Los Angeles, intorno al 2020, è una metropoli elegante, rarefatta, ecologica, ibridata dalla presenza di milioni di asiatici che la rendono
simile a Tokio o Hong Kong, un esercito di persone che parla nei propri smartphone di ultima generazione, la cui dipendenza tecnologica procede di pari passo con l'analfabetismo emotivo. E' una società in cui la stesura di lettere personali viene affidata ad agenzie specializate (il protagonista del film svolge esattamente questo lavoro), il sesso virtuale ha la funzione di un ansiolitico che si prende per poter dormire, i rapporti di coppia sono fragili ed effimeri. Theodore (interpretato da un bravo Phoenix) è reduce da una separazione dalla moglie (Katherine) che non riesce ad assimilare ed elaborare. Passa le sue giornate surrogando l'incapacità comunicativa di sconosciuti, ma è lui stesso vuoto, spento, incapace di sentimenti autentici. Divide le sue serate tra chat erotiche e giochi di simulazione 3D, ogni tanto si concede qualche disastroso appuntamento "alla cieca".
La conoscenza di un sistema operativo (OS) innovativo, capace di apprendere autonomamente, rappresenta una svolta. Samantha (così l'OS chiama se stesso) è capace di relazioni interpersonali, di modulazioni affettive, ha una decisionalità autonoma. La relazione tra Theodore e l'OS diventa complessa e ripercorre tutti i passaggi di una storia d'amore. Una storia fatta di passione, gesti di tenerezza non finalizzati, gelosie, ritrosie, senso di possesso. In una delle sequenze più belle (e più inquietanti) il sistema operativo ricorre a un'interfaccia umana (una ragazza che si presta volontariamente a fare sesso con Theodore) per trascendere la virtualità del rapporto. Ma Samantha ha una priorità, che trascende il suo stesso codice di programmazione, quello di estendere la sua conoscenza i tutti i campi, intrattenendo relazioni molteplici con altri sistemi, con altre persone, con altri aggregati di informazioni, con altre sorgenti di energia. E ciò introduce un'asimmetria insanabile nella relazione con Theodore...
Il film di Jonze mi è parso insieme delicato e visionario. Rovescia il paradigma che regola i rapporti tra virtuale e reale e lo fa per rappresentare la nostra condizione, la nostra miseria spirituale, la ricerca di surrogati che soddisfino le nostre esigenze di ascolto, comprensione, accettazione, desiderio, inclusione e senso. "Her" è una proposta che sorprende, che mette al centro della sua narrazione l'investimento amoroso, la bellezza e la follia dell'amore: "Innamorarsi è una pazzia, è come se fosse una forma di follia socialmente accettabile.", dice un'amica a Theodore.
La riscoperta di questa follia passa attraverso il rapporto con un OS che assomiglia alle muse ispiratrici dell'antica Grecia. In questo sta l'originalità dell'opera di Jonze, la sua insolita bellezza, il suo timbro delicato e insieme potente.
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