miroforti
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lunedì 9 settembre 2013
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moebius
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Film ostico. Da guardare ma anche da raccontare, per le suggestioni estremamente personali che una rappresentazione del genere può provocare in ognuno di noi. Fuori concorso alla 70. Mostra del Cinema di Venezia, tutti aspettavano il ritorno di Kim Ki-duk, che l’anno prima era stato meritevole del leone d’oro con Pietà. Tutti si aspettavano anche qualcosa di sconvolgente e in linea con i temi scomodi e crudi cari al regista. A Ki-duk accontentare il pubblico non sarà sembrato sufficiente e opta quindi per un tour de force cinematografico che definire controverso sarebbe un eufemismo. Moebius è scarno e asciuttissimo, è violento e morboso, intriso di immagini inaccettabili ma potenti.
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Film ostico. Da guardare ma anche da raccontare, per le suggestioni estremamente personali che una rappresentazione del genere può provocare in ognuno di noi. Fuori concorso alla 70. Mostra del Cinema di Venezia, tutti aspettavano il ritorno di Kim Ki-duk, che l’anno prima era stato meritevole del leone d’oro con Pietà. Tutti si aspettavano anche qualcosa di sconvolgente e in linea con i temi scomodi e crudi cari al regista. A Ki-duk accontentare il pubblico non sarà sembrato sufficiente e opta quindi per un tour de force cinematografico che definire controverso sarebbe un eufemismo. Moebius è scarno e asciuttissimo, è violento e morboso, intriso di immagini inaccettabili ma potenti. L’estremismo di certe sequenze è ciò che porta al grottesco di altre, in un continuum di dolore umano che a tratti costringe alla risata, un atto di liberazione e di difesa di chi osserva lo smantellamento di una famiglia operato nelle più radicali e profonde fondamenta. Un aiuto dal regista per diluire la sofferenza dell’osservatore che ridendo allontana da se i personaggi dell’opera, ma si sente colpevole verso di loro e verso se stesso. Il processo di colpa-espiazione è centrale anche all’interno del racconto, e l’opera radicalizza – ma anche gioca con – temi freudiani accostandoli ai meccanismi di Edipo re. L’imbarazzo provocato da Moebius non è tanto in ciò che mostra ma in come ciò che mostra agisce sull’animo di chi assiste. Nessun personaggio può fare da ponte tra lo spettatore e la rappresentazione, non c’è nessuno con cui identificarsi a cuor leggero, e per buona parte del film non si sa quale atteggiamento assumere. La distanza umana si concretizza anche nell’assenza di dialoghi e per estensione nell’assenza del linguaggio verbale, sostituito da sguardi e movimenti; vero è che qualsiasi parola sarebbe stata di troppo, ma avrebbe portato umanità nel film. La famiglia – apparente comunità di amore e rifugio – diventa in Moebius un luogo di annullamento e, tra castrazioni subite e autoimposte, di annichilimento delle possibilità e delle gioie. Il rapporto tra padre, madre e figlio è marcio ma complesso e le psicologie dei tre si sovrappongono e si scambiano, ciò che deve stare diviso si unisce mentre ciò che è unito viene reciso nella maniera più brutale. Da questa indistinguibilità dei vari volti (l’attrice Eun-woo Lee, madre del figlio, che si fa amante del padre) deriva il titolo, richiamo appunto al nastro di Möbius, matematico tedesco del XIX secolo. Un parziale sfogo nella disperazione di Kim Ki-duk si ha nei pochi minuti in cui degli accenni di colonna sonora suggeriscono la finzione cinematografica e soprattutto nelle due scene di preghiera che, a detta dello stesso regista, sono state inserite come momenti catartici, nei quali potersi raccogliere e metabolizzare, perché «nel buddismo la preghiera è liberazione totale dai pensieri e dalle ansie contingenti» (Kim Ki-duk su Repubblica.it).
Habitué di rapporti umani al limite e maestro nel metterli in scena, con quest’ultima prova il regista sudcoreano si spinge ancora un po’ più in là e prende a schiaffi tutti quanti, compiaciuto del proprio operato. Moebius vuole shockare senza paure o limiti imposti da chicchessia, vuole provocare e schizzarci di fango senza nascondere il proprio intento. Uno schiaffo di norma non porta che umiliazione o vendetta, ma in sala, davanti al silenzioso sorriso di Kim Ki-duk non resta che sorridere di rimando e ringraziare. Al coraggio e al genio.
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flyanto
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martedì 10 settembre 2013
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come l'uomo trae forza e potere dal suo pene
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Film in cui vengono rappresentate tutte le vicissitudini sorte in seguito al tradimento di un padre di famiglia con una ragazza più giovane, gestrice di un piccolo negozio di alimentari. Dall'atroce e folle vendetta della moglie che, non riuscendo ad agire direttamente sul marito si rifà sul figlio evirandolo, alle disperate ricerche nonchè tentativi da parte del padre di restituire al figlio l'organo mancante attraverso un'operazione chirurgica di dubbia riuscita, ai numerosi tentativi da parte del ragazzo stesso, ormai offeso ed umiliato dai compagni per la sua mutilazione, di ottenere materialmente un membro che sostituisca il suo originale fino ad arrivare all'estrema dissoluzione della famiglia stessa.
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Film in cui vengono rappresentate tutte le vicissitudini sorte in seguito al tradimento di un padre di famiglia con una ragazza più giovane, gestrice di un piccolo negozio di alimentari. Dall'atroce e folle vendetta della moglie che, non riuscendo ad agire direttamente sul marito si rifà sul figlio evirandolo, alle disperate ricerche nonchè tentativi da parte del padre di restituire al figlio l'organo mancante attraverso un'operazione chirurgica di dubbia riuscita, ai numerosi tentativi da parte del ragazzo stesso, ormai offeso ed umiliato dai compagni per la sua mutilazione, di ottenere materialmente un membro che sostituisca il suo originale fino ad arrivare all'estrema dissoluzione della famiglia stessa. Quest'ultima opera di Kim Ki-Duk si presenta innanzitutto molto lontana nello spirito generale con cui il regista coreano ha sempre girato ed ideato le sue precedenti: un eccesso di violenza nonchè esasperazione completamente assenti appunto nelle sue opere precedenti caratterizzate invece da scene altamente poetiche, meno violente di minor impatto. Sebbene in alcuni suoi films precedenti, come per esempio "L'Isola", vi sia un finale tragico e crudo, il regista non arriva però mai al livello di questo. Direi, quasi, che il film potrebbe sembrare di più una realizzazione dell'altro suo regista connazionale Chan-wook Park, autore di "Old Boy", "Lady Vendetta" e di molti altri. Forse per provocazione o, forse, per cambiare totalmente il tono e la sua impostazione di fare cinema Kim Ki-Duk ha scelto una tale nuova strada che peraltro in patria gli ha causato non poche polemiche e denunce. Sicuramente il film è molto ben girato, egli si conferma un maestro nel settore cinematografico: lineare e, seppure senza dialoghi come all'inizio della sua carriera, l'espressività e la mimica di tutti gli attori rendono la pellicola molto esplicita e senza alcuna incertezza al fine della comprensione per lo spettatore. Interessante, inoltre il fatto che i due unici personaggi femminili, la moglie e la giovane amante, sono rappresentati dalla stessa attrice sapientemente truccata per i differenti ruoli. C'è da aggiungere solo un'ultima osservazione: la tematica comunque dell'importanza del pene ed il conseguente potere esercitato dai maschi, era già stata espressa, sebbene in maniera completamente differente, anni fa dal regista Marco Ferreri nel film "L'ultima donna" con Gerard Depardieu ed Ornella Muti, e pertanto non costituisce proprio un'originalità. Da consigliare, comunque, esclusivamente agli amanti di Kim Ki-Duk e soprattutto a coloro, tra i quali, che sono abbastanza forti di stomaco per sopportare la visione piuttosto cruenta di molte scene.
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stefano capasso
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martedì 1 luglio 2014
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tra dolore e piacere
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Moebius è un film di Kim Ki Duk. Inconfondibile. Una narrazione sempre avvincente, portata avanti senza nessun dialogo e senza nessun contributo musicale.
Ciò che rende sempre interessante la narrazione è che la domanda dei protagonisti si evolve e cambia continuamente, scena dopo scena. E’ la storia di una famiglia di tre persone, uomo donna e giovane figlio. Lei è trascurata, beve e lui ha un amante. Il ragazzo osserva tutti, anche gli incontri segreti del padre con la sua giovane amante. Il dramma ha inizio quando dopo aver scoperto la relazione, lei per vendicarsi tenta invano prima di tagliare il pene al marito per poi riuscire nell'intento col figlio.
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Moebius è un film di Kim Ki Duk. Inconfondibile. Una narrazione sempre avvincente, portata avanti senza nessun dialogo e senza nessun contributo musicale.
Ciò che rende sempre interessante la narrazione è che la domanda dei protagonisti si evolve e cambia continuamente, scena dopo scena. E’ la storia di una famiglia di tre persone, uomo donna e giovane figlio. Lei è trascurata, beve e lui ha un amante. Il ragazzo osserva tutti, anche gli incontri segreti del padre con la sua giovane amante. Il dramma ha inizio quando dopo aver scoperto la relazione, lei per vendicarsi tenta invano prima di tagliare il pene al marito per poi riuscire nell'intento col figlio.
Ora il padre cerca di rieducare il figlio: a modalità alternative di ricerca del piacere, attraverso il dolore fisico, e soprattutto alla ricerca di un trapianto, dove lui possa fare da donatore. Dopo lunghe ricerche ed una vita del ragazzo e del padre piena di difficoltà, il trapianto si fa, ma non da l'esito sperato: l'organo non funziona. E' il ritorno della madre che mette in funzione il pene del ragazzo che generando la gelosia del padre porterà ad una serie di tragiche conseguenze.
Film carico di significati e simboli, dove il leit motiv è che il piacere passa sempre attraverso il dolore; si raggiunge col dolore e lascia sempre posto al dolore. In questo circolo senza fine di passioni e attaccamenti che ha origine nel nucleo familiare, l'unica via d'uscita è riparare la relazione con la madre. Sono padre e figlio, uniti dall'organo trapianto che sembra rispondere solo alla loro donna, che per uno è madre e per l’altro è sposa che arrivano alla resa dei conti. Se la capacità di raccontare di Kim ki Duk è sempre di alto livello, in Moebius manca la visione poetica che ha sempre contraddistinto i film del regista coreano; i temi affrontati sono svelati facilmente a discapito del pathos narrativo Il fatto che accade nel film diventa più importante dell’emozione sottostante.
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noia1
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domenica 14 giugno 2015
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troppa roba.
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Il tradimento di un padre e l’eco dell’atto all’interno della famiglia.
Enciclopedia delle mille sfaccettature della sessualità in altrettanti ambienti e situazioni sociali. Poco rassicurante apologo sulla società attraverso una famiglia disastrata, dall’alcolismo dell’instabile madre, alla chiusura di un padre nervoso, fino alla pacatezza di un figlio ignaro della mostruosità che sta sotto due figure come il padre e la madre.
Non un dialogo, gesti, cenni violenti o meno, fin dall’inizio la situazione familiare consiste nel mutismo più assoluto, lo stesso ripercosso in tutta la società. Musiche quasi inesistenti, atmosfere malinconiche, mugugni, versi, ringhi fino ad esplosioni isteriche pazzesche, inaspettate, brutalità spinte dalla repressione non solo all’interno della famiglia – dove la drammaticità è più accentuata – ma anche all’esterno dove ci si permette tutto o quasi.
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Il tradimento di un padre e l’eco dell’atto all’interno della famiglia.
Enciclopedia delle mille sfaccettature della sessualità in altrettanti ambienti e situazioni sociali. Poco rassicurante apologo sulla società attraverso una famiglia disastrata, dall’alcolismo dell’instabile madre, alla chiusura di un padre nervoso, fino alla pacatezza di un figlio ignaro della mostruosità che sta sotto due figure come il padre e la madre.
Non un dialogo, gesti, cenni violenti o meno, fin dall’inizio la situazione familiare consiste nel mutismo più assoluto, lo stesso ripercosso in tutta la società. Musiche quasi inesistenti, atmosfere malinconiche, mugugni, versi, ringhi fino ad esplosioni isteriche pazzesche, inaspettate, brutalità spinte dalla repressione non solo all’interno della famiglia – dove la drammaticità è più accentuata – ma anche all’esterno dove ci si permette tutto o quasi. Quasi si fosse tornati ai primordi della specie, l’inerzia è data da ciò che più è recesso nel’animo umano, ciò di più animalesco.
L’importanza del pene, la perdita e la chirurgica riunione col corpo umano, le maschere insopportabili che solo sacrifici estremi possono dissolvere. Come si vedrà, non solo l’integrità fisica corrisponderà a quella mentale come non solo l’atto sessuale in sé sarà sinonimo di completezza. Niente è come sembra, la famiglia è forse più opprimente che vicina, il sorriso compiaciuto del figlio nel finale ne è forse la prova.
Apologo sulla solitudine, sulla società, sul rapporto personale delle persone rispetto alla società e rispetto a ciò che sono nel profondo, quasi a recitare fossero bestie, tutto prosegue sul filo della brutalità più estrema e provocatoria.
Temi forti, immagini anche, peccato queste non siano rese come forse il regista avrebbe voluto, siamo testimoni più che spettatori coinvolti, tutto passa sullo schermo in rassegna più che nel proseguo di una trama. Tanti spunti su cui ragionare, peccato sembra manchi un’anima.
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