Mai Stati Uniti

Vanzina e i soi fratelli ma contro la crisi non bastano le gag

Prima non se ne parlava mai; ora nel cinema italiano non c'è che la crisi. Dunque Vanzina muove di lì per raccontare le vicende di cinque poveracci che potrebbero dare una svolta alle loro esistenze grazie a un'eredità milionaria. I personaggi maschili sono Antonio (Vincenzo Salemme), ludopatico napoletano pieno di debiti; Nino (Ricky Memphis), disoccupato e separato con figlio, costretto a travestirsi da clown per raccontare patetiche favole a un pubblico di bambini; Michele (Giovanni Vernia), buon selvaggio in rivolta che ha perduto il lavoro in un bioparco. Quanto ai caratteri femminili, si riassumono nella vistosa e promiscua Carmen (Anna Foglietta), precaria cronica, e nella nevrotica Angela (Ambra Angiolini), dipendente dagli psicofarmaci (insomma, in una coppia di stereotipi di genere che le commedie italiane rappresentano da sempre). È solo davanti all'esecutore testamentario che i cinque apprendono di essere tutti figli dello stesso padre - tale Vanni Galvani - quindi di costituire una famiglia particolarmente allargata. La condizione per incassare il cospicuo lascito è che, in gruppo, vadano a spargere le ceneri paterne in un lago degli Usa, dove non sono mai stati (al contrario di Vanzina, che ci riprova dopo Vacanze in America, di quasi trenta anni fa, e Sognando la California, di una ventina d'anni fa). Dunque il gruppo prende il volo, con l'aggiunta del bambino di Nino, il quale cerca così di rifarsi una credibilità presso il pargolo. Il seguito della storia si svolge secondo lo schema della commedia a equivoci assortiti, suddivisi praticamente in due tipologie. Da una parte ci sono le situazioni pericolose: l'incontro con un gigantesco grizzly nella foresta, quello con un serpente a sonagli nel deserto, quasi uguali (siamo certi che gli animali non sono stati maltrattati; gli spettatori, un po' sì); nonché il sequestro di Nino, preso in ostaggio da un balordo che ha tentato di rapinare un drugstore. Dall'altra si allineano le situazioni a sfondo sessuale: Antonio e Nino scambiano un bordello per il casello del benzinaio (e qui non ci viene risparmiato l'equivoco tra le parole "guy", giovanotto, e "gay" Antonio teme che lui e il fratello siano stati presi per omosessuali); Michele esce dalla doccia e non ritrova l'asciugamano (una gag che, ai tempi dei cinepanettoni, sarebbe toccata a Massimo Boldi). O, ancora, il lungo episodio di Las Vegas, dove Carmen è incaricata dai fratelli di sedurre Maurizio Mattioli per recuperare l'urna con le ceneri del padre, che Antonio è riuscito a perdere al tavolo da gioco. Se un film è sempre un po' lo specchio del suo tempo, però, occorre arrischiare un'altra osservazione. Questa volta la sceneggiatura (scritta dai Vanzina assieme a Edoardo Falcone) non vuole accontentarsi del semplice accumulo di gag, ma aspira a un'evoluzione narrativa: incentrata, come s'intuirà, sul progressivo mutamento dei rapporti tra i fratelli, che all'inizio faticano a tollerarsi, poi imparano a volersi bene. Malgrado le buone intenzioni, però, la parte comica e quella sentimentale di Mai Stati Uniti faticano ad amalgamarsi, limitandosi piuttosto (specialmente verso la fine) a un'alternanza da par condicio. Il che riflette un po' l'Italia odierna, in bilico tra voglia di edonismo residuo e familismo di ritorno.
Da La Repubblica, 3 gennaio 2013


di Roberto Nepoti, 3 gennaio 2013