di intrattenere un pubblico, entrare in personaggi sfaccettati e interessantissimi e dare un calcio alle umane avversità e debolezze per testimoniare come, con la tenacia, la speranza e la fiducia, ogni egocentrismo sia vincibile. Troppo riduttivo vedere Francesca (una magnifica Sansa, curiosamente meno nevrotica e sarcastica del solito) come un terzo incomodo amoroso: la sua presenza ha un valore ben più alto, coadiuvato tanto dal suo essere un personaggio dinamico quanto dalla sua voglia di lasciarsi alle spalle insofferenze deludenti e aprire lo sguardo verso orizzonti più edificanti. Stupendo gioco di squadra fra Luchini e Wilson, così inconciliabili all’apparenza e dunque così perfetti nel completare l’uno i vuoti dell’altro, e non che i vuoti lascino con l’amaro in bocca, per carità! Gradevolissimi contributi tecnici di precipua qualità, fra cui spicca una fotografia nitida, una scenografia dalla saporosa sobrietà e una colonna sonora che mescola favolosamente i classici italiani con brani della tradizione d’oltralpe. È anche un connubio fra i due paesi mediterranei che ben di rado si vede al cinema, o che almeno si assapora con piacere in sala.

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