Titolo originale | Scatter My Ashes At Bergdorf's |
Anno | 2013 |
Genere | Documentario, |
Produzione | USA |
Durata | 93 minuti |
Regia di | Matthew Miele |
Uscita | lunedì 24 febbraio 2014 |
Distribuzione | Feltrinelli Real Cinema |
MYmonetro | 3,09 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 10 marzo 2014
È la più leggendaria di tutte le boutique americane. Ora, il pubblico ha la possibilità di sbirciare dietro le quinte del negozio.
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CONSIGLIATO SÌ
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Ci sono cose e personaggi emblematici di un'epoca, di un genere, di un ambiente. Le chiamiamo icone. Bergdorf Goodman è un'icona. Lo store della Quinta Strada, fondato a fine '800 da Herman Bergdorf e poi acquisito da Edwin Goodman che lo ha passato al figlio Andrew, è l'emblema del lusso. Unico nel suo genere, è un morso della Grande Mela, una meta di pellegrinaggio, e il luogo dove ogni stilista sogna di vedere esposti i suoi abiti.
Teatro di sequenze cinematografiche famose (una per tutte la scena in cui Dudley Moore incontra Liza Minnelli in Arturo), citato in innumerevoli dialoghi, il tempio della moda è ora l'oggetto del documentario Scatter my ashes at Bergdorf's , che intervista i grandi nomi del fashion, da Vera Wang a Oscar de la Renta, da Dolce e Gabbana a Narciso Rodriguez, ma anche gli stilisti che non ancora avuto accesso all'edificio e vivono nell'attesa.
Se il titolo -preso da una vignetta del New Yorker- ironizza sugli eccessi maniacali che il mondo della moda è in grado di indurre, ribadendo allo stesso tempo l'iconicità del luogo di cui parla (perché disperdere le proprie ceneri da Bergdorf è un po' come fare colazione da Tiffany, per capirci), il film rientra per il resto del tempo nella categoria degli "insights" d'eccezione: una sorta di visita guidata nel museo del lusso e dell'esclusività, dove le collezioni sono temporanee ma la fascinazione è permanente.
Come ogni monumento che si rispetti, anche questa cattedrale del fashion ha le sue memorie sedimentate e le sue storie divenute leggendarie, come i cappellini di Jackie O', la volta in cui una barbona si presentò con una borsa piena zeppa di contanti o quella in cui Yoko Ono chiamò all'orario di chiusura una vigilia di Natale e, insieme a John Lennon, comprò ottanta pellicce, una per ogni membro del loro staff, spendendo qualcosa come cinquecentomila dollari. Ma c'è anche una storia tutta al presente, di personal shopper più efficaci del miglior psicoterapeuta della città, di guru dello stile più potenti del presidente di uno stato nazionale (è il caso di Linda Fargo), di vetrine che hanno fatto sognare e continuano a farlo. E, tra tutti, è sicuramente il capitolo sulle vetrine il più affascinante e rappresentativo: curate come se si trattasse di vere e proprie installazioni d'arte contemporanea, rigorosamente differenti l'una dall'altra ma legate da un tema che detta la religione del momento, le vetrine di Bergdorf sono un'esperienza drammatica nel senso teatrale del termine, un tripudio di oggetti che solleticano la cupidigia, oltre che un investimento a dir poco astronomico (ma evidentemente sempre ripagato). L'allestimento nottetempo di questi sontuosi fermo-immagine cinematografici, è un film nel film: dalla ricerca dei pezzi unici alla commissione di ogni tipo di manufatto ad artisti e artigiani, fino al trasporto e alla composizione "dell'inquadratura", la creazione delle vetrine di Bergdorf Goodman è il dispiegamento materiale dell'ideale del sogno americano del tutto-è-possibile, il trionfo dell'immagine, la ragione dell'esistenza di un luogo del genere, così inarrivabile -per lo meno nella sua totalità- da costituire un eterno oggetto del desiderio.
Il prèt-à-porter compie cent'anni. E non li dimostra. Almeno a guardare le vetrine di Bergdorf Goodman sulla Quinta Avenue di New York, che luccicano sempre, anche alle tormente di neve che in questi giorni imbiancano Manhattan, fra il miraggio e la tentazione. David Hoey, il responsabile, gli dedica la stessa attenzione di un curatore del MoMA, il vicino museo di arte moderna, all'allestimento di [...] Vai alla recensione »