La grande bellezza |
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Un film di Paolo Sorrentino.
Con Pamela Villoresi, Franco Graziosi, Pasquale Petrolo, Serena Grandi, Maria Laura Rondanini.
continua»
Drammatico,
durata 150 min.
- Italia, Francia 2013.
- Medusa
uscita martedì 21 maggio 2013.
MYMONETRO
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La bellezza dopo la notte
di carlosantoniFeedback: 5973 | altri commenti e recensioni di carlosantoni |
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venerdì 31 maggio 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Mi pare quantomeno riduttivo il paragone da molti esplicitato con “La dolce vita” di Fellini: ne “La grande bellezza”, Sorrentino mi pare si doti di uno sguardo più ampio e complesso di quello di Fellini: non ci parla solo di Roma, ma della nostra condizione esistenziale. Roma è “solo” la cornice teatrale prescelta, una Roma barocca e inutilmente splendida nelle sue forme, per meglio illustrare, quasi secondo una specie di legge del contrappasso, un viaggio barocco all’interno della nostra vita corrotta e disgraziata. Numerose le prospettive simmetriche di chiese e palazzi o le carrellate lente che accompagnano orizzontalmente l’ incedere solitario del protagonista: una linearità che confligge con la spregevole complessità del verminaio umano che brulica attorno a Jep Gambardella. Il quale non credo si possa dire che goda esteticamente delle feste ricche e pacchiane che organizza, e forse neppure delle bellezze architettoniche della Città Eterna. Tutto sembra scorrere intorno a lui senza lasciare un segno. Anche il dolore diventa rappresentazione, e il lutto non si sottrae per niente alla logica di un’ipocrisia universale, anzi a suo stesso dire ne è la più limpida esplicitazione: un funerale ha le sue regole rigorose, che sono essenzialmente quelle dell’apparire. Jep Gambardella cammina lentamente, si muove lentamente e, perfino, parla sempre molto lentamente: come se recitasse: non mi riferisco a Tony Servillo, lui è ovvio che reciti, mi riferisco al suo personaggio, che parla con la lentezza e la grevità di chi stia recitando versi. Sembra quasi che stia parlando a se stesso. Che rifletta sulla natura della natura umana. Lui, che organizza le feste rumorosissime e sguaiate sulla sua splendida terrazza romana, dice che aveva una sola vera ambizione: le feste le voleva far fallire. La contraddizione è solo apparente: al contrario di quasi tutti i suoi frequentatori (Ramona fa parte a sé, così come la sua colf), lui sa leggere nell’animo umano e non finge con se stesso o con gli altri, ma li guarda con occhio irrimediabilmente disincantato. La morte. Entra tre volte nel film, e ci entra senza preavviso, come a fulminare ogni illusione circa la durata di una qualsiasi illusione. Solo nel caso di Ramona Sorrentino ce ne preannuncia la fine, con grande finezza: è quando una mattina Jep si avvicina a lei, distesa bocconi sul letto, e noi spettatori ne cogliamo con lui le membra e gli occhi immobili, lo sguardo vitreo: ci aspettiamo che Jep scopra che è morta. No, non lo è, ma lo sarà pochissimo dopo, apparentemente senza una ragione. Tutto il ricco e volgare luccichio che circonda Jep, tutta la corrotta società che si trascina dietro e che si ciba di idoli e di narcisismo, completamente alienata e triste, niente di tutto questo sembra davvero interessarlo. Lo interessa invece una domanda cui non sa e non potrà mai darsi risposta, e che riguarda una ragazza amata nella prima gioventù. In quell’ansia di sapere, di capire, senza tirare morali e perciò anche senza fare sconti, Sorrentino sembra indicare quale sia la grande bellezza cui aspiriamo, pur in mezzo a tanto squallore.
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